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31 Gennaro

SAN PIETRO NOLASCO

Pietro Nolasco, uscito da una delle più illustri famiglie della Linguadoca, nacque verso l'anno 1189 in un borgo di Lauragais, detto il Mas des Saintes Puelles, che era allora della diocesi di Tolosa, e che oggidì è di quella di san Papoul. I suoi genitori, che erano assai pii, presero cura di procacciarli un'educazione eccellente, e di coltivare le doti felici, che nella sua anima avea posto la grazia. Grande allegrezza sentivan essi nel vederlo corrispondere perfettamente alle loro mire, e riunire a tutte, le graziose fattezze della persona una grande innocenza di costumi ed una decisa inclinazione alla virtù. Il giovane Pietro mostrava una straordinaria compassione pei miseri, e dispensava in limosine le piccole somme che gli si davano per li suoi fanciulleschi trastulli. Ei prese il santo uso di dare qualche cosa ogni mattina al primo povero in cui s'avveniva, senza lasciarsela nemmen domandare. San Pietro Nolasco

Fecesi dovere di assistere regolarmente al divino offizio, senza eccettuarne nemmen mattutino, benché si dicesse a mezza notte. Questa santa pratica, che teneano di que' tempi con molta esattezza parecchi laici, per lo raffreddamento de' secoli posteriori, oggimai più non sussiste.
All’età di quindici anni il nostro santo perdette suo padre; ma per buona ventura gli era rimasta una madre pia, la quale co' suoi esempli, com'anco colle sue esortazioni, l'intertenne e lo raffermò in tutti que' sentimenti di religione che avea avuto in fino allora. Indarno si fece ogni prova per impegnarlo a menar moglie. Questo stato, benché santo, avrebbe posto un intoppo al desiderio ch'egli avea di sciorsi affatto dal secolo; desiderio che andava ogni dì in lui crescendo, per le serie considerazioni ch'ei facea sulla vanità delle cose terrene. Egli s'era una notte svegliato pieno la mente di cotali pensieri, e messosi in ginocchio si pose ad orare insino al mattino.

Nel fervore di questa orazione si obbligò con voto ad una perpetua continenza, e a consacrare i suoi beni in opere che mirassero tutte alla gloria di Dio. Ma standosi ad aspettare che Iddio più apertamente gli manifestasse la via che dovea tenere, si mise nel seguito di Simone conte di Montfort, generale della crociata dei Cattolici contro gli Albigesi, i quali colle più inaudite crudeltà aveano orribilmente desolata la Linguadoca. Il conte vinse gli eretici, e diede alcun tempo dopo prove non equivoche della stima ch'ei facea del nostro santo. Pietro, re d'Aragona, avendo perduto la battaglia e la vita nella famosa giornata di Muret, lasciò prigioniero Jacopo suo figlio nelle mani di Simone di Montfort, il quale mosso a pietà del giovanetto principe, che non avea allora che cinque anni, ne prese tutta la cura; e siccome una buona educazione è il più prezioso dei beni, lo pose sotto la condotta di Pietro Nolasco, e mandò entrambi in Ispagna. Il santo, che avea allora venticinque anni; parve un modello di tutte le virtù alla corte di Barcellona (1), dov'egli praticava tutti gli esercizi e tutte le austerità del chiostro. Staccato dai piaceri e dalle vanità del mondo, non le risguardava che come lacci tesi all'innocenza, dai quali solo si scampa col fuggirli. L'orazione, la meditazione e la lettura di buoni libri erano l'impiego di quelle ore che avea libere dagli offizi della sua carica. Di que' tempi un gran numero di Cristiani gemeva sotto il giogo della schiavitù nei dominìi dei Mori di Spagna e dell' Africa. I rigori della loro condizione, non che i rischi a cui era esposta la loro virtute la loro fede, fecero il più vivo senso sul cuore del nostro santo; sicché egli formò il disegno d'impiegare tutti i suoi beni pel loro riscatto. Quando vedeva dei Cristiani schiavi dei Maomettani, diceva: «Ecco là il modo di ammassare tesori che non si perderanno mai». Quand'egli era su questo argomento non rifiniva mai di parlarne, e i suoi discorsi aveano tal forza di persuasiva, che molte persone misero somme considerabili per lo secondamento di questa buona opera, della quale Iddio aveva al nostro santo inspirato il pensiero; ma queste passeggere offerte a lui non bastavano, ed egli disegnava di perpetuare questo spirito di carità, e trasmetterlo ai secoli vegnenti . Questa idea sospinse il santo a proporre lo stabilimento d'un ordine religioso, il quale si dedicasse solamente al riscatto degli schiavi. Quantunque la carità fosse l'unico oggetto di quest'ordine, pure se gli mossero molte contrarietà, le quali peraltro- furono al tutto tolte da una visione che ebbero la stessa notte san Pietro Nolasco , san Raimondo di Pennaforte il re di Aragona. Essendo la santa Vergine comparsa a tutti tr , ed avendoli esortati ad affrettare l'esecuzione del meditato disegno, san Raimondo credette non essergli permesso differirla, e il suo sentimento prevalse. Il re promise di alloggiare il nuovo ordine nel suo palazzo, e dichiarò di voler esserne il protettore. Finalmente nel giorno di san Lorenzo dell'anno 1223, Pietro No]asco fu condotto alla chiesa cattedrale dal re e da san Raimondo, e vi fece i tre voti nelle mani di Berengero, vescovo di Barcellona, e vi aggiunse il quarto col quale si obbligava di mettere tutti i suoi beni, e fin la sua libertà, se fosse bisogno, pel riscatto dei cattivi. San Raimondo montò in pulpito, epronunziò un discorso religiosissimo su quella cerimonia; parlò in esso della maniera con cui Iddio avea rivelato la sua volontà a tre diverse persone; la quale era che si fondasse un ordine per lo riscatto dei cristiani cattivi presso gli infedeli. Il popolo applaudì allo stabilimento di tale istituto, e concepì le più sicure speranze dei grandi vantaggi che ne sarebbero venuti. In appresso san Raimondo vestì dell'abito religioso Pietro Nolasco, lo dichiarò primo generale del suo ordine, a cui egli avea dato gli statuti. Due gentiluomini ne fecero professione lo stesso giorno che l'avea fatta il santo.
Fu scelto per essi l'abito bianco, come il più proprio a ricordare l'innocenza con cui doveano vivere, e vi fu aggiunto uno scapolare dello stesso colore. Il re volle che portassero anche le armi d'Aragona sul davanti dell'abito, perché queste fossero un durevole monumento della protezione che egli accordava al nuovo ordine religioso. In questo mezzo la congregazione del nostro santo anelava acquistando a ciascun giorno eccellenti soggetti, il numero dei quali era cresciuto per modo ch'ei non sapea dove alloggiarli. Quindi il re fece fortificare per essi un magnifico convento a Barcellona nel 1232. Tre anni dopo, san Raimondo trovandosi a Roma, ottenne da papa Gregorio IX la confermazione del nuovo ordine, conosciuto sotto il nome della Mercede, e l'approvazione delle sue costituzioni (3). Il re d'Aragona, che venia sempre più conoscendo i vantaggi di questi religiosi della Mercede, diede ad essi  molte case nel regno di Valenza. Quella di Uneza, la più celebre di tutte, che porta oggidì il nome di Nostra Donna della Mercede del Puche (1), fu fabbricata nel luogo ov'era stata trovata l'immagine della santa Vergine, che vi si scorge ancora nella chiesa, e che è grandemente frequentata dai fedeli. Il re fondò questo monastero per aver preso la città di Valenza in virtù delle preghiere del nostro santo. In fatti egli n'era così fortemente convinto, che ad esse attribuiva il merito delle vittorie da lui riportate sui Maomettani, e la conquista dei regni di Valenza e di Murcia. Appena che Pietro Nolasco ebbe abbracciato la professione monastica, abbandonò la corte. Indarno il re si adoperò per ritenervelo, avvegnacchè niente potea in suo cuore agguagliare l'amor ch'egli avea pel ritiro. È vero che qualche tempo dopo ricomparve nel mondo, ma la sola carità ve lo trasse. Suo disegno fu d i riconciliare tra loro due possenti signori, che colle loro discordie aveano turbato il riposo dello stato, e racceso la face dèlla guerra civile; ed ebbe la fortuna di riuscirvi, e di spegnere il fuoco della discordia; dopo di che, non essend o più necessaria la sua presenza nel mondo, rientrò nel suo monastero. Ma siccome volea dare una nuova perfezione al suo ordine; così rappresentò ai suoi religiosi, che non bastava il ricattare alcuni prigionieri nelle terre soggette ai principi cristiani; ma che convenia scegliere due persone, che andassero ad esercitare questa buona opera nei paesi tenuti dagl'infedeli. Il suo consiglio fu accolto con universale applauso, e fu nominato egli stesso con un altro per adempiere una funzione che fece dare il titolo di Redentori a quelli. che avea nell’impresa. Partì dunque di Barcellona per recarsi nel regno di Valenza, ove la sua carità diede uno spettacolo il più edificante. Le diverse pratiche di questa virtù l'occupavano per maniera che non gli lasciavano un istante di posa. Egli passava tutto il tempo a visitare, a istruire e a consolare i prigionieri; e non potendo egli ricattarli tutti, rimettea in libertà quanti più ne potea. I Maomettani furono sommamente tocchi dalle sue virtù, che davano sì grande lustro al santo, e molti di essi aprirono gli occhi alla luce del vangelo. Il santo fece ancora altri viaggi sulle costiere della Spagna, e sempre col medesimo buon successo: ma ebbe molto a sofferire in Algeri, dove fu caricato di catene per la fede di Gesù Cristo. Pure niente potea legare a lui la lingua, e seguitava tuttavia, ad onta d'ogni proibizione, a illuminare gl'infedeli sui loro empi non meno che stravaganti errori. Il suo coraggio era tanto più invitto, quanto che il martirio era lo scopo de' suoi più ardenti desideri.
Il nostro santo, tornato che fu a Barcellona, poco stette a volersi dimettere dal generalato, affine di vivere da religioso privato il rimanente dei suoi giorni; ma nessuno glielo consentì. Tutto quello che ottenne colle sue preghiere e colle sue lagrime, fu che gli si desse un vicario che a lui dimezzasse il peso della dignità. Egli è agevole a pensare che la sua qualità di superiore non scemava punto dell'umiltà di un tal uomo, il quale si riguardava come l’ultimo de' suoi monaci, e si togliea con somma premur i più dimessi uffizi della comunità. Tra le altre cose amava di dispensare le limossie alla porta del monastero, perché questa funzione mettealo in istato d'istruire i poveri, ed esortarli alla pratica della virtù.
San Luigi, re di Francia, aveva una stima particolare del nostro santo, e molte lettere scrisse a lui per indurlo a fargli una visita; ed ebbe questa soddisfazione in Linguadoca nel 1243. Egli accolse il santo servo di Dio colle dimostrazioni della maggiore allegrezza, abbracciollo teneramente, e gli propose di seguirlo in T erra santa. Pier Nolasco, che da gran tempo bramava di far questo, avrebbe volentieri accompagnato san Luigi, ma il cattivo stato di sua salute glielo impedì. In fatti negli ultimi anni di sua vita egli provò un continuo languore, cagionato principalmente dalle fatiche e dalle austerità della penitenza; e questa sua infermità facendosi a ciascun dì maggiore, egli depose nel 1249 il generalato e l'offizio di redentor e, per non pensare che all’eternità. Nell'ultima sua malattia serbò sempre quella pazienza eroica, di che avea fatto luminosa mostra nelle sue lunghe e dolorose infermità. Durante la sua agonia fece ai suo i religiosi un'istruzione sulla perseveranza, e la chiuse con queste parole: Il Signore ha mandato un Redentore al suo popolo; egli ha fatto con esso un'alleanza, che durerà in eterno.
Egli raccomandò poscia l'anima sua a Dio; e morì il giorno di Natale nell'anno di Gesù Cristo 1256, nel sessantesimo settimo di sua vita. I miracoli operati in virtù delle sue reliquie che si custodiscono a Barcellona presso i padri della Mercede, lo fecero porre nel numero dei santi da Urbano VIII nel 1628. Alessandro VII stabilì poi il giorno di sua festa ai 31 di gennaro.
I santi mostrarono sempre una tenera carità per tutti gli uomini essi portavanli, per così dire, tutti nel cuore, ed eran pronti a sacrificare fino la loro vita per assisterli. Né erano paghi di provvedere ai loro corporali bisogni, ma s'adoperavano ancora a distruggere nelle anime loro il regno del peccato, per istabilirvi quello della giustizia. Né da ciò era capace di ritrarli la loro ingratitudine, né i più duri trattamenti che ne riceveano. Essi risguardavano gli uomini come ammalati che meritano più compassione che sdegno; e perciò tutti li raccomandavano a Dio nel silenzio dei loro ritiri, e sollecitavano continuamente la sua misericordia in pro di essi. Questo tenore dei santi nulla può avere che ci debba far istupire, se noi poniamo niente ai possenti motivi che il Salvatore mette in opera per recare i suoi discepoli ad amare i prossimi. Or dopo questo come si potrà mai scusare quella barbara durezza, che sotto mille leggeri pretesti ci porta a ricusare agli sventurati la più piccola parte de' nostri beni temporali? Dimenticammo noi dunque che Gesù Cristo nostro Redentore, da cui abbiamo tutto ricevuto, ci fa un precetto sì solenne della carità verso il prossimo, e sovra tutto inverso i poveri? Ei ci dice di doverli risguardare come membra dello stesso capo, come nostri fratelli e come nostri coeredi, come suoi più cari figli, che sono l'immagine viva di lui; ci assicura che si terrà per fatto a sé stesso quanto di bene avrem fatto ad essi: e ci dà sua fede di pagar le nostre limosine con una gloria immortale. Sì grandi motivi, dice il Crisostomo, sarebbero bastevoli a spezzare un cuore di marmo. Ma ci ha qualche cosa di più, aggiugne questo santo padre, che quel Gesù Cristo stesso che noi ricusiamo di pascere nella persona de' suoi poveri, pasce le nostre anime colle sue sacre carni e col suo sangue. E dopo tutto questo, quale speranza potremo aver noi di trovare mercé appo di esso? Oh accecamento incomprensibile! noi ci scaviamo forse un abisso eterno con quello, con che ci potremmo assicurare l'acquisto d'un regno che non avrà mai fine.

(DALL'AB. ALBANO BUTLER)

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