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5 Gennaro

SAN SIMONE STILITA

Nacque san Simeone in un luogo sui confini della Siria e della Cilicia chiamato Sisan, verso l’anno 391, da poveri genitori nominati Isichio e Marta, che attendevano alla cura delle pecore, nel qual esercizio allevaronoo ancora questo loro figliuolo. Aveva egli sortito un’anima buona, e fin da’ primi anni si mostrò attento, paziente, obbediente, timorato di Dio. ne’ giorni festivi solea lasciare la greggia e recarsi alla chiesa per udir la divina parola. Divenuto con questi buoni principi alquanto grandicello, itosi un giorno secondo il consueto alla chiesa, sentì leggere quelle parole del vangelo: Beati son quelli che piangono: beati quelli che hanno l cuor puro : e non intentendone bene il significato, dimandò ad un buon vecchio che cosa si dovea fare per entrare nel numero di questi beati. Questi rispose gli:  Bisogna digiunare, bisogna sopportare la nudità, le ingiurie, gli obbrobri; bisogna gemere e vegliare e fare continua orazione con riverenza e timor di Dio: esser paziente nelle malattie, rinunziare a quelle cose del mondo che più si amano, essere umiliato e perseguitato dagli uomini senz’aspettare alcuna consolazione in questa vita. Capite voi, mio figliuolo, queste cose? Se le capite, si degni il Signore di darvi per una misericordia la volontà e la forza di praticarle. Simeone avea allora appena tredici anni; pure queste parole fecero nell’animo suo tale impressione, che, trattosi in disparte, si gettò genuflesso innanzi a Dio, e fervorosamente pregollo di fargli scorta sulla via della santità e della perfezione. E poco dopo essendo rimasto assorto in un dolce sonno, gli apparve una visione ch’egli era uso a raccontare così: E mi parve che mi fossi posto a scavare le fondamenta per erigervi un edificio; e mentre io faticavamo in tal lavoro, un astante mi disse, scava più innanzi; ma siccome era già stanco, io voleami riposare; e colui mi ordinò di continuare ancora, e ciò fece egli per ben quattro volte.san simone stilita
Finalmente, mi disse, che quelle fondamenta erano abbastanza profonde, e che io poteva senza difficoltà erigere un edificio di quella struttura ed altezza che mi fosse piaciuto Da questa visione non potè Simeone nulla per allora comprendere, ma il successo compiutamente la verificò.
Imperocché si venne col fatto a conoscere che non poche, né incostanti fatiche dovette sostenere, per innalzare quell’edificio ammirabile di profonda umiltà, di fervore straordinario, di santità esimia, che lo rendettero capace di reggere, coll’aiuto di Dio, a prove tali, che superano le forze dell’umana natura. Di fatti abbandonata prontamente la greggia, si mosse alla volta di un monastero vicino, sulla porta del quale gettatosi boccone vi stette più giorni senza mangiare né bere, non chiedendo altra grazia che d’esservi ammesso in qualità di famiglio, e destinato ai bassi mestieri della casa. “ ed abbiate pietà di me, peccatore infelice” gridava all’abbate Timoteo, che di quel chiostro teneva il reggimento; “abbiatemi misericordia; salvate l’anima mia. Perocché temo di cader in peccato”. E l’abbate avendogli chiesto come si chiamasse e di qual condizione e’ si fosse; il servo di Dio rispose: “ Il mio nome è Simeone: nacqui ingenuo, ed ardentemente bramo di servir il Signore. “Quand’è così, soggiunse l’abbate, se Dio ti chiama per questa via, abbi fermo, o mio figlio, che Dio ti custodirà, e ti sottrarrà dalle tentazioni della carne; ama questi fratelli, e sarai da essi chiamato”. Laonde entrao nel monastero, fu ammesso nel numero di coloro ch’erano posti alla prova, e cominciò ad imparare il salterio a mente: questa era la prima cosa che si richiedeva dai novizi. Egli non potea staccarsi da questo libro divino, nel quale trovava pascolo a tutti i celesti affetti della sua anima. Vedeando i suoi compagni, benché così giovane, praticare le austerità prescritte dalla monastica regola, e in poco tempo si procacciò l’amore di tutti, che ammiravano la sua umiltà e la sua devozione. Dopo aver passato due anni in quel monastero entrò in un altro, in cui teneasi una vita ancora più rigida, e che era governato dall’abbate Eliodoro. Questi era un venerabile vecchio che vivea nella solitudine da sessantadue anni addietro. E sarebbe assai malagevole l’esprimere con parole fino a qual grado possedess’egli lo spirito dell’orazione. La sua anima non lasciava mai di veduta Iddio; era per tal modo morto al mondo, che, a quanto ne dice Teodoreto che lo aveva particolarmente conosciuto, non sapea nulla di ciò che vi si faceva insino alle cose più comuni. Simeone, sotto la condotta di tal maestro, fece in poco tempo rapidissimi progressi. Divenne quindi ben presto l’esempio di tutta quella comunità per la esattezza nell’osservare la regola. Il suo amore alla penitenza non era mai satollo; mentre gli altri fratelli mangiavano ogni due dì, ei si ridusse a mangiare una sola volta alla settimana. Aggiunse anco a tutte le austerità quivi prescritte altre pubbliche volontarie asprezze, onde bisognava che i superiori nel distogliessero. 

E siccome l’autorità dell’abbate, che rattemperava il suo zelo, era troppo per lui rispettabile per non arrendervisi esattissimamente, così ubbidendo a quanto gli vietò per non alterare né la disciplina, né gli esercizi di pietà, il supplicò di potere almeno praticare alcune secrete mortificazioni a consolazione e conforto del proprio cuore. E sallo Iddio di quel aspra maniera, dopo averne ottenuto il permesso, cruciasse sé medesimo. Per farcene una qualche ide, basti ciò solo, che avendo un giorno veduto la corda, onde l’acqua del pozzo traevasi,esser formata di rusco, cioè di aspre foglie di palma, e perciò assai ronchiosa, divisò di farne istrumento di penitenza, e se ne cinse i fianchi al di sotto i panni, e ciò senza che il superiore, e la comunità nulla sapesse. Ma a lungo stare la corda, che avea assai strettamente serrata, gli entrò nella carne, e vi produsse una piaga il cui puzzo tradì il suo secreto. Ci volle tre giorni ad umettargli i panni, che il sangue guasto e rappreso aveagli attaccati alla pelle, prima di poter distaccare. Fu altresì bisogno che i medici gli facessero de’ tagli profondi per estrarne la corda. Ciò cagionò al santo dolori acutissimi, e nondimeno, anziché querelarsene, esclamava: “Lasciatemi, o fratelli, lasciatemi morire; non vietatemi il ben giusto gastigo de’ miei mancamenti. Io sono un pelago di peccati “. Finalmente dopo cinquanta giorni di cura e assistenza fu risanato, Simeone avea allora appena ventidue anni, e l’abbate per timore che tale singolarità non nuocesses alla uniformità della disciplina monastica da quel convento lo allontanò. Cogli occhi bassi, e coll’animo pienamente rassegnato nel volere di Dio, partì il fervoroso giovane da quel luogo, e ritiratosi nella vicina montagna, trovò una cisterna secca, la quale,perché ricetto era di vipere ed altri serpenti, era paurosamente fuggita dai passeggeri. Ivi Simeone alacremente discese, e si pose a cantare le lori del Signore, e vi dimorò sintato che l’abbate Eliodoro coi principali del monastero da lui governato lo richiamò e quindi trattolo tutto languido, lo ricondusse all’antica abitazione. Dove rimasto tre anni, non sembrandogli di far mai abbastanza per imitar Gesù Cristo, che tanto patì per la nostra salvezza, deliberò d’iresene altrove, e si condusse a Telanisso, luogo situato a’ piedi di una montagna non molto discosta da Antiochia. Quivi costruttasi una capanuccia, risolvendo di passare tutta la quaresima senza pigliare nissuna sorta di nutrimento, per imitare perfettamente il digiuno di Mosè, d’Elia, e del divin Redentore. Egli comunicò questa sua risoluzione a quello che dirigeva la sua coscienza, il qual era un virtuoso sacerdote nominato Basso, incaricato del reggimento di dugento monari. Questo de’abben uomo temendo che Simeone nel suo disegno avesse più presto consultato il suo fervore che le sue forza, gli rappresentò le terribili conseguenze di siffatta straordinaria condotta, e gli aggiunse che il darsi da sé medesimo la morte non era già una virtù, ma anzi il più enorme di tutti i peccati. Iddio comanda bensì che mortifichiamo la carne ribelle, che siamo astinenti e guardinghi dal non offenderlo, ma non di fare tale orrendo strazio di noi medesimi da perder la vita. onde Simeone cogli occhi bassi; “Mettetemi, o padre, gli disse, dieci pani ed un vaso d’acqua, acciocché se avrò bisogno di ristoro possa prevalermene”. Ciò eseguito, e murata secondo il volere del santo la porta della capanna, dipoiché furono spirati i quaranta giorni, tornò Basso a quel luogo, e con sua grande meraviglia vi trovò gli stessi pani e la stessa quantità d’acqua, ed insieme Simeone steso sul suolo senza voce né moto, o come morto. Immediatamente gli bagnò la bocca con una spugna per dargli la santa Eucarestia; per lo quale divin nutrimento il servo di Dio riprese lena e si alzò, e mangiò alcune foglie di lattuga, che inghiottì a poco a poco. Ed essendogli così riuscita questa prova, continuò ogni anno a passare nello stesso modo la quaresima, e ne avea già corse ventisei, quando Teodoreto ne scrisse la relazione. Sappiamo inoltre da questo accreditatissimo scrittore, com’egli faceva orazione in piedi, e così proseguiva finché il suo corpo affievolito non potea più reggersi; indi sedeva, e quando lo sfinimento totale delle sue forze non permetevagli altro modo di stare, si coricava sul suolo. Austerità così straordinarie non potevano provenire che da una virtù sovrannaturale. Son queste cose da ammirarsi, ma non suscettibili d’imitazione. Guai se taluno volesse provar visi senza esservi spitno dalla grazia! Costui cadrebbe nel laccio del demonio. Pertanto tornando a Simeone, poiché rimase tre anni in quel romitaggio, salì sul sommo della montagna, e si richiuse in un ricinto fatto di pietre a secco, senz’alcun tetto, risoluto di vivere allo scoperto, ed esposto alla inclemenza delle stagioni. E perché non avesse più a rimutarsi nella presa risoluzione di rimanersene sempre in quel luogo, si fece fare una forte catena di ferro, che dall’un capo attaccò al suo piede, e dall’altro ad una grossa pietra. Ma Melezio patriarca di Antiochia in occasione che visitava que’ luoghi della sua diocesi, avendo veduto in tale stato Simeone, lo avvertì che non di catena, ma la volontà stabile e fissa nel bene, assistita dalla divina grazia, dovea bastare per tenerlo nella solitudine; perciò lo persuase a levarsela, come subito fece.

Per le quali cose, il grido della santità e virtù di Simeone cominciò a spargersi da per tutto, e vi trasse quantità prodigiosa di persone fino dai più remoti paesi: e le grazie che Iddio degnossi di concedere a molti, intercedendo il servo di Dio, fecero sì che gli fossero condotti malati, storpi, e ciechi acciocché li guarisse. Ma perocché quelli che ottenevano il loro intento celebravano la virtù di lui, e di più in più ne crescevano la fama; gli stessi idolatri vi accorrevano in folla per riceverne la benedizione, né partivano da lui contenti, se non che dopo avere avuto la soddisfazione di toccare almeno il lembo delle sue vestimenta. Laonde per non esser disturbato dall’orazone e per rimuover da sé gli onori che gli si rendevano, e perché quanto coll’animo e col pensiero, altrettanto anco col corpo desiderava sollevarsi al cielo, credette a proposito di collocarsi sopra una colonna alta sei braccia, sulla quale visse quattro anni. In seguito ne fece innalzare un’altra di dodici braccia, ed una terza di ventidue. Dimorò tredici anni or su l’una or su l’altra. Gli ultimi ventidue anni di sua vita li passò sopra una quarta colonna altra trentasei bracci (1). La cima di questa, che cinta era d’una balaustra larga tre piedi per ogni verso, era circondata da un piccolo recinto simile ai nostri pulpiti: e quando il santo avea bisogno di riposare, piegavasi sulla balaustrata, e vi si prostrava anche frequentemente orando. Vedeasi durante il fervore dell’orazione, tener più ore gi sguardi al cielo. Due volte al giorno esortava quelli che il visitavano; i suoi discorsi si aggiravano ordinariamente sopra i falsi giuramenti, sull’osservanza della giustizia, sopra il peccato dell’usura, sopra la frequentazione delle chiese, e sopra la necessità di pregare non solamente per sé, ma per tutti gli uomini in generale. E questi ragionamenti facea con tal forza, dolcezza ed efficacia, che convinceva l’intelletto, e muoveva il cuore. Non si poteva udirlo, senza amare la virtù ed abborrire il peccato. Ma una maniera di vivere così nuova e strana divenne ben presto il soggetto delle riprensioni della umana malignità. Altri lo schernivano, ed alcuni per fine l’oltraggiavano, e lo trattavano da vano, da ipocrita ed impostore, talmentechè gli altri solitari giunsero a quasi voler separarsi dalla sua comunione.


Per altro i vescovi e gli abbati di quel vicinato stimaron bene, prima di porgere orecchio alle voci del volgo, di assicurarsi bene da quale spirito procedesse cotesta straordinaria condotta di Simeone. Mandarono per tanto a lui un deputato che gli comandasse di scendere subito dalla colonna; con questo però che, se vedea Simeone disposto a prontamente ubbidire, lo lasciassero vivere a suo modo; ma se ne mostrasse dispiacenza, lo forzasse a calar da quel luogo. Appena ebbe inteso Simeone quest’ordine, che senza replica si tenne in dovere di scendere; onde il messo veduta la pronta sua volontà, glielo impedì, e confortollo anzi a perseverare, atteso che chiaramente conobbe ch’egli era guidato dallo Spirito Santo per una strada sì difficie, né praticabile senza particolare aiuto di Dio. Dopo questa prova assicurato Simeone ch’ei tenea nell’ordine della provvidenza, durò tranquillo e contento nella stessa maniera di vivere sino alla fine de’ suoi giorni. E poiché si continuò altresì a visitarlo nelle ore in cui egli soleva ammettere i forestieri, si mostrò sempre con tutti gioviale, mansueto, benigno, non faceva distinzione di persona, tutti accoglieva, tutti soccorreva colle sue istruzioni e preghiere; principi o popolani, ricchi o poveri, nazionali o stranieri, ognuno partiva da lui soddisfatto dalla somma sua carità. Vero è che eziandio molti a lui venivano soltanto mossi dalla curiosità di vedere un sì nuovo straordinario spettacolo; ma Iddio si servì anche di questo mezzo per convertire molte migliaia d’infedeli, i quali partivano sommamente penetrati e compunti dalle parole divine che uscivano dal suo labbro. La forza delle quali era di tanta efficacia, che Antonio suo discepolo afferma, esserci stato un gran peccatore di nome Antioco, il quale vivamente commosso dall’esortazioni e dall’esempio del santo, e inorridito dall’enormità dei falli che avea commesso, e dalle offese che avea fatto alla divina bontà e misericordia, vivamente da intenso amore ed insieme da terrore compreso, ai piedi della colonna di contrizione, spirò. Il re di Persia Varane, e la regina sua sposa, benché nemici e persecutori del nome cristiano, non poterono ritenersi dal rispettarlo. Principi e principesse d’Arabia vennero per ricevere la sua benedizione, e si compiacevano assai che a processioni si muovessero i loro popoli per venire a riverire il servo di Dio. Gl’imperatori cristiani, gloriosi di possedere questo tesoro ne’loro stati, non si contentavano di usargli soltanto siffatte dimostrazioni, ma Teodosio il giovane lo consultava di spesso, ed a lui ricorreva ne’ bisogni pubblici della chiesa, e si raccomandava alle sue preci. L’imperatrice Eudocia sua vedova si diresse al santo uomo per l’importantissimo affare della sua eterna salute, ed egli l’indusse ad abiurare l’anticristianesimo.

L’Augusto Marciano si travestì da uomo privato per aver il contento di ammirarlo e di udirlo, e Leone suo successore volle avere il suo avviso intorno al concilio di Calcedonese, ed il modo di pacificare la chiesa Alessandrina. Vescovi finalmente, e magistrati, e grandi d’ogni maniera di lui direzione e lumi imploravano, ed egli sempre rispondea loro con candore e gran coraggio e libertà, inculcando a tutti l’amore di Dio, e l’adempimento de’ propri doveri. Se non che tutti questi onori, uniti al dono che avea ricevuto da Dio di operare miracoli, non poterono mai rimuovere il buon servo di Dio dalla ferma credenza, in ch’egli era, d’essere il più abbietto e miserabile degli uomini. Ed il Signore, come che lo avesse già fatto degno di tanti favori segnalatissimi, per sempre più confermarlo nella virtù dell’umiltà, permise fosse tormentato da una piaga che avea in un piede, in cui acerbi dolori con esimia pazienza sofferse,e recò la rassegnazione e la costanza in patirla al segno, da non permettere che fossegli medicata, quantunque fosse divenuta ormai verminosa. La sua dolcezza, la sua carità verso tutti coloro che il visitavano, il caldo suo amor verso Dio, il suo distaccamento dalle terrene cose, la costanza nell’orazione, e tutte le altre virtù sorelle e compagne della anzidette, furono in lui ammirate nel più sublime grado di perfezione. Finalmente, essendo pressoché consunto da un sì lungo martirio, conobbe che si apprestava la fine de’ suoi giorni, e però vi si dispose con una fervorosa preghiera animata da un vivo desiderio di unirsi con Dio nella patria celeste. Era entrato nella età di sessantanove anni, trentasette de’ quali avea trascorsi sulle colonne già dette. Si piegò dunque per orare, come era uso, ma non si rialzò più, né più favellò agli astanti, perché nel Signore si addormentò. Ciò avvenne il 2 settembre dell’anno 459, e niuno si avvide della sua morte se non che dopo tre giorni, e principalmente per un insolito splendore onde sfolgorava il suo volto. Narra Evagrio, che il patriarca di Antiochia, essendo venuto a visitarlo, aveagli amministrato sulla colonna la santa comunione, e dubitar non si può che molti altri sacerdoti non gli avessero ministrato sovente questo augusto sagramento. Il suo corpo fu recato da prefato patriarca e da tre vescovi in Antiochia, con una pompa e frequenza di popolo non mai più osservata ne’ funerali de’ principi della terra. Il feretro era scortato da sei mila uomini armati preceduti da Ardaburio, generale dell’esercito d’oriente, espressamente condottivi da lui per onorare il funereo corteggio di questo cittadino del cielo. I miracoli che furono operati in questa occasione servirono a confermare il concetto che avevasi della sua santità, ciò che accrebbe sommamente la fiducia che i buoni riponevano nella sua intercessione. La venerazione che si ebbe per lui divenne prestamente pubblico culto, non solamente nella diocesi di Antiochia, ma in tutto l’Oriente ove celebrassi la sua festa con grande solennità. La vita prodigiosa di questo santo martire della penitenza, attestata da tanti testimoni irrefragabili e contemporanei, deve riempire di confusione coloro che, professandosi seguaci di un Dio crocefisso, conducono una vita molle, oziosa, delicata; né vogliono soffrire con pazienza e rassegnazione le malattie, le tribolazioni, le avversità con cui piace al Signore di visitarli per loro bene. Specchiamoci in san Simeone sublime ritratto di eroica sofferenza e umiltà. Vero è ch’egli fece cose che non potrebbero essere da noi imitate; ma chi ci tiene dall’amare, come ei fece, la povertà, il dispregio del mondo, la croce? Chi ci disobbliga dall’imitare, secondo il nostro stato e le circostanze in cui ci troviamo, il nostro Redentor Gesù Cristo? Possiamo noi dimenticare che la conformità a questo divino modello ci è assolutamente necessaria, se vogliamo partecipare dei beni della redenzione? Giammai non fia che noi rispondiamo alla nostra vocazione, quando non porremmo in conto dei nostri doveri la necessità di portar la croce di Gesù Cristo, di vivere una vita nascosta, almeno in ispirito, di diffidare continuamente di nostra fralezza, di umiliarci, di annientarci alla vista dell’abisso impenetrabile delle nostre debolezze e miserie.

(DAI FASTI DELLA CHIESA)

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