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Il "pozzo di Gerardiello"

Capitolo IX

Le pause del suo lavoro Gerardo le trascorreva nell’oratorio Prelatizio. In quella penombra colorata dalle tenui luci filtrate dai finestroni, egli si sentiva felice come in un pezzetto di paradiso. Lì poteva parlare a cuore a cuore a Gesù nel Sacramento e nessuno disturbava i loro colloqui intimi. Ma gli piaceva anche la bella statua della Madonna, dalla veste ricamata in oro come quelle delle grandi dame; dal viso affilato e sorridente, un poco inclinato sotto il peso del diadema. Nelle braccia aveva un bellissimo Bambino, come le rosee braccine allargate come per un invito. Questi però non scendeva a giocare con lui, come quello di Capodigiano.
Del resto Gerardo, di giocare ora, ne aveva ben poca voglia e ancora meno tempo; tuttavia era convinto di poter contare sempre sulla loro vecchia amicizia.
Una mattina Gerardo, come al solito, dopo aver rassettato le varie stanze dell’appartamento vescovile, lo aveva rinchiuso e, con un gesto usitato, si era infilato la grossa chiave nella cintola. Poi si era recato nel cortile ad attingere l’acqua per i carrafoni della cucina, dal pozzo rettangolare, addossato al muro maestro del palazzo.
Ad un certo momento nel tirare la corda del secchio attraverso la carrucola, agganciata ad una trave infissa nel muro, fa un movimento brusco, e, proteso come si trova sul vuoto del pozzo, si lascia sfuggire la chiave, la quale, dopo essere rimbalzata con un tintinnio su di un sasso sporgente, cade nell'acqua profonda con un sordo tuffo ... Gerardo resta con le braccia a mezz'aria, attaccate alla fune. Un senso di sgomento lo prende allo stomaco: "E adesso come faccio? ... ".
Accorre qualche fantesca; si sparge la voce. In breve tutta la servitù fa cerchio intorno al povero Gerardo, umiliato e paralizzato per il disappunto.
-Che bel guaio hai combinato!. .. -sottolinea qualcuno dei presenti. -E chi lo vuol sentire Monsignore adesso che ritorna? ...
Mentre la piccola folla intorno al pozzo commenta, fa dei progetti, li scarta, li modifica per affrontare la situazione, Gerardo ha un sobbalzo: una idea gli à balenata dentro. Pianta tutti e scappa verso la Cappella: il Bambino Gesù; sì, lui lo può trarre d'impaccio. Lo stacca delicatamente dalle braccia della compiacente Madonna e lo porta sul pozzo.
-Ma che cosa intende fare? -si domandano gli astanti. -Che altro gli frulla nella testa, a quel mezzo bislacco? Gerardo sa il fatto suo. Stacca dalla corda del pozzo il cato, e al suo posto, lega il Bambino. Lo adagia un momento sull'orlo del pozzo, si inginocchia e così lo prega: -Bambino Gesù, per favore, ripescatemi la chiave che mi è scivolata giù. Lo so che sono sempre il solito sbadato; ma vi prego, non pensate ora a me, ma al dispiacere che proverebbe il povero Monsignore ...
Si rialza, si fa un bel segno di croce e con decisione cala la statuetta nel pozzo. Gli astanti non hanno il tempo di meravigliarsi, presi come sono dalla curiosità per la insolita trovata di Gerardiello. Decine di visi si chinano sul nero, umido vuoto ...
Il Bambino è sceso sotto il pelo dell’acqua, la lunga corda ne indica il punto della immersione. Alcuni istanti e poi Gerardo comincia a tirare. Lo stridio della carrucola risuona aspro sull'attonito silenzio di tensione. Gerardo tira ancora, ed ecco riaffiorare il bambino, grondante acqua dai riccioli della parrucca e dal vestitino: la grossa chiave la tiene infilata nel braccino destro!
Con una spontanea esultanza si grida al miracolo; solo Gerardo è semplicemente felice e sereno. Dopo recuperata la chiave, scioglie Gesù Bambino e, così bagnato com'è, se lo abbraccia con un impeto di riconoscenza, e poi lo va a riportare dalla Mamma.
Questa meravigliosa avventura resterà imperitura nel ricordo dei fortunati testimoni che ne tramanderanno la narrazione; ed i posteri verranno con devozione a chinarsi e baciare quelle rozze pietre per venerare il Pozzo di Gerardiello.
Gerardo restò al servizio del vescovo di Lacedonia, Mons. Claudio Albini, per circa quattro anni, vincendo ogni primato di resistenza in tale eroica permanenza. Solo la morte del suo padrone, avvenuta il 25 giugno 1744, interruppe il suo lavoro di livrea.
La scomparsa dell'estroso vescovo diede l'impressione della liberazione da un incubo a quanti avevano avuto la non gradita sorte di essere stati i suoi amministrati: clero, popolo, paesani e soprattutto domestici. Se qualcuno ebbe delle parole di comprensione ed anche di ammirazione, certo però nessuno lo pianse. Solo Gerardo, nella sua generosità di santo, versò sulla sconsolata bara del suo illustre Padrone, le sue umili e sincere lagrime!

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