San Gerardo Maiella
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Spiritualità Gerardina

CAPITOLO III

Stiamo dunque indifferentissimi in tutto, acciò sempre, in tutto, possiamo fare la volontà di Dio, con quella somma purità d'intenzione che Dio vuole da noi.
Attualità perenne di un carisma. Ogni uomo, creato dal cuore amoroso di Dio, ha insito nel suo stesso essere, direi nella sua stessa carne, l'anelito all'unione con Dio. Impastato d'amore, l'uomo tende consciamente o incosciamente alla fonte dell'amore che è Dio. Gesù benedetto si è fatto vittima d'amore, ci trascina e ci coinvolge.
A questa meravigliosa opera lavorano le Tre Divine Persone, in una sintonia mirabile da conquistare i cuori più disposti, i cuori più semplici, che non cercano grandi cose, ma solo Colui che è grande. I santi sono coloro che si sono lasciati attrarre fortemente da questa calamita d'amore e hanno seguito la scia lasciata da Gesù stesso. Essi, come Gerardo, hanno compreso che nulla vale in contrapposizione con l'amore sommo, il quale appaga ogni desiderio, ogni anelito che vibra nel cuore.
Perché un santo abbia influenza sui suoi fratelli di ogni tempo, è necessario che la sua dottrina e la sua vita possano essere presi come esempio e come aiuto nelle circostanze concrete dell'esistenza. Un santo è una forza travolgente quando, oltre la sua mediazione, offre l'efficacia dell'esempio che trascina e stimola a cercare in Cristo, unico mediatore fra Dio e gli uomini, il senso radicale della vita.
Guardare Gerardo da questa angolatura, significa vederlo in quegli atteggiamenti molto simili ai nostri, quando cerchiamo forza ed entusiasmo nella nostra ascesa verso l'incontro con Dio. E Dio si fa allora più vicino, sia per la mediazione del santo sia per lo stimolo nella fede, nella speranza e nell'amore. Gerardo deve poter dire a noi come orientare la nostra vita e come essere oggi un prolungamento della vita di Gesù per i fratelli.
A questo tutti siamo chiamati per l'incorporazione a Cristo ricevuta nel battesimo.

La bella volontà di Dio
Studiare la vita di un santo, è scoprire l'asse portante su cui poggia la sua ascesa all'unione con Dio. Abbiamo visto che nella vita di Gerardo la "bella volontà di Dio" lo conduceva nelle ardue vie della Croce di Cristo, facendolo scendere verso i fratelli.
In questo nostro mondo tanto travagliato, ma anche così ricco di possibilità di bene, quale potrà essere il ruolo di Gerardo? Quali esempi sono per noi stimolanti affinché non ci attardiamo nelle cose di questoStudiare la vita di un santo, è scoprire l'asse portante su cui poggia la sua ascesa all'unione con Dio. Abbiamo visto che nella vita di Gerardo la "bella volontà di Dio" lo conduceva nelle ardue vie della Croce di Cristo, facendolo scendere verso i fratelli. In questo nostro mondo tanto travagliato, ma anche così ricco di possibilità di bene, quale potrà essere il ruolo di Gerardo? Quali esempi sono per noi stimolanti affinché non ci attardiamo nelle cose di questomondo, ma solleviamo le ali verso cieli aperti? Egli si è fatto santo amando molto "il suo caro Dio", ha amato molto "il nostro Caro amoroso Gesù" e ha amato molto "Mamma Maria Santissima".

Questi tre grandi amori hanno caratterizzato la sua vita e lo hanno portato ad amare i fratelli più bisognosi, non di solo pane, ma di perdono, di misericordia, di amicizia, di consolazione e anche, all'occorrenza, di miracoli.
Lo Spirito Santo a poco a poco aveva infiammato l'anima del piccolo Gerardo, lo aveva innamorato di Gesù nell'Eucaristia, lo aveva spinto a considerare Maria come sua fidanzata, a prendersi cura degli altri, ad amarli fortemente in piena libertà di spirito. L'amore di Dio, se è vero, deve portare all'amore dei fratelli, un amore che non si ripiega su se stesso, ma che abbia le stesse motivazioni di Gesù: la salvezza e il bene della persona umana nella concretezza della vita. È quindi conforme a chi cerca Dio sentire il bisogno di amare nella piena libertà senza lasciarsi imbrigliare il cuore. Guardando Gerardo in tutta la sua maturità, intendo sottolineare le costanti della sua vita: sono richiami sempre validi per gli uomini del nostro tempo.

Presenza di Dio
Gerardo è sempre in cerca della presenza di Dio, di un Dio non lontano, ma che gli si fa incontro nelle varie circostanze. E poiché segno della presenza di Dio è fare la sua volontà, Gerardo la cerca come una presenza di fede e come una presenza d'amore. Per lui fare la volontà di Dio è il segreto della sua libertà. Se così non fosse la mortificazione sarebbe un assurdo e così ogni altra privazione o penitenza. Iddio Padre non vuole che l'uomo soffra, ma la condizione creatasi mediante il peccato, porta come conseguenza la sofferenza. Dio ci vuole felici, ma la felicità è una conquista che l'uomo ottiene partecipando alle sofferenze di Cristo.

Ecco cosa dice Gerardo: "Io non mi sono ancora potuto far capace come un'anima spirituale, consacrata al suo Dio possa mai ritrovare amarezza su questa terra col non piacergli in tutto, sempre, la bella volontà di Dio, essendo questa l'unica sostanza delle anime nostre... Stiamo dunque indifferentissimi in tutto, acciò sempre, in tutto, possiamo fare la volontà di Dio, con quella somma purità d'intenzione che Dio vuole da noi".
In questa sesta lettera troviamo tutta la ricchezza che Gerardo offre alle anime del nostro tempo, in cui si misconosce l'immenso valore del dono totale di sè a Dio che ci permetterebbe di ricevere da lui quella partecipazione alla vita divina offertaci da Cristo che in tutto ha compiuto la volontà del Padre.

Magnanimità
È questa la piena libertà che Gerardo ha conquistato gradatamente, una libertà che lo rende capace di donarsi a tutti. Se così non fosse Gerardo conterebbe sulle sue qualità, sulla sua vita ascetica, sul suo lavoro, sulla sua dedizione amorosa ai fratelli. Egli, invece, trova il suo centro nellaquesta la piena libertà che Gerardo ha conquistato gradatamente, una libertà che lo rende capace di donarsi a tutti. Se così non fosse Gerardo conterebbe sulle sue qualità, sulla sua vita ascetica, sul suo lavoro, sulla sua dedizione amorosa ai fratelli. Egli, invece, trova il suo centro nellavolontà di Dio che sulle prime crocifigge l'anima, ma dona come frutto il dominio di sè e la gioia di appartenere pienamente a Cristo Divino Amante.

Quando il cuore è libero si verifica la capacità di amare pienamente Dio e, in Lui, tutte le creature con lo stesso amore. Infatti Gerardo senza alcun timore di mancare alla purezza della sua totale donazione a Dio, potrà dire a Suor Michela, il 4 ottobre 1754, in un'altra lettera queste parole:
"Non vi meravigliate del mio scrivere che vi fò così affezionato, perché vi ha tre motivi, il primo è perché siete sposa di Gesù Cristo, e da tal io vi stimo e venero; lo secondo è perchè siete figlia di Teresa mia cara e per tal stima, che io ne ho, mi metterei lo sangue e la vita, per difendere sempre e innalzare la gloria del mio caro Dio; lo terzo è perché siamo fratello e sorella nel mio Signore, perché giustamente ci dobbiamo sempre puramente amare in Dio".
Nelle espressioni di Gerardo si mettono in evidenza gli effetti acquisiti nell'esercizio e nel dono dell'uniformità alla volontà di Dio: affidamento di tutto l'essere umano nelle mani di Dio per realizzare ciò che dice S. Paolo: "Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito" (I Cor. 6, 17).

Obbedienza
L'uomo diventa padrone di sè, nella misura in cui lascia che l'amore divino invada il suo essere nelle circostanze della vita e negli incontri che essa gli presenta. Dio si comunica attraverso molte mediazioni e per un religioso tramite il superiore. Gerardo ne è convinto e scrive con il linguaggio del suo tempo e della sua cultura: "La mia volontà stà tutta in mano dei miei superiori... essi facciano che volino di me che io sono contento".
Nei Ricordi aggiunge "Mio Dio per l'amor tuo io obbedirò ai miei superiori come mirassi e obedissi alla vostra stessa divina persona; e sarò come io non fossi più mio, ma quello che voi stesso siete nell'intelletto e volontà di chi mi comanda".
L'obbedienza diventa un omaggio immediato al divino volere. In Gerardo assume e raggiunge una vera sublimazione e da virtù morale si evolve in virtù teologale perché rappresenta l'omaggio di se al volere di Dio. I superiori non sono più rappresentanti, ma sono per lui una manifestazione di Dio stesso. L'ubbidienza diventa per lui peno occasione di miracoli.
Un giorno il superiore chiamò Gerardo e gli chiese se se la sentiva di andare alla questua. Con grande sincerità il santo disse come si sentiva, ma che in tutti i modi sarebbe andato allegramente. Dubitando però il superiore che potesse farcela, gli pose una mano sulla fronte e pensò "Io voglio in nome della SS. 7y-inità che passi bene (cioè che tu stia bene)". Al che Gerardo: "Si, voglio star bene". Il superiore rimase attonito nel constatare che gli avesse letto il pensiero.
Gerardo partì per la questua in tutte le zone della diocesi, costellando il viaggio di miracoli, guarigioni, pace tra famiglie, conversioni strepitose... anche se, per il grande strapazzo, il caldo e il lungo camminare, la salute peggiorò fortemente.
L'uomo diventa padrone di sè, nella misura in cui lascia che l'amore divino invada il suo essere nelle circostanze della vita e negli incontri che essa gli presenta. Dio si comunica attraverso molte mediazioni e per un religioso tramite il superiore. Gerardo ne è convinto e scrive con il linguaggio del suo tempo e della sua cultura: "La mia volontà stà tutta in mano dei miei superiori... essi facciano che volino di me che io sono contento". Nei Ricordi aggiunge "Mio Dio per l'amor tuo io obbedirò ai miei superiori come mirassi e obedissi alla vostra stessa divina persona; e sarò come io non fossi più mio, ma quello che voi stesso siete nell'intelletto e volontà di chi mi comanda". L'obbedienza diventa un omaggio immediato al divino volere.
In Gerardo assume e raggiunge una vera sublimazione e da virtù morale si evolve in virtù teologale perché rappresenta l'omaggio di se al volere di Dio. I superiori non sono più rappresentanti, ma sono per lui una manifestazione di Dio stesso. L'ubbidienza diventa per lui peno occasione di miracoli. Un giorno il superiore chiamò Gerardo e gli chiese se se la sentiva di andare alla questua. Con grande sincerità il santo disse come si sentiva, ma che in tutti i modi sarebbe andato allegramente. Dubitando però il superiore che potesse farcela, gli pose una mano sulla fronte e pensò "Io voglio in nome della SS. Triinità che passi bene (cioè che tu stia bene)". Al che Gerardo: "Si, voglio star bene". Il superiore rimase attonito nel constatare che gli avesse letto il pensiero. Gerardo partì per la questua in tutte le zone della diocesi, costellando il viaggio di miracoli, guarigioni, pace tra famiglie, conversioni strepitose... anche se, per il grande strapazzo, il caldo e il lungo camminare, la salute peggiorò fortemente.
Un'altra volta il p. Fiocchi mandò Gerardo a Lacedonia con una lettera. Gli ordinò di prendere il cavallo ed il santo partì. Ma poco dopo il superiore pensò: "Ah se fosse qui Gerardo! Ho dimenticato una cosa importante"! Non passò molto tempo che intese bussare alla porta. Era Gerardo. "Ah sei tu, che vuoi? chiese assai sorpreso, che cosa ti è successo"? "Nulla, lei mi voleva ed eccomi qui". Fece una genuflessione davanti al superiore porgendogli la lettera. Il p. Fiocchi, pieno di stupore, prese la lettera, aggiunse quanto mancava e Gerardo ripartì. Si confermò così nel padre sempre più la certezza della santità di questo suo umile figlio. Di questi fatti ne avvenivano tanti. Non ultimo, (episodio già riportato tra il Rettore Maggiore S. Alfonso e Gerardo al momento della calunnia.
L'ubbidienza conduce Gerardo ad una povertà interiore senza limiti. Solo il vero povero ubbidisce pienamente, perché sa di non possedersi e non vuole possedere nulla. Solo Dio è la sua ricchezza! Al n° 4 dei suoi Ricordi dirà: "Sarò poverissimo d'ogni piacere, cioè di mia propria volontà, e ricco di ogni miseria".

Vita di preghiera
Ad un mondo che ha tanto bisogno di intimità con Dio, sia pure incosciamente, Gerardo mostra la sua vita d'incessante preghiera. Le sue lettere hanno delle continue esclamazioni e invocazioni alla Divina Maestà. Il suo sguardo è fisso in Dio. Se qualcuno ritiene che l'intimità con Dio sia un'alienazione da tutto e da tutti per un godimento personale, ritrova in Gerardo che tale asserzione è solo frutto di mancanza d'esperienza, perché chi si inabissa in Dio, si trova inabissato negli uomini, ai quali dona quel Dio che possiede. Egli non aveva responsabilità diretta, non essendo sacerdote, tuttavia per volontà dei superiori, avvicinava molte persone, avendo così modo di operare per loro, prodigi e miracoli per la potenza di Dio che gli aveva concesso il dono di vedere chiaramente la realtà delle anime.
Nei momenti della prova, che per divino volere non gli sono mancati, egli sente ravvivare in sè non solo la fede ma ancor più la speranza, che lo unisce fortemente al suo Signore, facendogli pregustare quasi il possesso di Dio stesso. Gerardo si è inserito nelle circostanze della vita con la fiducia e la semplicità di un bambino, senza mai porsi il problema di come conciliare lo sviluppo della sua personalità e le esigenze dell'obbedienza religiosa che per lui è stata la croce su cui ha compiuto la propria immolazione. La sua persona ha trovato la libertà piena, attingendo alla vera sorgente, nell'esecuzione amorosa del volere di Dio, espressogli dai superiori e insegna a noi tutti che possiamo trovare la vera serenità di spirito, di cui oggi sentiamo fortemente il bisogno, solo se ci lasciamo condurre come lui, dalla mano paterna di Dio. Gerardo aveva i momenti privilegiati di preghiera in cui non raramente la sua unione con Dio raggiungeva la visione estatica del trascendente, ma la preghiera nella sua componente essenziale, dava consistenza a tutta la sua vita.
Egli ci ha lasciato un'indicazione valida anche per i nostri giorni in cui ciAd un mondo che ha tanto bisogno di intimità con Dio, sia pure incosciamente, Gerardo mostra la sua vita d'incessante preghiera. Le sue lettere hanno delle continue esclamazioni e invocazioni alla Divina Maestà. Il suo sguardo è fisso in Dio. Se qualcuno ritiene che l'intimità con Dio sia un'alienazione da tutto e da tutti per un godimento personale, ritrova in Gerardo che tale asserzione è solo frutto di mancanza d'esperienza, perché chi si inabissa in Dio, si trova inabissato negli uomini, ai quali dona quel Dio che possiede. Egli non aveva responsabilità diretta, non essendo sacerdote, tuttavia per volontà dei superiori, avvicinava molte persone, avendo così modo di operare per loro, prodigi e miracoli per la potenza di Dio che gli aveva concesso il dono di vedere chiaramente la realtà delle anime. Nei momenti della prova, che per divino volere non gli sono mancati, egli sente ravvivare in sè non solo la fede ma ancor più la speranza, che lo unisce fortemente al suo Signore, facendogli pregustare quasi il possesso di Dio stesso. Gerardo si è inserito nelle circostanze della vita con la fiducia e la semplicità di un bambino, senza mai porsi il problema di come conciliare lo sviluppo della sua personalità e le esigenze dell'obbedienza religiosa che per lui è stata la croce su cui ha compiuto la propria immolazione. La sua persona ha trovato la libertà piena, attingendo alla vera sorgente, nell'esecuzione amorosa del volere di Dio, espressogli dai superiori e insegna a noi tutti che possiamo trovare la vera serenità di spirito, di cui oggi sentiamo fortemente il bisogno, solo se ci lasciamo condurre come lui, dalla mano paterna di Dio. Gerardo aveva i momenti privilegiati di preghiera in cui non raramente la sua unione con Dio raggiungeva la visione estatica del trascendente, ma la preghiera nella sua componente essenziale, dava consistenza a tutta la sua vita.
Egli ci ha lasciato un'indicazione valida anche per i nostri giorni in cui cilamentiamo di non saper trovare il tempo per pregare. Così egli scrive nel suo Regolamento: "veramente quanto si fa e si fa per Dio solo, tutto è oratione".

Carità
L'essenza di ogni spiritualità è condensata nella carità. Se questo vale per ogni santo, vale, in modo specifico per Gerardo. La carità è anche il linguaggio più accessibile a questa nostra generazione che, come asseriva Paolo VI, cerca più che i "maestri", i testimoni. Quando Gerardo asserisce "Qui si sta facendo la volontà di Dio, come vuole Dio e per quanto tempo piace a Dio", ci svela il segreto della vita interiore, costruita su un amore semplice e forte, su una contemplazione del Dio Amore che comunica alla sua creatura la vita e la salvezza e che esige, come risposta, un abbandono totale. In Gerardo l'obbedienza alla volontà di Dio, al di là di un aspetto ascetico di rinuncia al proprio volere, ha una dimensione fortemente teologica e mistica perchè centrata in Dio.
Così egli scrive a sr. Battista della SS. Trinità: "il centro del vero amore di Dio consiste ad essere in tutto data a Dio e sempre e in tutto conformata al Suo divino volere e in colà fermarsi per tutta l'eternità". Forse, nella prima giovinezza, aveva accarezzato il sogno di una vita eremitica fatta di solitudine contemplativa, ma la sua affermazione, riportata dal p. Caione: " Io voglio solo Dio. E per Dio, non voglio Dio, ma solo ciò che vuole Dio", ci dà, come in un gioco di parole, la chiave di lettura del commento dello stesso p. Caione: "Egli amava la solitudine ed era anima di orazione e di sublime contemplazione: e pure mandato dai Superiori fuori casa, ci andava allegrissimamente, come se questa fosse la sua vocazione". La radice del suo interessamento, la sua passione per gli uomini suoi fratelli, sta tutta qui. In essi egli trova il suo Dio e sa amarli con uno stile personalissimo, libero, concreto, universale. Può scrivere alle "sorelle" che ama in Cristo, espressioni come quelle della lettera a Isabella Salvatore, l'ultima scritta di proprio pugno a poca distanza dalla morte: "Figlia mia cara, non vi potete immaginare quanto vi amo in Dio e quanto io desidero la vostra eterna salute, perchè Dio benedetto vuole che io tenessi un occhio particolare su della vostra persona. Ma sappiate, figlia benedetta, che il mio affetto è purificato da ogni ardore di mondo. È un affetto divinizzato in Dio... E come io amo voi, così amo tutte le creature che amano Dio".

La carità spirituale di Gerardo non si limita all'ambito dei conventi o delle giovani da avviare ai monasteri; la stessa fraternità egli usa con qualche sacerdote ammalato di scrupoli e che ricorreva alla sua parola illuminata e rasserenatrice. Così scrive a don Gaetano Santorelli, tentato di abbandonare il ministero della Confessione. "Le vostre angustie e dubitazioni sono tutte arti del nemico infernale, il quale tratta di farvi perdere la bella pace dell'anima. Su del continuo scrupolo che avete per la Confessione, in verità vi dico che questo vostro rammarico è una gran tentazione per farvi lasciare l'impiego in Dio, che vi fu destinato sin ab eterno per vostro sommo profitto spirituale".L'essenza di ogni spiritualità è condensata nella carità. Se questo vale per ogni santo, vale, in modo specifico per Gerardo. La carità è anche il linguaggio più accessibile a questa nostra generazione che, come asseriva Paolo VI, cerca più che i "maestri", i testimoni. Quando Gerardo asserisce "Qui si sta facendo la volontà di Dio, come vuole Dio e per quanto tempo piace a Dio", ci svela il segreto della vita interiore, costruita su un amore semplice e forte, su una contemplazione del Dio Amore che comunica alla sua creatura la vita e la salvezza e che esige, come risposta, un abbandono totale. In Gerardo l'obbedienza alla volontà di Dio, al di là di un aspetto ascetico di rinuncia al proprio volere, ha una dimensione fortemente teologica e mistica perchè centrata in Dio. Così egli scrive a sr. Battista della SS. Trinità: "il centro del vero amore di Dio consiste ad essere in tutto data a Dio e sempre e in tutto conformata al Suo divino volere e in colà fermarsi per tutta l'eternità". Forse, nella prima giovinezza, aveva accarezzato il sogno di una vita eremitica fatta di solitudine contemplativa, ma la sua affermazione, riportata dal p. Caione: " Io voglio solo Dio. E per Dio, non voglio Dio, ma solo ciò che vuole Dio", ci dà, come in un gioco di parole, la chiave di lettura del commento dello stesso p. Caione: "Egli amava la solitudine ed era anima di orazione e di sublime contemplazione: e pure mandato dai Superiori fuori casa, ci andava allegrissimamente, come se questa fosse la sua vocazione". La radice del suo interessamento, la sua passione per gli uomini suoi fratelli, sta tutta qui. In essi egli trova il suo Dio e sa amarli con uno stile personalissimo, libero, concreto, universale. Può scrivere alle "sorelle" che ama in Cristo, espressioni come quelle della lettera a Isabella Salvatore, l'ultima scritta di proprio pugno a poca distanza dalla morte: "Figlia mia cara, non vi potete immaginare quanto vi amo in Dio e quanto io desidero la vostra eterna salute, perchè Dio benedetto vuole che io tenessi un occhio particolare su della vostra persona. Ma sappiate, figlia benedetta, che il mio affetto è purificato da ogni ardore di mondo.
È un affetto divinizzato in Dio... E come io amo voi, così amo tutte le creature che amano Dio". La carità spirituale di Gerardo non si limita all'ambito dei conventi o delle giovani da avviare ai monasteri; la stessa fraternità egli usa con qualche sacerdote ammalato di scrupoli e che ricorreva alla sua parola illuminata e rasserenatrice. Così scrive a don Gaetano Santorelli, tentato di abbandonare il ministero della Confessione. "Le vostre angustie e dubitazioni sono tutte arti del nemico infernale, il quale tratta di farvi perdere la bella pace dell'anima. Su del continuo scrupolo che avete per la Confessione, in verità vi dico che questo vostro rammarico è una gran tentazione per farvi lasciare l'impiego in Dio, che vi fu destinato sin ab eterno per vostro sommo profitto spirituale".Dello stesso tono è la lettera a p. Francesco Gazzilli "Or via non più temete, ma statevi allegramente, che Iddio è con vostra Reverenza e spero che non sarà per lasciarvi" e con realismo e sano equilibrio aggiunge: "Che se poi abbiamo qualche piccolo difetto e vi caschiamo, pensiamo che li santi non furono puri spiriti in terra". Era amico dei poveri, ma non rifiutava l'ospitalità delle famiglie benestanti dalle quali otteneva anche aiuti per chi viveva nell'indigenza. Si occupava principalmente delle loro condizioni spirituali. Così a un gentiluomo rimasto anonimo e travagliato per vari "patimenti" scrive: "lo Spirito Santo sia quello che vi faccia conoscere quanto più dovreste patire per amore di chi tanto patì per amor nostro"; e un altro gentiluomo in cerca di sistemazione e che sperava da Gerardo un aiuto presso i potenti, viene da lui compreso e compatito: "io l'ho mandato a dire al Duca... ma non ha comodo per ora di situarvi" e, con una punta sottile e velata di rimprovero per una vita forse non esemplare, aggiunge: "Lasciate fare a Dio: come voi vi porterete con Dio, così Dio vi aiuterà". La carità profonda verso tutti non gli impedisce di essere forte di fronte ai soprusì. A un giovane, figlio di una famiglia molto amica, rimprovera di aver tentato di circuire una certa Caterina, consacrata a Dio nel mondo e con espressioni che anticipano il tono di un fra Cristoforo nei Promessi Sposi, esclama... '7e dico che ella è difesa da Dio e da me... E se sto lontano, sappi che nessuna cosa è impossibile a Dio".
La lettera si chiude con un accenno pieno di fraterna comprensione pur nell'affermazione di una verità ineludibile e tragica... "sai il bene che ti porto e poi ti avanzi a tanto? Ma ti perdono perché fosti trasportato dalla vostra gioventù, poichè chi sta in tale stato, non pensa l'inferno e l'infinita perdita di Dio". I suoi "clienti" preferiti, tuttavia, si trovano "in quella massa di povera gente" di cui ci parla il Ferrante, "formata da pecorai, vaccari, braccianti", piccoli artigiani alle prese con i problemi quotidiani della vita.
Egli pur nella visione di fede della salvezza cristiana che guarda al destino eterno dell'uomo, sapeva farsi prossimo e sentire come proprie le necessità dei fratelli. Prima di entrare nella Congregazione, distribuiva con facilità il poco che guadagnava nel suo mestiere di sarto, era pronto ad aiutare chi era nel bisogno fino ad offrire "la sua giamberga", da poco donatagli dallo zio cappuccino. In convento, come ci riferiscono numerose testimonianze prodotte nei processi canonici, era sempre pronto a strappare i lavori più faticosi ai confratelli per farsene carico, sempre disponibile a cedere i suoi abiti, fino a starsene, anche d'inverno "tremando di freddo con la sola sottana e camicia". "In casa il peggio era sempre il suo: le peggiori stanze e più scomode, le vesti più vecchie e più lacere, le peggiori biancherie e il letto miserabile... Quando arrivavano in casa forestieri, e non c'era come rimediare, il letto di Gerardo era pronto, ed egli, così come racconta il padre Cafone, se ne andava a dormire dentro la Chiesa, dietro l'altare maggiore". Gaetano Trerrotola parla della cura particolare verso i malati e Antonio Saporito ricorda l'episodio toccante di un eremita infermo, abbandonato da tutti e che Gerardo assistette fino alla morte, incurante del fetore che emanava da quel povero corpo in disfacimento.Il p. Ripoli apprese dal p. Tannoia l'episodio sconcertante dell'armigero del duca di Bovino (Foggia) che dopo aver malmenato il povero Gerardo, si vide presentato da lui, agli occhi stupiti dei confratelli, nel convento di Deliceto, come un benefattore degno di ricompensa per averlo soccorso in una caduta da cavallo. Ugualmente ammirati e quasi divertiti rimaniamo noi, al racconto di una visita di Gerardo all'ospedale degli Incurabili, quando due pazzi, presi dall'entusiasmo l'afferrarono così stretto che affatto non si poteva muovere nè scappare dalle loro mani, mentre esclamavano: "Non ti vogliamo far partire più da noi; noi non troviamo un altro che consoli come te". A stento fu liberato da un altro energumeno che, dato uno scrollone, lo liberò dopo averlo onorato col titolo di "medico dei pazzi". Il colmo della sua carità si verificò nelle varie missioni di "questua" richiestegli dai suoi Superiori, in cui miracoli e prodigi fiorivano sotto quelle mani scarnite e diafane, quasi irreali ali impalpabili. Nella terribile invernata del 1754, ultima della sua vita, è insignito a Materdomini del titolo di portinaio col compito di distribuire l'elemosina ed egli, felice, offre a piene mani pani, farina, cibi, vettovaglie, abiti rimediati, tutto col disappunto dei confratelli che vedono saccheggiati dispense, forni, cucine, pentole, ripostigli, mentre Gerardo, con un serafico sorriso, li ammonisce ad avere soltanto "fede"; infatti la Provvidenza, sotto gli occhi esterrefatti dei confratelli, a piene mani, riempie dispense, forni, cucine, pentole e ripostigli e lui ... si permette il lusso di andarsene in estasi nella portineria del convento davanti alla folla rapita dei suoi amati poveri, al suono strimpellato di un povero cieco che esegue il motivo composto da S. Alfonso e prediletto da Gerardo "il tuo gusto e non il mio".
È veramente "il pazzerello di Gesù". Colui alla cui morte uno sciame di poveri, secondo quanto ci riferisce Antonio da Cosimo, convenuti in quel collegio, piangendo e singhiozzando facevano tenerezza nel ripetere ad ogni passo: -Abbiamo perduto il nostro Padre! È morto il nostro Benefattore -. Per questa sua carità così concreta, così spicciola, Gerardo rimane un esempio luminoso per i nostri tempi, perché tutti possiamo inchinarci davanti al "Dio di Gesù Cristo" "solo all'interno di un'esperienza umana, integrale, personale e comunitaria, concreta e pratica nella quale la consapevolezza della verità trovi riscontro nell'autenticità della vita", come afferma al n. 9 il documento della Chiesa per gli anni '90: "Evangelizzazione e testimonianza della carità". La forza di persuasione di Gerardo nel condurre gli uomini di ogni tempo sulla via della salvezza è "il volto umano" della carità autentica che risplende nella sua umile persona, maceratasi al fuoco di quell'amore che Cristo è venuto a portare sulla terra.

Attenzione premurosa mariale
L'elemento mariale che caratterizza la vita di tutto il popolo di Dio, segna la strada per ripensare il valore della donna nella chiesa e consente di evitare all'interno della chiesa, l'ineguaglianza di cui la donna soffre nella società. Nella comunità cristiana Maria indica la strada per l'affermazione. L'elemento mariale che caratterizza la vita di tutto il popolo di Dio, segna la strada per ripensare il valore della donna nella chiesa e consente di evitare all'interno della chiesa, l'ineguaglianza di cui la donna soffre nella società. Nella comunità cristiana Maria indica la strada per l'affermazionedell'uguale dignità dell'uomo e della donna, nella diversità di carismi e di servizi. L'elemento mariale esalta il significato della femminilità invece di affievolire l'immagine della donna, nel tentativo di abolire ogni differenza e complementarietà con quella dell'uomo.

Nella spiritualità di S. Gerardo c'è questo aspetto singolare e non meno interessante: l'attenzione premurosa per la donna, riflesso della spiritualità mariana. Giovanni Paolo 11, in apertura della lettera apostolica sulla dignità e vocazione della donna, scrive: "la dignità della donna e la sua vocazione, oggetto costante della riflessione umana e cristiana, hanno assunto un rilievo tutto particolare negli anni più recenti" (Mulieris Dignitatem n. 1).
Non può quindi non stupirci la stima e quasi la venerazione che Gerardo nutre per la donna, in pieno clima giansenista e in un contesto sociale arretrato, ai margini dei grandi movimenti culturali del tempo. Del resto l'atteggiamento del nostro santo nei confronti della donna non aveva la sua origine in nessuna ideologia, ma scaturiva dalla radice cristiana che da sempre ha considerato Maria "Colei che assume in se stessa e abbraccia il mistero della donna ... all'interno del mistero di Cristo (Mulieris Dignitatem n. 11).
Certo Gerardo non conosceva questa difinizione così chiaramente espressa due secoli dopo, ma nella sua semplicità, intuiva il legame che misteriosamente legava Maria, assimilata a Cristo Crocifisso, alle donne che attraversarono il cammino della sua vita. Sappiamo che a Madre Maria di Gesù aveva scritto: "... l'unica ragione, che mi tocca al vivo del cuore, e che tutte voi spose mi ricordate e rappresentate la Madre divina. Io in tale (condizione) vi stimo" (16 aprile 1752).
Come per Gesù, il suo comportamento poteva costituire "una chiara novità rispetto al costume allora dominante" (Mulieris Dignitatem n. 13) o provocare lo stupore di chi "si meravigliava che stesse a parlare con una donna" (Giovanni 4, 27). L'attrazione di Gerardo per la donna era originata in gran parte dalla sua stima per la vita religiosa, per cui incoraggiava e sosteneva le vocazioni, e le giovani lo ripagavano facendo tesoro dei suoi consigli così efficaci da far dire a S.E. mons. Vito Maio, Vescovo di Muro Lucano, che "valeva più una "chiacchierella" di Fratel Gerardo che le stesse prediche dei Padri Missionari".
Ricordiamo l'apostolato specifico che esercitò il santo nei monasteri delle Domenicane di Corato, delle Benedettine di Atella e Calitri, delle Clarisse di Muro Lucano, delle Teresiane di Ripacandida, delle Benedettine di Corato, delle Clarisse di Melfi e del conservatorio del SS. Salvatore di Foggia ed il grande fervore che fomentò per le vocazioni femminili, tanto da affrontare quella dolorosa calunnia che pose il suggello alla sua santità. Ma chi erano le donne concrete che Gerardo conobbe nella sua breve vita e con le quali strinse relazioni di stima, di fraternità, di amicizia spirituale?
Già si è fatto cenno di alcune di esse là dove si parla della venerazione di Gerardo per la "bella volontà di Dio" e là dove si presentano le sue intuizioni pedagogiche. Sr Maria di Gesù era la priora del monastero delle Carmelitane Scalze di Ripacandida la cui fondazione era stata voluta dallo zio della stessa srMaria.
Abbiamo già accennato alle vicende di questo monastero e alle sofferenze causate dalle incomprensioni della stessa autorità ecclesiastica. Sr. Maria era un'anima profondamente mistica, giudicata "visionaria" da chi non la conosceva profondamente. Ci sono delle lettere piene di saggezza scritte da S. Alfonso, il grande teologo moralista, che pongono nella luce esatta questa creatura tormentata dal dubbio di essere idolatra di se stessa, attratta nello stesso tempo da una forza divina irresistibile per cui scrive: "Padre, fatemi la carità di consigliarmi e di farmi che non sia io idolatra di me stessa, fatemi stare senza timore" (dicembre 1750) a cui S. Alfonso risponde, rassicurando la suora e indicando la ragione della sua assimilazione a Cristo dopo la Comunione, come effetto del Sacramento per cui con s. Paolo si può esclamare: "Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me".
Nel periodo della prova per il monastero carmelitano quando il Vescovo dà proibizione di qualunque contatto, nel gennaio 1752 S. Alfonso, dopo aver espresso il suo rammarico per "i travagli" della comunità, esorta tutte le suore a vedere la volontà di Dio nelle disposizioni del vescovo. Quanto al problema specifico esposto più volte da sr. Maria, S. Alfonso vi mette fine nella lettera del 28 marzo 1753 con alcune considerazioni altamente sagge: "Per quello poi che mi soggiungete, che state con tanti timori e dubbi e che tanti Padri vi chiamano illusa ed ingannata, mi consola più questo che se sentissi che aveste risuscitato dieci morti. Tutto ciò mi assicura che non siete illusa nè ingannata. Le illuse credono pienamente ai loro inganni. Ma voi ne temete. Questo è segno che non siete illusa... Io vi assicuro che voi nè ingannate, nè siete ingannata". (questa è la figura di donna con la quale Gerardo vibrava all'unisono e alla quale poteva scrivere: "Non vi è volta che io vado al Signore, in verità vi dico, tante volte vi rimiro dentro al suo sacratissimo costato" (22 gennaio 1752).
E ancora: "O Dio, che somma contentezza avutami quest'oggi nell'interno! con l'aver ricevuta la sua stimatissima, da me tanto bramata" (16 aprile 1752) e nella stessa lettera rivela la radice dei suoi sentimenti: "Non vi meravigliate se io vi scrivo così affezionato, essendo l'unica ragione che da me veniate stimate per vere dilette spose di Gesù Cristo e per tale (ragione) mi muove la divozione di conversare continuamente con voi" (Melfi 16 aprile 1752). Nel periodo di prova per le carmelitane: "il zelantissimo vescovo di Meli, come ci narra il p. Caione, sapendo benissimo il carteggio che passava tra Gerardo e quelle buonissime religiose, forse per provare la virtù dell'uno e delle altre, o per altri giustissimi fini, proibì a quelle che non avessero più scritte lettere a chicchessia e anche a fratel Gerardo".
Questi scrisse una lettera (24 aprile 1752) in cui l'affetto che nutre per sr. Maria e per le sue consorelle, è sublimato in una visione altissima di fede: "Io mi dichiaro contentissimo che non mi scriva più, come anche dico alle sorelle... e se il mio superiore non mi manda qualche volta, non serve vedervi, poichè ci vedremo in Paradiso. E mentre che stiamo in terra, ci vogliamo far santi con la volontà degli altri e non colla nostra". Ma Gerardo alle sue sorelle nello spirito non rivolge solo parole di incitamento, egli chiede soprattutto aiuto di preghiere in modo particolarenei momenti in cui le prove interiori gli attanagliano lo spirito. Innumerevoli sono i passi delle lettere a riguardo; a sr Maria nel maggio 1753 scriveva: " lo sto afflitto e sconsolato assai". L'11 luglio dello stesso anno a sr Michela: " Io sto male"; il 21 luglio: "Io sto assai afflitto". Nella lettera già citata dell'inverno-primavera 1753 lancia un vero grido d'aiuto: "Madre mia, se non m'aiutate sono gran guai per me. Perchè mi vedo tutto abbattuto e in un gran mare di confusione: quasi vicino alla disperazione. Mi credo che per me non v'è più Dio, e la sua Divina misericordia è finita per me... Se veramente vi sta la santa fede con voi, ora è tempo di aiutarmi e pregare fortemente Dio per me miserabile". La lettera è indirizzata a Madre Maria di Gesù, sua vera sorella spirituale, di cui egli ammirava la levatura interiore, ma alla quale, in un momento di fragilità umana per la sua mancata rielezione a priora, non esita di scrivere: "Mi dite che adesso che non sarete priora, tutti si scorderanno di Vostra Reverenza. Dio mio, e come lo potete dire? E se mai si scorderanno le creature, non si scorderà di voi il Vostro Divino Sposo Gesù Cristo... fatevi santa grande, perchè adesso avete più tempo di prima, perchè non avrete tanti affanni come prima" (maggio 1753). Ma a Madre Michela che aveva preso il posto di sr. Maria come priora, delicatamente scrive nel giugno 1753 "vi prego che vi sia nel cuore sr. Maria di Gesù e poichè ben sapete che lei vi è stata madre dal principio e vi ha allattato con il latte dell'amore di Dio".
Anche con Madre Michela Gerardo strinse vincoli di santa amicizia. A lei è rivolta la mirabile lettera riportata in gran parte nel capitolo riguardante la "pedagogia gerardina", a lei la toccante espressione: "siamo fratello e sorella nel mio Signore perciò giustamente dobbiamo puramente amarci in Dio"; a lei come altre volte a sr. Maria, egli chiede di dare l'obbedienza alle figlie di ricordarsi di lui, nelle loro sante orazioni, anche a Lei confida: "Io stò malissimamente. Pregate per me", ma nello stesso tempo fraternamente la consola: "È certo che se io venissi così vi consolerei perchè so le vostre pene. Non è niente: sopportatele allegramente c tutte per Dio solo" (4 ottobre 1754). Il p. Capone, curatore della raccolta delle lettere del nostro santo, dice "Ma vi era un'altra grande personalità di suora con la quale ... camminava nella immensità di Dio senza visiera: sr Maria Celeste Crostarosa". Nata a Napoli il 31 ottobre 1696, era stata all'origine della fondazione delle redentoriste e dei redentoristi; ispirata dall'alto aveva rivelato a S. Alfonso la sua missione di fondatore. Non compresa dal direttore Mons. Falcoia e spacciata anche lei come visionaria, era stata espulsa dal monastero di Scala. In questa dimensione di scarsa stima, giunse a Foggia, dove fondò il monastero del SS. Salvatore. In esso, secondo quanto scrive il p. Caione "Gerardo vi teneva continuamente il cuore e vi si portava spesso con licenza dei superiori, animando quelle religiose con i suoi fervorosi discorsi all'acquisto delle più sode virtù e della regolare osservanza". Purtroppo il carteggio tra sr. Maria Celeste e Gerardo è andato perduto, ad eccezione di una lettera che è un elenco di indulgenze ottenute dal santo per mediazione di un padre gesuita; essa, se mette in luce un aspetto della pietà popolare del tempo, non aggiunge molto alla conoscenza di questaforte personalità.
Ne abbiamo uno spiraglio nella frase tramandataci dal Tannoia: "Vediamoci in Dio, ove stiamo e viviamo e uniti amiamo quell'unico nostro bene Gesù che tanto ci ama" che sr Maria Celeste avrebbe scritto a Gerardo al tempo dell'isolamento a causa della calunnia. Mi sono soffermato, su queste due figure perchè esse sono emblematiche per la conoscenza della stima e della venerazione che Gerardo ha per la donna. Il suo epistolario così efficace nella sua semplicità, riporta altre lettere significative: a sr. Battista della SS. Trinità nella quale, sentendosi assimilato a Cristo e come Lui divenuto peccato per la salvezza dei peccatori, scrive una frase fortissima di sconcertante umiltà: "Pregate Dio per me, perchè io non sono più uomo, ma son uomo trasformato in bestia, perchè mi faccio vincere e levare dalle mie proprie passioni". Alla giovanissima sr Maria Celeste dello Spirito Santo il 28 agosto 1754 da Napoli, la città del canto, manda un libretto di canzoncine da lei richiestogli, con la raccomandazione: "Cantate alla vostra cella acciò vi facciate santa grande". Ad una religiosa anonima scrive: "Ciò che patite non sono causa di tenerci afflitta, ma bensì. di farvi umiliare innanzi a Dio e di farvi confidare maggiormente nella sua divina misericordia".
E infine, a pochi giorni prima della morte, rivolge a Isabella Salvadore una stupenda lettera già altrove menzionata. La stessa libertà di spirito evidenziata nelle lettere, Gerardo assumeva nel contatto con le persone. Perciò, secondo quanto ci dicono i testimoni al processo canonico, poteva dire con semplicità alla signora Emanuela Cappucci, madre di alcune giovani figliole, un pò perplessa per il tratto familiare di Gerardo: "Signora mia, sei ingiusta con me, pensando del mio trattare colle tue figliole, io tratto secondo il cuore di Dio, però lodo la tua prudenza". Dal cielo Gerardo prosegue la sua attenzione per le vergini che si consacrano a Dio con un'offerta totale e benedice le loro mani protese verso i bimbi, i poveri e i vecchi. È significativa la fondazione di un pio sacerdote Mons. Mosè Mascolo che, nei primi decenni del nostro secolo, volle a S. Antonio Abate (NA) un Istituto che tramandasse lo spirito di Gerardo e il suo messaggio di carità nel servizio amorevole verso gli infermi e i vecchi e nella missione educativa dei giovani e dei bimbi: carisma specifico della Congregazione di diritto pontificio "Le Suore Gerardine", presenza e segno della carità in Italia e all'estero. Ma la predilezione di Gerardo per le donne non si ferma qui, perché egli, sulla terra, proteggeva le madri che gli ricordavano "Mamma Maria", come egli chiamava affettuosamente la Madonna. Accettava anche l'ospitalità di signore benestanti, come Donna Nunzia Graziola, la Signora Salvadore, la Signora Cappucci e le altre, talvolta con l'intento di una "limosina" magari per la dote di qualche ragazza da monacare. Sono molteplici poi i prodigi da lui operati per le madri in gestazione o in angustia per la salute dei propri bambini. Reliquie o libri della sua biografia ottennero autentici miracoli. Nei "Processi" canonici viene riferito che un ostetrico di Grassano (MT) esclamasse: "da molti anni io non esercito più la professione di medico.
L'esercita per me fratel Gerardo". Sappiamo dalla tradizione che anche durante la sua vita terrena nonmancarono fatti prodigiosi: due fazzoletti donati a due giovani donne e poi tramandati ad altre, salvarono più di una volta mamme e bambini. Il p. Tannoia, dopo la morte di Gerardo, scriveva: "Questo fratello viene invocato specialmente come il protettore delle parturienti in pericolo ... Non vi è madre che, al momento di dare alla luce la propria creatura, non tiene vicino la sua immagine e non invochi la sua assistenza". Di qui la tradizione di benedire il 16 ottobre, la festa di S. Gerardo, i fazzoletti con l'immagine del Santo, offerti poi alle giovani spose. Sappiamo anche che il suo culto, come Protettore di mamme è bambini, si diffuse bene presto ovunque. In definitiva possiamo dire che Gerardo vede la donna nella sua semplicità, intuisce la naturale disposizione sponsale della personalità femminile "che trova la sua realizzazione nella verginità intesa non come rinuncia ma come dono incondizionato a Dio per i fratelli; e nella maternità vissuta come dono sincero di sè... nella consapevolezza di partecipare con il suo sposo... della potenza creatrice di Dio". (Mulieris Dignitatem n. 18).

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021