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Domestico prelatizio

Capitolo VII

Monsignor Claudio Albini aveva profittato della venuta a Mauro per cercare un domestico per il suo Episcopio di Lacedonia. La cosa non era tanto facile: era un miracolo se un cameriere potesse durare un mese o, al massimo, due, al suo servizio, dato il suo carattere impossibile.
All’ossuto, dinamico, la sottana paonazza sembrava fluttuargli intorno alle membra. La testa pelata, gli occhi mobilissimi e cangianti, posti a distanza ravvicinata ad un naso lungo e adunco, e, sotto, il taglio senza labbra della bocca che si apriva di continuo, mettendo in mostra i pochi, arrugginiti denti cavallini.
Ad una estrosa ed esuberante energia, che spesso degenerava in imprevedibili tempeste di collera, questo prelato accoppiava uno zelo, pieno di buona volontà ed un discreto tatto diplomatico nel maneggio degli affari. Dopo alcune permanenze con un lavoro efficace ma poco felice presso la diocesi di Caserta, Salerno ed Urbino, nel 1736 si trasferì a Roma. Qui, mettendo a profitto la sua abilità ed esperienza curiala, seppe discretamente manovrare presso il Papa Clemente XII e riuscì a farsi creare vescovo di Lacedonia. Mamma Benedetta, alla richiesta di Monsignor Albini, propose il suo figliuolo Gerardo. Il senso pratico, che le si era acuito dalle necessità familiari, le faceva intravedere questa occasione come un tratto della Provvidenza. Ella ormai non sperava più di vedere Gerardo diventare un discreto artigiano e procurare un sufficiente sostentamento alla famiglia: Mastro Martino lo aveva ridotto a fare il servo per la sua casa, tanto valeva impiegarlo presso il vescovo, più dignitosamente e con più profitto. Oltre questo, vi era anche un'altra recente esperienza fallita di sistemazione per Gerardo. Cedendo alle sue istanze, mamma Benedetta gli aveva permesso di andare dal suo fratello cappuccino, P. Bonaventura Galella, superiore provinciale della Basilicata e che in quei giorni si trovava di passaggio al convento di Santomenna, una cittadina a venti chilometri da Muro. Gerardo gli aveva chiesto di entrare nel noviziato, che era stato sempre il suo sogno. Ma dopo solo una settimana se ne era tornato avvilito e deluso. Lo zio non aveva approvato la sua vocazione, per la sua costituzione non abbastanza robusta a sostenere le austerità della vita francescana; anzi Gerardo era riuscito solo a farlo arrabbiare, quando aveva donato al primo povero, senza pensarci sopra, una giamberga quasi nuova, che gli aveva regalata. E poi la presenza di Gerardo in paese era fonte di continue ansie e preoccupazioni per la povera mamma. Infatuato dal suo ardente desiderio di soffrire per amore di Gesù appassionato, egli supplicava i suoi coetanei con una voluttà di sadismo santo, di batterlo e malmenarlo. Si faceva fustigare o mettere con la testa in giù sull'acre fumo di un focherello di sterpi umidi. Nei giorni di neve, si prestava facile bersaglio agli spassosi tiri della ragazzaglia ... E così tante volte la mamma se lo vedeva tornare a casa, lacero, infangato, sanguinante e ... felice. Ma il suo cuore non resisteva, e scoppiava a piangere ...

Anche a Gerardo la proposta della mamma di andare con il vescovo di Lacedonia, sembrò ottima. E' vero che gli toccava lasciare l’affetto della famiglia Pannuto, ma lo rendeva orgoglioso il pensiero di servire un vescovo che rappresentava più da vicino il Signore. La cosa fu combinata con soddisfazione anche di Monsignor Albini. Quando la mamma di Gerardo uscì dall’udienza, si sentiva commossa, confusa: un tremito di soggezione le agitava le mani, rinserrato tra le poste del rosario sotto lo scialle liso…
Gerardo partì per Lacedonia qualche giorno dopo. Era l’alba. Con un modesto fardello sul dorso, uscì dalla sua asetta, e, dopo essersi inginocchiato sulla strada, chiese alla mamma la benedizione. Poi si avviò spedito per il sentiero in pendio per raggiungere la posta della diligenza. Mamma Benedetta lo salutò ancora una volta con la mano alla svolta, e quando non lo vide più, si asciugò una lacrima con la cocca del grembiule.

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