San Gerardo Maiella
A+ A A-

Milano

Capitolo 1

E' una tranquilla domenica pomeriggio di metà marzo. Fuori il sole inizia a scaldare l'aria e la primavera a farsi sentire. Mi sono messa comoda sul divano con una tazza di tè, musica classica di sottofondo. Ho mandato marito e figlia a cinema. La domenica pomeriggio proiettano sempre un film d'animazione per bambini. In genere vado con loro. Cinema, poi due passi, cioccolata o gelato, dipende dalla stagione. Oggi no. Oggi sono rimasta a casa perchè ho bisogno di riflettere. Da una settimana ho un pensiero in mente che non mi abbandona e oggi voglio prendere una decisione. Ne ho parlato con mio marito. Secondo lui esagero, sto creando una montagna da un sassolino. Forse ha ragione lui, mi sto facendo troppi problemi per niente. Però non riesco a prendere una decisione e questo mi mette ansia. Dormo male. Sono distratta. Non voglio passare un'altra settimana in questo stato, per cui ho deciso: oggi prenderò una decisione. Avrei bisogno di consultarmi con qualcun altro, qualcuno che mi possa capire, ma non posso farlo. Non che non abbia qualcuno con cui confidarmi, anzi. Ma in questo caso non posso farlo. Potrei telefonare a mia madre, a mia sorella, mia cugina, zia Tonia, mia suocera, la mia migliore amica. Potrei. In realtà non posso.

Io e Filippo, così si chiama mio marito, siamo di Avellino, tranquilla cittadina del sud Italia. Da noi c'è un modo di approcciarsi alle cose diverso da qui, Milano, dove siamo venuti a vivere. Qui è tutto molto veloce, diretto, a volte quasi brusco. E' una città che offre molto, fin troppo. Spesso ci si perde, ci si sente solo un numero. Da noi tutti si conoscono nel quartiere, ci si parla, si entra subito in confidenza. Mezz'ora di ritardo non è una tragedia, i ritmi sono più tranquilli, la gente si dà una mano. Sto esagerando. Lo so che sto esagerando, nemmeno da noi sono tutte rose e fiori. La differenza sta nel fatto che io e Filippo giù siamo nati e cresciuti per cui è ovvio che conosciamo tutti. Tra parenti e amici riempiamo un rione e se c'è bisogno ci si dà una mano. A Milano siamo due sconosciuti. Due estranei che si sono trasferiti perchè qui hanno trovato lavoro. Due estranei che fanno fatica ad integrarsi. Almeno fu così all'inizio, cinque anni fa.

Fu un'avventura. Non saprei proprio come definire in altro modo il nostro trasferimento a Milano. Ricordo ancora, era l'inizio di settembre e stavo guardando la tv con mia cugina. Io commentavo il programma e lei preparava l'impasto per una torta, la sera si festeggiava il compleanno di zia Tonia. Io e Filippo eravamo due sposi novelli.  All'età di 32 anni, siamo coetanei, ci eravamo decisi per quel sì tanto sospirato dopo nove anni di fidanzamento. Nessuno dei due aveva un lavoro, ma ci siamo buttati con entusiasmo nella vita matrimoniale, ignari che ben altre avventure ci aspettavano. Abbiamo potuto fare l'azzardo grazie all'aiuto economico delle nostre famiglie e all'ospitalità di zia Tonia. La zia che dovevamo festeggiare quel giorno di settembre in cui cambiarono parecchie cose. Mia cugina dosava la farina, lo zucchero, preparava le uova. Io chiacchieravo, Filippo si era recato ad un colloquio di lavoro. Ad un certo punto si spalancò la porta dell'ingresso e Filippo, trafelato, entrò come un uragano. Mai l'avevo visto così agitato. Pucci, Pucci...

Così mi chiama, anche se il mio nome è Paola. Pucci...

Lì per lì non mi preoccupai, pensavo che l'avessero assunto. E'vero che come laureato in Lettere e filosofia non era il massimo fare l'aiuto cuoco, ma in mancanza di meglio, per non dire di niente, andava bene tutto. Non potevamo restare a carico dei genitori per sempre. Del resto anch'io con la mia laurea in Farmacia non riuscivo a trovare occasioni di impiego. Ero stata scartata da tutti i selezionatori che avevo affrontato. "Affrontato" è proprio la parola giusta, non mi sono sbagliata. In questa giungla che è il mondo del lavoro l'offerta supera di gran lunga la domanda e ai colloqui bisogna affrontare il selezionatore che cerca in tutti i modi di trovare i tuoi punti deboli. Però temo di averli affrontati in modo un pò troppo aggressivo perchè mi hanno sempre scartata con la scusa che avevo troppi punti di forza. Forse dovrei avere un approccio più morbido, ma sto divagando. Filippo, come un uragano, mitravolse. Pucci, Pucci...

 Pensavo proprio l'avessero assunto. In fondo era un buon posto. A cinque minuti da casa, a piedi. Paga modesta, orari accettabili, domenica e lunedì liberi. Invece si trattava di tutt'altro. L'aiuto cuoco che avevano assuntosi chiamava Alfonso e aveva 21 anni. Filippo era in fibrillazione perchè gli avevano proposto una supplenza annuale in una scuola Media. E fin qui tutto bene, con la difficoltà che c'è ad inserirsi nel mondo dell'insegnamento. Il particolare inquietante era la sede: Milano. Aiuto! Milano implicava tutta una serie di cose non da poco e Filippo le aveva intuite subito. Provo a sintetizzare i suoi pensieri:

  • Milano: 800 km di distanza da Avellino
  • fare il pendolare è impensabile
  • è necessario trasferirsi
  • da solo? e Paola?
  • con Paola? e dove? e come?
  • quanto costa vivere a Milano?
  • dove vado?
  • chi conosco?
  • ce la posso fare?
  • e se non ci riesco?
  • Oddio
  • devo rispondere entro domani
  • accetto?
  • e se non accetto?
  • Oddio

In altre parole: trasferirsi a Milano voleva dire non solo cambiare città, ma cambiare proprio modo di vivere. A cominciare dall'aspetto pratico/organizzativo, ovvero cercare un alloggio in affitto dove vivere e doversi preoccupare di tutti gli aspetti pratici della vita, senza appoggi o consigli in caso di emergenza. Per intenderci, se un lavandino perde acqua non puoi chiamare mamma o zia Tonia per far venire il loro idraulico di fiducia che nell'arco di due ore suona alla porta e ti risolve il problema. Oppure la spesa. Non c'è la cugina che un paio di volte la settimana ti porta i prodotti dell'orto di suo cognato che ne produce tanti assai, o la suocera che per il fine settimana ci invita sempre a pranzo rimandandoci a casa con una teglia di pasta al forno e biscotti fatti in casa per la colazione, che la giornata va iniziata bene. E no, tutto questo sarebbe venuto meno. Poi c'era la questione del nostro ritmo di coppia. Perchè era fuori discussione che Filippo andasse da solo. Siamo sposati, siamo una famiglia. Sono sua moglie ed era giusto che andassi con lui, tanto più che ad Avellino non avevo un lavoro che mi trattenesse. Anzi a Milano avrei avuto sicuramente più occasioni per trovare lavoro anch'io. Magari lì il mio approccio aggressivo nei colloqui avrebbe funzionato.

Inoltre non sapevo come fossero le donne lì, al nord. Di Filippo mi fidavo, ma non eravamo mai stati separati per più di tre giorni. Che ne sapevo di cosa sarebbe successo se fossimo stati lontani per settimane? O mesi? Solo l'idea mi metteva ansia. No. Era fuori discussione il fatto che andasse da solo. Se accettava era ovvio che io sarei andata con lui. Con tutte le incognite che questo comportava. Ad esempio: il lavoro. Filippo non aveva mai insegnato in vita sua. Avendo preso una laurea in Lettere e filosofia aveva messo in conto che insegnare sarebbe stata un'opzione possibile, per non dire molto probabile. Gli sarebbe piaciuto fare ricerca presso l'Università o una grande biblioteca storica, sogni di gioventù. Il mito dello studioso sommerso dai libri. La realtà è ben diversa. Con una laurea in Lettere non vai molto lontano, o forse sì? Almeno fino a Milano. Quella domanda per insegnare, fatta senza troppa convinzione e speranza, era l'unica che aveva avuto una risposta positiva. Un posto a Milano per un intero anno scolastico. Era una bella occasione, come si facava a rifiutarla? Filippo mi travolse con la sua ansia.

Pucci, cosa devo fare? Sembrava un disco rotto. Cosa devo fare?

Per prima cosa ci tenni a puntualizzare che eravamo sposati e non doveva più parlare al singolare, ma al plurale: cosa dobbiamo fare? Eravamo una famiglia e questa era una decisione che si sarebbe ripercossa su tutta la famiglia quindi, per cortesia, che usasse il plurale. Chiarito questo punto restava il dilemma: cosa dovevamo fare?

Doveva dare una risposta entro 24 ore: prendere o lasciare. Accettare o rifiutare, bianco o nero, dentro o fuori. Non erano previste mezze misure. Se accettava aveva 3 giorni per presentarsi al Dirigente scolastico e prendere servizio, dopo 10 giorni sarebbe iniziato l'anno scolastico.

Ci ragionammo tutto il giorno, alla sera eravamo stremati. Nel frattempo la notizia si era diffusa come un virus invernale fra tutti i parenti, conoscenti e amici. Iniziarono ad arrivare telefonate, messaggini, wattshap. Si formarono due fronti, quelli che Vuoi mettere che opportunità, Se non accetti sei matto, Quando ti ricapita un'occasione così, Se avessero chiamato me. Quelli che Oddio che disastro, Sei matto a trasferirti lassù, Non resisterai un mese, Milano è una città invivibile, Ti prenderai un esaurimento. Eravamo in mezzo a un vero e proprio conflitto a fuoco. Aiuto.

Ad un certo punto Filippo, dopo una giornata passata in preda al panico, ebbe un barlume di lucidità e mi propose di spegnere tutti i contatti con il mondo esterno. Disse che era la nostra vita, dovevamo decidere noi due senza interferenze. Saggio Filippo. Così mi piace, sembra che perda la trebisonda, ma qunado si arriva al dunque sa prendere le decisioni e assumersi responsabilità, serenamente. Spegnemmo gli smarthphone.

Confesso che prima di continuare la discussione ci concedemmo una pausa. Senza dire niente ci abbracciamo e facemmo l'amore. Mi piacciono quei momenti di intesa dove le parole sono superflue. Avevamo bisogno di sentirci vicini, complici, uniti. Poi ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere. Filippo ad un certo punto tornò serio e mi chiese Te la senti di venire a Milano? Ovviamente gli risposi di sì, con lui andrei ovunque. Mi abbracciò.

La mattina dopo Filippo accettò il posto. Supplenza annuale, cattedra di italiano presso la scuola Media o, meglio, l'Istituto Comprensivo C3 di Milano. Era fatta, si andava a Milano. 

L'avventura cominciava. Parenti e amici non erano molto contenti di vederci partire, anche quelli favorevoli ora sembravano trovare tutti i punti deboli di questa scelta. Ma noi eravamo decisi e contenti. Ci avevamo pensato bene e, analizzando la situazione ci eravamo resi conto che:

  • restare ad Avellino significava rimanere a carico dei nostri genitori per un tempo indefinito, probabilmente lungo,
  • sicuramente qui non avremmo trovato un lavoro dove poter mettere a frutto quanto studiato nei nostri corsi universitari,
  • ci veniva offerta un'occasione,
  • al momento eravamo liberi di accettare e abbastanza giovani per adattarci ad una nuova città e a un diverso stile di vita,
  • desideravamo un figlio, ma prima di diventare genitori volevamo avere una nostra autonomia economica.

A quel unto ogni dubbio era svanito e la decisione presa. Preparammo le valigie e ci buttammo nell'avventura milanese.

Le prime due settimane a Milano furono un susseguirsi di novità, imprevisti, decisioni. Un turbinio di emozioni. Alloggiammo per dieci giorni in un Bed and Breakfast nelle vicinanze della scuola. Filippo si presentò al Dirigente scolastico, conobbe i colleghi, studiò da cima a fondo il programma dell'anno scolastico. E' uno scrupoloso lui, e pignolo, e coscienzioso. Aveva una paura matta di non essere all'altezza. Non credo di averlo mai visto prima così preoccupato, angosciato e contento, tutto insieme. Sì, contento. Era pervaso da un'agitazione positiva, che lo inquietava e spaventava allo stesso tempo, ma lo rendeva euforico. Credo che non fosse così agitato nemmeno per il nostro matrimonio. Lo prendevo in giro, mi sembrava un bambino impaziente, però ero contenta di vederlo così felice. Finalmente avrebbe lavorato. Avrebbe messo a frutto le sue conoscenze, si sarebbe messo alla prova, avrebbe portato a casa uno stipendio. Il suo primo vero stipendio.

Intanto io cercai casa. Non fu facile. Le case c'erano, e molte, ma a che prezzi! Pensavo fosse solo un modo di dire che Milano è una città cara, mi sono dovuta ricredere, è cara sul serio. Gli affitti di un trilocale erano decisamente proibitivi per noi che dovevamo vivere con un solo stipendio. Avremmo potuto farcela rinunciando a tutto e mangiando solo per metà mese, o chiedendo aiuto ai nostri genitori. Non volevamo. Avevamo deciso di vivere quest'avventura milanese come il banco di prova della nostra coppia e di noi stessi. Volevamo essere in grado di mantenerci da soli, essere autosufficienti, sentirci finalmente adulti, indipendenti, autonomi. Ci volevamo almeno provare. Chiedere aiuto economico dopo una sola settimana avrebbe significato iniziare con una mezza sconfitta, partire con il piede sbagliato. Invece volevamo fare tutte le cose giuste. Volevamo farcela da soli. Anche per partire e affrontare i primi tempi non abbiamo voluto aiuto. Usammo i pochi risparmi che avevamo, che poi erano regali di nozze, regali in busta. I risparmi veri e priopri li avevamo usati tutti per il matrimonio. Ma andava bene così. Ci dovevamo provare con le nostre forze. Non per orgoglio o stupida presa di posizione indipendentista. Per crescere, mettersi alla prova, volerci bene anche nelle difficoltà che iniziare una nuova vita comportava. Ovviamente i rispettivi genitori ci costrinsero a promettere che non ci saremmo trascurati, non ci saremmo privati di niente d'essenziale, avremmo chiesto il loro aiuto in caso di necessità. Promettemmo. Non solo per farli contenti e metterli a tacere, ma anche perchè ci pareva giusto. In fin dei conti un genitore è colui che ti ha messo al mondo, ti vuole bene, si preoccupa per te, ti sostiene, non può farne a meno e non puoi escluderlo. Non sarebbe giusto e non lo vorresti nemmeno tu perchè il legame genitore/figlio è forte, essenziale, vitale. Inoltre ci faceva stare più tranquilli sapere che in ogni caso avremmo potuto contare su un salvagente economico. Eravamo decisi a non utilizzarlo, ma sapere che c'era ci dava sicurezza.

Così prendemmo in affitto un piccolo bilocale al secondo piano di un condominio della zona. Era piccolo, confortevole, vicino alla scuola di Filippo. Soprattutto era economico. Ce lo potevamo permettere e per i primi tempi, ci siamo detti, poteva andare. Almeno fino a quando non avessi trovato anch'io un lavoro. Entrammo entusiasti nella nostra nuova casa cercando di personalizzarla per renderla un pò nostra. Appendemmo alla parete dell'ingresso una foto del nostro matrimonio, in cucina mettemmo i vasetti di ceramica dipinti a mano per spezie, sale e pepe, allegri e colorati richiamavano subito il sole di casa nostra. Già, casa nostra, Avellino. Ci mancava. All'inizio non ce lo dicevamo, ma ci mancava. La nostra luce, la mamma, i parenti, gli amici, quella spensieratezza, quell'allegria. Qui ci sentivamo soli e un pò spaesati. Anche il sole sembrava diverso, pallido rispetto al nostro. Fortuna che ci sono i cellulari. I primi tempi eravamo sempre in comunicazione con qualcuno di giù. Queste sensazioni iniziarono ad affievolirsi piano piano da quando cominciammo a parlarne. Fu Filippo a cominciare. Un giorno, stavamo mangiando pasta e ceci, mi guardò e disse Avremo fatto la scelta giusta? Mi manca Avellino. Quanto gli volli bene in quel momento. Mi sentii completamente disarmata e gli risposi Anche a me. Poi aggiunsi Non osavo dirtelo. Ci abbracciammo. Ci raccontammo tutte le nostre sensazioni, le paure, le emozioni che stavamo provando da quando eravamo a Milano.

Taciute per non preoccupare l'altro, per non creare problemi, per non essere negativi, per non mostrarci deboli. Scoprimmo che avevamo molti timori, alcuni simili, che tenuti dentro, isolati, taciuti, si stavano alimentando. Condividerli li indeboliva e ci rendeva più forti, sia come persone, sia come coppia. Fu allora che abbiamo preso l'abitudine di fare il punto della nostra giornata ogni sera a cena. Da quel momento che Avellino iniziò a mancarci sempre meno. Iniziammo a trovare i lati belli della nostra nuova città, che a poco a poco ci ha conquistati.

Tornando alla personalizzazione della nostra prima casa milanese non posso evitare di menzionare il copriletto all'uncinetto fatto da mia mamma. Quanto è brava mia mamma con i lavori manuali, magari avessi ereditato un pò della sua manualità. Invece sono un disastro. A stento so attaccare un bottone e cucire un orlo, non parliamo proprio di rammendi o altro. Pazienza. In compenso tutta l'abilità manuale l'ha presa mia sorella, non fa altro che sfornare centrini e maglioni. Va a capire come funziona la genetica. La mamma di Filippo invece quanto ad abilità manuali è carente, in compenso è insuperabile come cuoca. Ci ha riempito di conserve, marmellate, scamorze, salumi. Forse teme che a Milano il cibo scarseggi o non sia buono. La sua borsa pesava un accidente. In seguito ha preso l'abitudine di spedirci un pacco di viveri ogni due o tre mesi, nemmeno fossimo in Siberia. All'inizio con Filippo la prendevamo in giro per questa sua fissazione del cibo, bonariamente si intende. Con gli anni abbiamo imparato ad apprezzare quei suoi pacchi pieni di prelibatezze della nostra terra, confezionati con amore e cura. Ci hanno fatto sentire amati, pensati, nonostante i chilometri di distanza. Quando si va a vivere così lontani dai propri familiari a volte si può avere la sensazione di sentirsi abbandonati a sè stessi, soli.

E' normale, ed è solo una sensazione, ovviamente non è così. Quel pacco periodico che arrivava e arriva regolarmente ci ha sempre dato un segno tangibile che non è così. Oltre tutto ci ha sempre fatto anche molto comodo. Vuoi mettere quando hai fretta e non riesci a fare la spesa o non hai il tempo di organizzare la cena, ecco: il sugo è pronto, basta scaldarlo, affetti due pomodori che condisci con dei sottaceti, una scamorza, ed è subito pronto in tavola. Insomma spesso l'abbiamo ringraziata tra di noi. A volte scherzando dicevamo Stasera si cena dalla mamma.

Mia suocera, quando siamo partiti, nel suo primo pacco mise anche un'altra cosa, un quadretto con l'immagine di San Gerardo, formato cm 20 x 30. Insieme c'era un bigliettino con gli auguri per la nuova casa e queste parole ...vi ho messo anche un'immagine di San Gerardo, protettore delle mamme e dei bambini, perchè protegga la vostra famiglia. A dire il vero rimasi un pò sorpresa e spiazzata in quel momento. Anche perchè non avevamo figli. E' vero che ne desideravamo uno, ma non sapevo cosa pensare. Sapevo però che mia suocera era molto devota a San Gerardo, lo invocava spesso a proteggere tutta la famiglia. Sapevo anche che quel santo era molto popolare nella nostra zona, sebbene non avessi mai approfondito la sua storia. Mi ritengo una persona religiosa, io e Filippo siamo credenti, ci siamo sposati in chiesa per scelta e non semplicemente per tradizione, frequentiamo la messa della domenica. Così, sui due piedi, presa alla sprovvista, la ringraziai per quel pacchetto senza approfondirne il significato. Nei primi giorni a Milano, nel B&B, rimase impacchettato nel bagaglio. Quando siamo entrati in casa lo misi in un cassetto perchè avevo paura che si potesse rompere il vetro, poi ci avrei pensato. Me ne dimenticai.

 Intanto la nostra vita a Milano prese forma. Filippo, dopo un primo mese scolastico passato in perenne agitazione, iniziò una sua routine che lo tranquillizzò. Di riflesso tranquillizzò anche me che avevo cominciato a dormire male vedendolo sempre in apprensione. Del resto ora, guardando indietro, penso che per lui fosse una fase inevitabile da superare se si tiene conto che nel giro di quindici giorni si è ritrovato dall'altra parte dell'Italia, catapultato "in pasto" a classi di ragazzini preadolescenti. Nonostante conoscesse bene la materia e si fosse preparato un programma di massima da svolgere durante l'anno, preparasse ogni giorno scrupolosamente le lezioni, che io ascoltavo in anteprima, andava in classe e gli veniva la tachicardia. Iniziava a spiegare, e fin lì tutto bene, ma dopo dieci minuti i ragazzi si mettevano a parlare tra di loro, guardavano i cellulari, non gli prestavano attenzione. A quel punto lui faticava a continuare e cercava di riacquistare l'attenzione dei ragazzi, intanto la lezione rimaneva a metà. Era davvero frustrante e non sapeva come uscirne. Pensava di non essere portato per l'insegnamento, si faceva mille problemi. In quel periodo diceva spesso che io ero il punto fermo della sua vita. Ne ero molto contenta. E lui era il mio punto fermo, ma doveva uscire da quell'impasse. Tutto cambiò dopo un mese, quando accaddero due cose: - arrivò il suo primo stipendio, - un alunno, dopo essere stato rimproverato perchè si era distratto, gli disse Prof io ci provo a stare attento ma non capisco niente, lei parla come un libro stampato.

Come è facile intuire la prima cosa, lo stipendio, lo gratificò molto e gli fece capire che il suo impegno giornaliero valeva, era considerato. Era pagato per andare a insegnare a quei ragazzi. Grazie a questo poteva permettersi di mantenersi, anzi mantenerci, io non avevo ancora trovato un lavoro. Quella sera andammo a festeggiare in pizzeria, eravamo felici. La seconda cosa invece gli aprì gli occhi. Stava sbagliando approccio con i suoi alunni. Si preparava, calcolava il tempo di ciascuna lezione, la provava, predisponeva le domande. Insomma teoricamente era l'insegnante modello. Però stava facendo i conti senza l'oste. L'oste erano loro, i ragazzi. L'affermazione di quell'alunno gliel'aveva fatto capire. Lui sapeva tutto della sua materia, ma non sapeva niente, proprio niente, dei suoi alunni. Aveva sottovalutato questa cosa, ad essere sinceri non l'aveva proprio presa in considerazione. Invece era fondamentale. Se vuoi insegnare qualcosa a qualcuno devi farti capire. Nel momento in cui sai che l'altro ti capisce sta a te fargli comprendere la materia, appassionarlo e quindi guadagnarti la sua attenzione. Filippo si rese conto in quel momento che per quei ragazzini lui era un alieno, loro vivevano in un mondo a lui sconosciuto. Così aveva cominciato ad osservarli e ascoltarli sia in classe che fuori, nei corridoi, all'intervallo, per strada. Sembrava che quella schiera di preadolescenti seguisse delle regole di comportamento e avesse un linguaggio tutto loro, ermetico, a volte incomprensibile per lui, insegnante trentenne di Avellino. Mi parlava di tutto questo e non sapeva come affrontare la situazione.

Non riusciva a tenere la disciplina in classe e per paura, sì paura, non aveva dato insufficienze. Stava andando in crisi. Una sera, a bruciapelo, mi chiese cosa avrei fatto io al suo posto, mi colse alla sprovvista. Pensai al mio vissuto di studente e gli risposi che avrei cercato di catturare la loro attenzione coinvolgendoli nella materia. Non avrei preteso che imparassero tutto il programma per filo e per segno, nomi e date. Avrei cercato di appassionarli, magari parlando anche nel loro linguaggio giovanile. Avrei stabilito uno standard minimo di nozioni da sapere, tipo in quel secolo cosa è successo e quali erano i personaggi principali. Mi guardò pensieroso e non mi disse più niente. Forse gliel'avevo messa troppo sul genere quiz televisivo. Ero stanca, finito il film alla tv e andammo a dormire. La settimana successiva Filippo la passò tutta chino sul computer. Lavorò come un matto e fu molto misterioso. Un paio di volte gli chiesi cosa stesse facendo ma mi rispose in modo evasivo. Lo lasciai fare. In quel periodo distribuivo il mio curriculum vitae dappertutto e facevo giri interminabili per la zona in cerca di lavoro. Il fine settimana successivo mi chiese di fare da cavia per simulare una lezione. Rimasi sbalordita, aveva completamente cambiato approccio. Parlava in modo diretto, stringato, ma competente. Impostava l'argomento secondo una griglia e procedeva per livelli, tipo videogame, coinvolgendomi di continuo con domande e battute. Fu veramente una bella lezione che ricordo ancora oggi. Gli chiesi cos'era successo. Praticamente aveva studiato i suoi alunni cercando di capirli per trovare dei punti di incontro tra lui, l'insegnante, e loro. Si era messo alla ricerca di un linguaggio comune da applicare alla sua materia per riuscire ad interessarli alle sue lezioni. Si era accorto che parlavano molto per slogan e frasi fatte, inoltre quasi tutti giocavano ai videogame. Quindi aveva adattato le sue lezioni a questo tipo di linguaggio. Inutile dire che fu un successo. Nel giro di poco catturò non solo l'attenzione dei ragazzi, ma anche la loro fiducia. Ora era richiestissimo come accompagnatore alle gite scolastiche, ai musei, ai vari eventi cui partecipavano. Ne ero molto orgogliosa, ho sempre saputo che il mio Filippo è un tipo in gamba.

Nel frattempo feci svariati colloqui, ma sembrava che a Milano non ci fosse un posto per me. Con la mia laurea in farmacia non riuscivo a piazzami da nessuna parte. Ovviamente avevo fatto domanda anche presso tutte, o quasi, le farmacie di Milano. Ce n'erano veramente tante e speravo che almeno una potesse offrirmi qualcosa, invece niente. Dopo sei mesi passati a cercare mi stavo avvilendo, mi sembrava di non riuscire a concludere niente. Ero molto frustrata. Con Filippo andava bene, lui procedeva a gonfie vele, ma il resto per me era deprimente. Non mi trovavo a mio agio nei panni della casalinga. Non che ci sia qualcosa di male nel fare la casalinga, anzi lo ritengo un lavoro a tutti gli effetti e per di più sottovalutato. Però avevo preso una laurea sperando di metterla a frutto e rendermi economicamente indipendente. La situazione mi pesava. Lo stipendio di Filippo ci bastava, arrivavamo senza problemi alla fine del mese, con qualche sacrificio, ma senza problemi. Soprattutto senza ricorrere all'aiuto dei genitori. Ma psicologicamente mi sentivo sminuita, e sola. In tutti quei mesi non ero ancora riuscita a fare amicizia con qualcuno.

 

 

Cancellazione dati iscrizione

Inserisci il numero di cellulare e\o la mail con cui ti sei registrato e clicca sul tasto in basso

CHIUDI
CONTINUA

INFORMATIVA PRIVACY

Lo scopo della presente Informativa Privacy è di informare gli Utenti sui Dati Personali, intesi come qualsiasi informazione che permette l’identificazione di una persona (di seguito Dati Personali), raccolti dal sito web www.sangerardomaiella.it (di seguito Sito).
La presente Informativa Privacy è resa in conformità alla vigente normativa in materia dei Dati Personali per gli Utenti che interagiscono con i servizi del presente Sito nel quadro del Regolamento Ue 2016/679.

Il Titolare del Trattamento, come successivamente identificato, potrà modificare o semplicemente aggiornare, in tutto o in parte, la presente Informativa; le modifiche e gli aggiornamenti saranno vincolanti non appena pubblicati sul Sito. L’Utente è pertanto invitato a leggere l’Informativa Privacy ad ogni accesso al Sito.

Nel caso di mancata accettazione delle modifiche apportate all’Informativa Privacy, l’Utente è tenuto a cessare l’utilizzo di questo Sito e può richiedere al Titolare del Trattamento di rimuovere i propri Dati Personali.

  1. Dati Personali raccolti dal Sito
    • Dati Personali forniti volontariamente dall’Utente

      L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati sul sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva. Specifiche informative di sintesi verranno progressivamente riportate o visualizzate nelle pagine del Sito predisposte per particolari servizi a richiesta.
      L’Utente è libero di fornire i Dati Personali per richiedere i servizi eventualmente offerti dal Titolare. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere quanto richiesto.

    • Dati Personali raccolti tramite cookie:

      Nel Sito viene fatto uso di cookie strettamente essenziali, ossia cookie tecnici, di navigazione, di performance e di funzionalità.
      I cookie sono informazioni inserite nel browser, fondamentali per il funzionamento del Sito; snelliscono l’analisi del traffico su web, segnalano quando un sito specifico viene visitato e consentono alle applicazioni web di inviare informazioni a singoli Utenti.
      Nessun dato personale degli Utenti viene in proposito acquisito dal Sito.
      Non viene fatto uso di cookie per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento degli utenti.
      L’uso dei cookie di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’Utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione, necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito.
      I cookie di sessione utilizzati in questo Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli Utenti e non consentono l’acquisizione di Dati Personali identificativi dell’Utente.

  2. Finalità e Base giuridica del Trattamento

    I Dati Personali raccolti possono essere utilizzati per finalità di registrazione dell’Utente, ossia per consentire all’Utente di registrarsi al Sito così da essere identificato. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    I Dati Personali forniti dagli Utenti che inoltrano richieste o intendono utilizzare servizi eventualmente offerti tramite il Sito, nonché ricevere ulteriori specifici contenuti, sono utilizzati al solo fine di dare riscontro alle richieste o eseguire il servizio o la prestazione richiesta e sono comunicati a terzi nel solo caso in cui ciò sia a tal fine necessario. Base giuridica di questi trattamenti è la necessità di dare riscontro alle richieste degli Utenti interessati o eseguire attività previste dagli eventuali accordi definiti con gli Utenti interessati.
    Con il consenso espresso dell’Utente i dati potranno essere usati per attività di comunicazione commerciale relativi ad offerte di eventuali servizi offerti dal Titolare. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    Al di fuori di queste ipotesi, i dati di navigazione degli utenti vengono conservati per il tempo strettamente necessario alla gestione delle attività di trattamento nei limiti previsti dalla legge.
    È sempre possibile richiedere al Titolare di chiarire la base giuridica di ciascun trattamento all’indirizzo info@sangerardomaiella.it.

  3. Modalità di trattamento

    Il Trattamento dei Dati Personali viene effettuato mediante strumenti informatici e/o telematici, con modalità organizzative e con logiche strettamente correlate alle finalità indicate. Il Trattamento viene effettuato secondo modalità e con strumenti idonei a garantire la sicurezza e la riservatezza dei Dati Personali.

    In alcuni casi potrebbero avere accesso ai Dati Personali anche soggetti coinvolti nell’organizzazione del Titolare (quali per esempio, amministratori di sistema, ecc.) ovvero soggetti esterni (come società informatiche, fornitori di servizi, hosting provider, ecc.). Detti soggetti all’occorrenza potranno essere nominati Responsabili del Trattamento da parte del Titolare, nonché accedere ai Dati Personali degli Utenti ogni qualvolta si renda necessario e saranno contrattualmente obbligati a mantenere riservati i Dati Personali.

  4. Luogo

    I Dati Personali sono trattati presso le sedi operative del Titolare ed in ogni altro luogo in cui le parti coinvolte nel trattamento siano localizzate. Per ulteriori informazioni, è sempre possibile contattare il Titolare al seguente indirizzo email info@sangerardomaiella.it oppure al seguente indirizzo postale Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ).

  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021