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Pedagogia Gerardina

CAPITOLO IV

Soddisfare l'ufficio con somma rettitudine... con infinita prudenza... e disimpegnarla tutta piena di amore di Dio.
Quell'amore che abbiamo visto caratterizzante la fisionomia spirituale di Gerardo è all'origine anche della sua concezione pedagogica da lui attinta non alle fonti delle psicologie del tempo, ma scaturita dal cuore stesso di Cristo che vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Quest'ultima parte vuole essere un tentativo per scrutare la sua personalità come maestro di ascetica e mistica, ma anche come semplice educatore perché attraverso la lettura dei suoi scritti più facilmente e più speditamente si possa cogliere la sua capacità di consiglio, posta a servizio delle anime che a lui si rivolgevano. Gerardo, anche se di intelligenza spiccata, era un "illetterato"; tuttavia sono molti gli insegnamenti sparsi nelle sue lettere. Prenderò come esempio esaustivo la lettera diretta alla priora di Ripacandida, Madre Maria Michela, appena eletta a questo ufficio. È senza data, scritta non prima del 1752, anno in cui era ancora priora la Madre Maria di Gesù e neppure oltre il 1755, anno della morte di Gerardo, ma presumibilmente nell'estate del 1753.
È una lettera significativa che può essere assunta come punto di riferimento prezioso anche per le famiglie di oggi per delineare l'autentico rapporto tra genitori e figli. Il p. Tannoia che in materia pedagogica era maestro, la definisce un piccolo trattato di pedagogia, anche se "manca il dippiù della lettura, perché disperso", come annota lo stesso Tannoia. Vengono enucleate in questa efficacissima lettera, tutte le più alte virtù cristiane: la prudenza, la rettitudine, l'umiltà, lo spirito di servizio, la dolcezza insieme alla fortezza, l'amore, il fervore divino, l'incoraggiamento e l'esempio; virtù queste che dovrebbero ispirare l'azione educativa del credente.
Oggi esse sono largamente oscurate o ignorate a vantaggio del successo e del profitto o, nei casi migliori, a vantaggio di una prassi che tende solo ai risultati immediati e non è mossa, né alimentata da queste virtù, le quali possono imprimere alla prassi stessa e al fervore dell'iniziativa, il suggello dell'amore, della vera benevolenza e, si direbbe, dell'autentico dono.
La lettera è stata scritta da S. Gerardo dietro richiesta della Madre Maria Michela. Ciò è significativo. Ella chiede dei consigli a Gerardo, quando avrebbe potuto chiederli ad un sacerdote, ad una persona più colta, ad un maestro, ad un esperto in arte pedagogica. Si rivolge, invece, a lui per la sua santità, perché lo considera ispirato da Dio e perché ne ha sperimentato (efficacia del linguaggio nelle conversazioni e nelle "chiacchiere" che fratel Gerardo aveva spesso tenuto alle monache in parlatorio.

Rettitudine
Egli entra subito in argomento e, senza preamboli, dice chiaramente ed espressamente che "la priora sta al posto di Dio e perciò deve agire con somma rettitudine", se vuol compiere bene la volontà di Dio, che l'ha posta in quel luogo.
È la prima virtù che deve possedere l'educatore. Quando c'è questa, si cerca l'interesse dell'altro e soprattutto (interesse di Dio che vuole la santità di ogni persona. Solo la gloria di Dio deve orientare le proprie azioni, solo a questa si deve tendere nel procurare il bene agli altri e nell'adempiere sempre e solo la Sua volontà.

Prudenza
La seconda prerogativa è la prudenza: "sia piena di infinita prudenza", si legge nella lettera; una virtù essenziale per ben governare.
S. Bernardo pospone la santità del superiore e la sua dottrina, per dare il primo posto alla prudenza. Egli dice: "Sanctus oret, doctus doceat, prudens gubernet". Il santo preghi, il dotto insegni, l'uomo prudente governi. E S. Tommaso spiega ancor più dettagliatamente: "La prudenza vera e perfetta è quella che consiglia, giudica e guida rettamente al buon fine di tutta la vita".

Testimonianza
Poi Gerardo scende ai particolari dicendo che la priora "Esser deve piena di fine virtù e buoni esempi e non dare alle figlie un atomo di ammirazione".
Sullo stesso tenore continua: "Essere deve un puro vaso ripieno di sante virtù, e che da esso escano le virtù tutte per così comunicarle alle sue figlie, acciò crescano tutte colle medesime virtù della madre". Questo consiglio dato da Gerardo è pedagogicamente significativo: per poter attingere dal vaso è necessario che esso sia pieno. Non si può dare ciò che non si ha.
Non solo una priora, ma neppure un educatore può rinunciare ad una pienezza interiore, né esimersi dal dovere della testimonianza per comunicare agli educandi i valori autentici della vita.
Posti questi principi, prosegue con (insegnare lo spogliamento di se stesso. "Continuamente mirare deve, chi è superiore, la sua bassezza, pensando che altro non può fare che male; in questo ufficio, in cui sta, ve l'ha posta Iddio per sua bontà; poiché vi stanno tante altre che potrebbero farlo e dargli gusto, che perciò deve avvilirsi, considerando le sue imperfezioni e compatire i difetti delle altre".

Umiltà
L'umiltà si accompagna allo spogliamento, perché riconoscendosi davanti a Dio pieni di miseria, si prende il giusto posto anche davanti agli altri: solo questa virtù ci fa ridimensionare i nostri giudizi, ci dà quella capacità di comprensione, essenziale per l'armonia di una comunità e di una famiglia ed è in linea con l'esempio di Gesù che non disse: "Imparate da me a governare e a dirigere con forza e con violenza" ma: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete pace per le anime vostre" (Mt. 11, 29).
La penna di Gerardo diventa più ardente e luminosa man mano che procede nell'argomento, e trova, nella sua mente infiammata d'amore, nuovi motivi interessanti e vantaggiosi spiritualmente. "Il suo ufficio disimpegnarlo deve tutta piena d'amor di Dio, e non aborrirlo come cosa che da Dio non fosse data; e pensare che Dio glielo ha preparato ab aeterno. Perciò soddisfare lo deve con somma angelica perfezione e conformarsi in tutto al divino volere; e stare in questo impiego indifferentissima senza attaccarvisi".

Il compito di educatore non è un fardello pesante sulle nostre deboli spalle ma un atto di fiducia del Creatore che ci vuole collaboratori nella sublime missione di plasmare le creature umane nella loro complessità di anima e di corpo. È quello che Gerardo intuisce, lui semplice illetterato, con una penetrazione che ci meraviglia grandemente.

Libertà di spirito
"Indifferentissima senza attaccarvisi!" Come è difficile compiere l'ufficio di educatore con libertà di spirito, scrutando in coloro che sono oggetto delle proprie cure, unicamente i disegni di Dio e non le proprie vedute. Il nostro santo diventa sempre più convincente mentre continua a dare suggerimenti di umiltà e di riconoscenza verso Dio e che "vi ha pensato da tutta l'eternità ".
Altri spunti sono suggeriti alla riflessione di Gerardo e lo immergono in un vastissimo campo pedagogico: "In cose che portino confusione, cioè di non sapersi risolvere come regolarsi nella tale e tal cosa, consigliar si deve con persona illuminata da Dio. Conchiuso il caso, deve mettersi davanti agli occhi la gloria di Dio e seguirlo senza badare ad altro. E per Dio (ci) si deve mettere il sangue e la propria vita, perché è causa di Dio".

Spirito di servizio
Se è necessaria quindi la prudenza, non è meno indispensabile per ben governare, il farsi guidare, specialmente nei casi difficili, da persone competenti per poter prendere sagge risoluzioni; tutto questo, si direbbe con un linguaggio moderno, in vista di un orientamento da offrire alla persona umana in via di evoluzione, come dice S. Gerardo: una volta esaminato il problema e chiesto un consiglio illuminato, si deve operare con risolutezza, con la coscienza di agire per la gloria di Dio e solo per il bene.
A noi del post Concilio questa lettera richiama il testo della "Perfectae Caritatis" al n. 40 quando, parlando, dei superiori, dice: "1 superiori poi dovendo un giorno rendere conto delle anime loro affidate, docili alla volontà di Dio nel compimento del proprio dovere, esercitino l'autorità in spirito di servizio verso i fratelli, in modo da esprimere la carità con cui Dio li ama. Reggano i sudditi come figli di Dio e con rispetto della persona umana, facendo sì che la loro soggezione sia volontaria". Così in qualche altro passo della lettera citata abbiamo la netta impressione che essa anticipi, in qualche modo, alcune asserzioni del Concilio.

"Il pensiero della superiora ha da essere una continua ruota, che si raggira sopra i bisogni delle sue figlie. Ditte le ha da amare puramente in Dio, senza veruna distinzione". Dal testo di Caione e Maiorano si precisa: "Gerardo parla a una superiora del '700, quando non si concepiva che una donna potesse essere religiosa, se non come monaca di clausura. Ma credo che anche lo stile della superiora di vita attiva debba essere quale lo vuole Gerardo; e debba esserlo proprio perché le "opere" spesso tendono a trasformare in "operaie" anche le suore. È male per tutti se le opere trasformano chiunque, suora o laica, uomo o donna in operai. Ma per le suore il danno è doppio... L'immagine che il pensiero della superiora sia quasi una ruota che continuamente si raggira sopra i bisogni delle sue figlie, come l'altra immagine sia puro vaso ripieno di sante virtù da continuamente versare e comunicare alle suore, indica la continua disponibilità della superiora nel seguire i problemi, i bisogni della vita della comunità", perché anche nel fermento delle opere rimanga intatta la vera fisionomia della superiora e della comunità religiosa.

Attenzione materna
Questo asserto potrebbe essere accettato dalla pedagogia contemporanea che considera il processo educativo, sia pure sotto la guida facilitante dell'educatore, sempre incentrato nei bisogni degli educandi, siano essi alunni o figli, sui loro problemi, sulle loro esigenze. Nell'esortazione di Gerardo, perché, anche nel fermento delle opere resti intatto l'interessamento dell'educatore, si coglie una dolcezza che nasconde un atteggiamento femmineo, quasi materno, nell'intuizione che tutti hanno bisogno di sostegno e che esso può venire solo da chi ha cura di loro. Se questo spirito di comprensione e di immedesimazione nei problemi e nelle necessità degli altri è necessario ad una "priora", non meno potrà sentirsene esente qualsiasi persona investita di una missione educativa. Di fronte all'atteggiamento forse indifferente e autosufficiente delle nuove generazioni, ci si potrebbe sentire incapaci di penetrare nei meandri difficili di certe situazioni. L'educatore non deve dimenticare, in questi casi, il suggerimento di Gerardo: solo l'amore nelle sue manifestazioni più semplici può vincere certe durezze che il più delle volte mascherano un forte ed inconfessato bisogno di affetto.

Gerardo ha certamente imparato tale finezza di penetrazione dal contatto con il Cuore di Cristo e dalla frequenza con persone consacrate. È una grande dote saper penetrare nell'interno delle persone, nella loro struttura di anima e di corpo e saper così comprendere anche le più minute necessità. Questa attenzione rivolta alla persona umana nella sua integrità è estremamente attuale.

Correzione fraterna
Quindi Gerardo passa ad un argomento più delicato: la correzione fraterna delle suddite. E lo fa con una dovizia di consigli che ci stupisce: "Deve dare confidenza a tutte, maggiormente quando vede che alcuna non ha con essa la confidenza. Deve usare la forza e la prudenza, per guadagnarsi il cuore, dimostrando buona cieca, ancorché non se lo sentisse interiormente. E deve farsi tutta la forza per vincere se stessa, per amor di Dio".
Quale psicologia dell'animo umano!
"Se così non fa col dimostrarle familiarità di madre, di certo accresce il disturbo di sua figlia. E quella vedendosi afflitta, si può dare alla disperazione o almeno non avanza nell amore di Dio, perché continuamente vi sta nel cuore quella radice".
Ecco ciò che preme al cuore di Gerardo: "l'avanzamento nell'amore di Dio"! Per questo traguardo bisogna sacrificare tutto, anche le proprie stanchezze, i propri umori, i propri punti di vista, che non sempre sono volontà di Dio.

Penso che non si possa scrivere una pagina più incisiva al riguardo. Pare che egli abbia studiato il cuore della donna e da quanto ha conosciuto, ha tratto le sue importantissime conclusioni. Con questo metodo Gerardo inculca il rispetto della persona e se talvolta l'espressione "suddita" compare nel suo scritto, esso risponde alla terminologia del tempo e non sta a significare una certa passività da parte di chi riceve con prudenza il consiglio o la correzione. Così egli si richiama alla fortezza e alla dolcezza insieme che debbono confortare e dirigere una comunità di donne e di monache. Non trascende in una sorta di debolezza, nociva all'individuo e alla comunità, anzi egli insiste su un concetto di autorità, piuttosto rigoroso, dettatogli dalla mentalità corrente dell'epoca, tuttavia il suo discorso è valido perché suppone un "dialogo" tra la superiora e la sua figlia.
"Stando in luogo di Dio, la priora deve farsi ubbidire e deve castigare le disubbidienti che non vogliono sentire la voce di Dio, ma castigarle con prudenza. La correzione comincia con la dolcezza. Con questa vi resta una certa tranquillità che fa conoscere il suo errore".
La dolcezza è fatta d'amore per colei che deve ricevere la correzione. Nell'avviarsi alla conclusione, egli assume sempre più un atteggiamento di carità squisita, sia per la "suddita" che per la ' priora": "Io sono di sentimento che, quando la correzione è fatta in questa maniera la figlia ricorre alla madre e la madre, dimostrandole confidenza, può disingannarla e farla camminare per la vera strada della perfezione".
Il santo ci fa intendere che dialogare non è venire al compromesso tra il modo di pensare e di vivere del singolo e quello della comunità, ma è per tutti un aiuto e un vantaggio al fine di progredire nella perfezione.
Questo non vale solo per le comunità religiose, ma per ogni famiglia che voglia realizzare in sè la missione di piccola "chiesa domestica": nulla più del dialogo risolve i problemi, appiana le divergenze. Infine, con saggia e fine psicologia, Gerardo aggiunge: "La dolcezza porta pace e tranquillità ed anima la figlia ad amare Dio. Perchè si manca di prudenza, perciò ci sono tanti disturbi in alcune case religiose. Dove ci stà il disturbo, ci stà il demonio e dove ci stà il demonio non c'è Dio".
Efficacissimo quell'accenno al "disturbo", un termine con il quale il Santo condensa tutto quel malessere diffuso che è ribellione e rifiuto di chi si sente oppresso e non amato, un malessere che potrebbe essere evitato dalla lungimiranza dell'educatore che Gerardo definisce ' prudenza", capace di portare ' pace e tranquillità" e che, soprattutto, potrebbe essere sanato dall'amore che salva da ogni forma di disperazione.
Così Gerardo conclude con un appello alla pace, simbolo della presenza di Dio, aspirazione di ogni cuore umano, traguardo di felicità, per ogni famiglia cristiana che vuol vivere il monito del Concilio il quale a tutti, e non soltanto ai religiosi, addita la via della santità.
Dice la Costituzione Dogmatica "Lucem Gentium" al n. 40: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato 0 grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: da questa santità è promosso anche nella società terrena, un tenore di cita più umano".
Dando uno sguardo complessivo alla lettera notiamo sempre meglio l'obiettivo di Gerardo: il bene delle anime e la gloria di Dio. Questi due momenti facevano di lui un instancabile cercatore di anime consacrate, per incoraggiarle nella via della perfezione. Questi due momenti fanno di lui un innamorato della bella volontà di Dio, che è luce divina, unico faro a cui rivolgersi per raggiungere la meta alla quale Dio ci ha chiamati: la santità e la beatitudine eterna!
Volgendo lo sguardo a questo saggio, scritto con amore, più che con competenza letteraria, vedo Gerardo brillare di una luce incantevole, la luce stessa di Cristo, che è venuto a mostrarci il volto del Padre. Semplice fratello laico, umile religioso di poca cultura, è stato trasformato da Dio in ardente missionario.
Si è fatto apostolo ed è divenuto il conforto di tanti afflitti, "Padre dei poveri" si è fatto predicatore di claustrali, riformatore di monasteri come quello delle suore di Atella, di Corato, di Ripacandida; ha aiutato i giovani a realizzare la loro vocazione facendosi per loro questuante amoroso. Ha saputo parlare a tante persone avvicinandole a Dio, ha convertito molti peccatori, esortandoli ad alimentarsi alla fonte della salvezza, al cuore stesso di Gesù.
Per le sue particolari virtù taumaturgiche è stato amato e venerato come patrono di mamme e di bambini, in un brevissimo arco di anni. Non ha lasciato opere letterarie, ma ci ha regalato il meglio della sua mente, del suo cuore e della sua santità: le poche lettere che di lui ci sono pervenute contengono una tale incandescenza da poter essere avvicinate a quelle di Caterina da Siena, e per lo spirito di semplicità, agli scritti della piccola Teresa di Gesù Bambino, la santa dei nostri giorni. Esse, insieme ad altri brevi scritti, rimarranno il monumento più vero della sua breve esistenza e saranno sempre la vera fonte per conoscere l'animo di S. Gerardo.
Ho voluto guardare il nostro santo da questa angolatura anche se sono molti gli aspetti della sua personalità, in gran parte ancora da scoprire. Possono essere utili per una lettura spirituale alcuni pensieri significativi che riporto in appendice, tratti dei suoi scritti, insieme alla lettera alla Madre Maria Michela, esaminata nel contesto di questo lavoro e alla presentazione dei miracoli riconosciuti per la sua glorificazione.
In chiusura vorrei citare quanto il Card. Michele Giordano, Arcivescovo di Napoli, ha detto nel solenne rito di apertura delle celebrazioni centenarie del nostro Santo: "San Gerardo resta una figura di santo ricca di un fascino tutto particolare. La sua santità, infatti, ci appare come una santità imposta dal popolo e capace di sintetizzare ed elevare tutte le aspirazioni del popolo, da quelle concrete e quotidiane, come guarigioni, protezione di bambini e benedizione dei campi, a quelle più prettamente religiose e spirituali. San Gerardo è un santo del popolo e per il popolo".

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