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“Vado a farmi Santo”

Capitolo XIX

Il ricorso al Superiore da parte di mamma Benedetta fu preceduto da una drammatica e commovente scena svoltasi tra le pareti domestiche nella sera prima, al ritorno dalla Missione, la mamma si fa coraggio ed affronta l’argomento della vocazione di Gerardo. Ha la certezza di mettere la mano impietosa sulla bruciante ferita che assilla tutti e due. Ma già dalle prime parole, la povera donna non sa trattenere le lacrime che cominciano a ruscellare dagli occhi, preoccupati e stanchi, lungo le ormai rugose gote:
-Figlio mio, che vuoi fare? No, tu non devi abbandonare tua madre!
Gerardo rimane scosso, non risponde. Benedetta con un gesto disperato e materno gli si inginocchia dinanzi e tra i singulti implora:
-Gerardo mio, perché vuoi farmi questo? No, no, non mi abbandonare! Non vedi che sono vecchia, stanca e sola?
In quell’istante la fitta oscura che la frugava in fondo al cuore ebbe un volto nel ricordo del passato venerdì santo:
-Non lasciarmi per quel dolore che hai sofferto sulla croce e che ha fatto tanto soffrie anche me, tua sconsolata madre!
Madre e figlio erano presi dalla commozione, spinta, fino allo spasimo, rievocato da quel ricordo di passione. Gerardo stesso, confesserà alcuni anni dopo ai suoi confratelli, che quello fu il dolore più grande della sua vita.

Per mamma Benedetta rimaneva ancora qualche speranza nelle parole rassicuranti del superiore, al quale aveva fatto presente, oltre l’indigenza in cui versava la sua famiglia e che si sarebbe aggravata con la partenza del figlio, anche le passate esperienze di vocazioni fallite. Il P. Cafaro le aveva assicurato che da parte sua non avrebbe mai accettato il figlio nella Congregazione, comunque la invitava ad avere pazienza e, data la evidente ostinazione del figliuolo, la metteva sull’avviso a tenerlo a bada, specialmente in quegli ultimi giorni della Missione.
È curioso costatare come, in una lettera che il P. Cafaro inviava da Muro a S. Alfonso, parla di un altro postulante Fratello, ex cuoco di Mons. Mojo, presentandolo come una vantaggiosa conquista; mentre non fa accenno a Gerardo, tanto era convinto di aver liquidato la sua candidatura.
La sera del 4 fu la conclusione della Missione a Muro Lucano. Un’ondata di grazia era passata sul paese: quasi tutti si erano avvicinati ai sacramenti, e da quelle anime rinnovate, ora esplodeva la gioia e la gratitudine entusiastica verso i messaggeri di Dio. L’indomani, nella piazza del paese, era presente tutta la popolazione che si accalcava benedicente, delirante a dare l’addio ai Missionari in partenza.
Mancava Gerardo. La madre per precauzione lo aveva chiuso nella sua stanzetta e una sorella ne montava di guardia. Ma quale forza può fermare l’impeto della voce di Dio che chiama? Tutta la notte Gerardo la passò in preghiera ed in ansiosa attesa del giorno decisivo della sua vita. Era sicuro che sarebbe andato anche lui con i Missionari, anche se non sapeva ancora come avrebbe fatto.

Quando, alle prime luci dell'alba, giunge fino a lui il clamore della folla che seguiva la carrozza dei partenti, Gerardo si decide a fuggire. Afferra la mappata già pronta con le poche sue robe: un vestito, qualche capo di biancheria e delle calzette (tutto il resto lo aveva regalato al suo giovane amico Carmine Petrone) e fa per aprire la porta. Non ci riesce: è ben serrata. Deve saltare dalla finestra. In mancanza di una corda per calarsi giù, attorciglia le lenzuola con ansia febbrile e ne annoda un capo allo stipite. Sta per scavalcare il davanzale: e la mamma? Come un rovente coltello questa parola gli attraversa l'animo. Che coraggio abbandonarla così, senza nemmeno rivederla, salutarla! Ritorna indietro, e su di un pezzo di carta, che l'ascia ben in vista sul tavolo scrive:
Mamma perdonami se ti devo lasciare. Vado a farmi santo.
Poi s'aggrappa alle lenzuola e si lascia scivolare giù: la preoccupazione di far presto non gli fa pensare minimamente al pericolo di una caduta. In pochi istanti è sulla strada deserta.
Raccatta la mappata e via di corsa per i sentieri traversi e scoscesi verso la valle, senza badare ai rovi e al fango.
Vuole incrociare la carrozza dei Missionari alla località delle Crocelle. Sa che essi sono diretti ad un’altra Missione, a Rionero a 30 chilometri da Muro, e la strada passa proprio di là. Infatti arriva prima, all'incrocio, e dopo pochi minuti ecco comparire la carrozza. Gerardo, ancora ansante e trafelato, si fa in mezzo alla via e va pericolosamene incontro ai cavalli lanciati la trotto e grida con quanto fiato gli rimane in petto:
-Fermatevi, fermatevi: fatemi venire con voi.
Il cocchiere frena a stento i cavalli, la carrozza si ferma con uno strattone; dagli sportelli si affacciano i volti dei Padri curiosi e commossi. Il superiore, questa volta davvero infuriato, gli grida:
-Vattene a casa. Lo vuoi capire che la nostra vita non è fatta per te?
Gerardo non ha più forza per replicare; ma lo fanno per lui i suoi occhi imploranti … E quello sguardo, in cui riluceva insieme ad una forza inflessibile, un raggio di predestinazione, piegò finalmente l’Ira di Dio.
Gerardo con un balzo è sulla carrozza: è felice! Quando si ripiglia il viaggio, egli si volta indietro e guarda attraverso lo spioncino: rivede ancora una volta la sua Muro, arroccata intorno alla Cattedrale e che si allontana nella nube di polvere. Pensa ai suoi cari, alle sue sorelle, alle lacrime della sua mamma … Addio!

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