San Gerardo Maiella
A+ A A-

Dalla vestizione alla professione

CAPITOLO V

57. Il Collegio di Deliceto. 58. Gerardo vi acquista subito la stima di tutti per le sue virtù e per l’amore alla fatica. 59. Il suo direttore. 60. Chi era il P. Cataro. 61. La prima parte del noviziato. 62. Un’estasi meravigliosa. 63. La lotta tra l’ubbidienza e l’amore. 64. Sua tenerezza per gli altri, specie se infermi. 65. Eroismo di mortificazione. 66. Le scrutazioni delle coscienze. 67. Umiltà ed ubbidienza eroica. 68. Il diavolo che lo mena per la retta via. 69. La professione. 70. Una lettera a S. Alfonso.

57. Ad un miglio e mezzo da Deliceto, terra della diocesi di Bovino nella Capitanata, a cavaliere d’un monticello, all’estremo d’un bosco, sorge un’antica chiesa dedicata alla SS. Vergine, onorata col nome di Nostra Signora della Consolazione. Una comunità di religiosi Agostiniani, stabiliti dal B. Felice da Corsano, la servì altra volta. Sul massimo altare si conserva la miracolosa immagine della Madonna, avuta in grande venerazione dagli abitanti della terra e dei luoghi adiacenti. In sul cadere dell’anno 1744 S. Alfonso, che era stato a missionare in Deliceto, andò a venerarla, e restò così preso di quel luogo, che senza difficoltà accolse le premure fattegli, perché vi fondasse una casa del suo Istituto, il che si effettuò il 24 dicembre dell’anno stesso con somma soddisfazione dell’intera diocesi di Bovino, e specialmente del suo Vescovo il Ven.le Antonio Lucci. Per le anime amanti della solitudine questa residenza era un paradiso . “In questa Casa della Madonna della Consolazione, scriveva il P. Cafaro, mi pare di godere la solitudine che godevano gli anacoreti dell’Egitto. Ritirati qui, dopo le missioni che si fanno nell’inverno e nella primavera, stiamo così quieti, soli, ed esenti dai tumulti del mondo, che ormai non sappiamo che cosa nel mondo si faccia. Stiamo lontani dal commercio degli uomini, stiamo dentro un bosco di buon’aria, di amena veduta, emulante il Petroso di S. Pietro d’Alcantara. Sia benedetto Dio « che mi ci ba condotto!” Questo fu l’asilo prescelto dalla Provvidenza pel suo servo Gerardo. Dei brevi anni che gli restano di vita è qui dove ne passerà la maggior parte, rendendosi spettacolo agli angeli ed agli uomini pel fervore delle sue preghiere, per la molteplicità delle sue estasi, per lo splendore dei miracoli, per la fecondità del suo apostolato, per l’elevatezza della sua scienza infusa, e finalmente pel suo impero sullo stesso demonio.

58. La comunità di Deliceto non tardò ad apprezzare il tesoro mandatole da Dio. “Ammesso tra i nostri (così il P. Caione nelle sue annotazioni), come egli siasi comportato, lo sa ognuno. « Umile, paziente, mortificato, dedito all’orazione, Gerardo divenne presto l’esempio e l’ammirazione di tutti”. Ed il P. Camilla Ripoli, testimone nel processo apostolico, aggiunge: “Fin dal suo ingresso nell’Istituto, egli si fece ammirare da tutti pel grandissimo suo fervore di spirito, e per la straordinaria sua carità, facendosi tutto a tutti.” Rimaneva provarlo in quanto alla fatica e fu destinato con un altro alla coltivazione del giardino. Lavorava indefessamente. Compita la sua parte di lavoro, correva a quella dell’altro dicendogli: Lascia fare a me che sono più giovane. Poi rientrava in casa, e diceva lo stesso agli altri che erano occupati nelle diverse faccende. Gli uffici più umili, come scopare la stalla e portarne via le immondezze, li riservava a sé. Dunque non era vero che fosse inutile alla fatica, o quando nel mese di ottobre venne a reggere quella casa il P. Cafaro, tutti, Padri e Fratelli, gli furono incontro per dirgliil miracolo della comunioneche Gerardo non solo fosse un santo, ma anche un grande faticatore. Il P. Cafaro ne scrisse a S. Alfonso, e S. Alfonso ordinò che gli fosse data la veste dell’Istituto. Allora entrò in santi esercizi; prese la penna e scrisse i suoi propositi. Primo: Posuit me Deus in paradiso voluptatis. Sappi, o Gerardo, che Dio ha strappato te dal mondo e ti ha posto qual novello Adamo in questo paradiso della Congregazione, a solo fine che operi e metta in esecuzione i precetti ed i consigli del suo santo evangelo, che hai nelle regole. Misero te, se le trascuri! Secondo: Avrò cura d’essere minuto osservante d’ogni cosa delle regole, di perseverare e crescere nel bene, d’impegnarmi all’acquisto del silenzio, della pazienza, e principalmente dell’unione con Dio.

59. Tracciatasi così la via da percorrere, era necessario che avesse un direttore di spirito, che lo guidasse nella nuova carriera, ed a questo scopo scelse il detto P. Cafaro.

60. Chi era il P. Cafaro? Nato il 5 luglio 1707 in Cava dei Tirreni, dopo una fanciullezza ed una gioventù trascorsa tutta nell’innocenza, abbracciò lo stato ecclesiastico. Fin d’allora, per consiglio del suo direttore, impiegò ogni dì molte ore all’orazione, e prese il santo uso di passare la sera due ore in adorazione dinanzi al SS. Sacramento. Una vita tanto contemplativa doveva pur essere mortificatissima. Digiunava almeno due volte la settimana in pane ed acqua, e le discipline a sangue gli erano ordinarie. Per castigare il suo corpo usava talvolta fasci di spine; spesso armava la mano d’una disciplina di nuova foggia. Era un pezzo di grossa canna, circondata all’intorno da punte di ferro, e nell’interno ripiena di piombo. Tutto il corpo era abitualmente coperto di aspri cilizi. Contava solo ventotto anni allorché per ordine espresso del suo vescovo si sottopose ad un’importante cura di anime, e per cinque anni ne tenne il carico con sollecitudine veramente apostolica; ma poi la delicatezza di sua coscienza ispirandogli continue inquietudini, ottenne con preghiere e lagrime d’essere esonerato dal formidabile peso. Poco dopo entrò nella Congregazione del SS. Redentore, in cui, giusta la parola di S. Alfonso, si mostrò in tutte le sue azioni eroico. Le virtù di lui in questa nuova carriera rifulsero più luminose. Ammirabile ne fu l’ubbidienza, lo zelo per la salvezza delle anime, lo spirito di mortificazione e l’amore all’orazione, le quali cose fecero si che S. Alfonso lo prendesse a moderatore della sua coscienza, e ne scrivesse di suo pugno la vita, che i popoli lo tenessero, in vita e dopo morte in gran concetto di santità, e che la Congregazione imprendesse a trattarne la causa di beatificazione presso la S. Sede. In quanto a dirigere le anime nella via della perfezione, egli era veramente distinto. Non lusingava le passioni, ma le prendeva a combattere, conciossiachè la sua massima era “ che per farsi santo bisogna agonizzare ed agonizzare sempre, attendendo a mortificarsi in tutto : nel cibarsi, nel bere, nel dormire, nel sedere, ed in ogni altra cosa.” Era dunque un direttore dotto e prudente, ma di tempra piuttosto austera . Ecco perché Gerardo lo scelse per sé, e lo ritenne fìnché visse.

61. Sotto la scorta di un tale direttore intraprese il cammino della religiosa perfezione, e lo percorse con passo di gigante. Imperocchè instancabile nel lavoro, assiduo nella preghiera, ubbidiente ai cenni dei superiori, sempre sitibondo di affliggersi coi digiuni, con acuti cilizi, con flagelli armati di stelle aguzze di acciaio, passò il primo tempo del suo noviziato sempre unito con Dio, con ammirazione di tutta la comunità. E qui è da avvertirsi che i Redentoristi dividevano, per costituzioni approvate dalla S. Sede, il noviziato dei fratelli laici in due parti eguali. Finita la prima, che durava sei mesi, li trattenevano per più anni in opere manuali della casa, e non li ammettevano alla seconda, se prima non li avessero riconosciuti idonei a disimpegnare i vari uffici ai quali per l’avvenire potessero essere destinati. Ora Gerardo, avendo già compita questa prima parte di Noviziato, fu destinato all’ufficio di sagrestano. Non ve ne poteva essere un altro più accetto al suo cuore. Poste le cose in assetto, vuoi nella sagrestia, vuoi nella chiesa, si poneva in adorazione presso il SS. Sacramento. Là, accanto alle meraviglie del Pane eucaristico, gli si appalesavano i grandi misteri dell’Incarnazione, della Nascita, e specialmente della Passione del suo Signore. Spesso avveniva che non potendo reggere alla foga degli affetti verso Gesù appassionato, usciva di chiesa ed andava a nascondersi in una grotticella vicina per rinnovarvi le flagellazioni, invocando talvolta all’uopo il braccio altrui, come aveva fatto in Muro. “Una volta, dice il P. Tannoia, diede di piglio ad una di quelle croci che e da noi si usano in Missione per erigere il Cale vario, ed essendosi sopra di quella adattato, cercò e di farvisi stendere, come vi si trovava il suo amato Maestro .” Il Crocifisso era come un mazzetto di mirra serrato sopra il suo cuore, del quale gustava respirare il celeste profumo nei minuzzoli di tempo lasciatigli liberi dall’ufficio. “Tutti i venerdì, prosegue il Tannoia, e specialmente quei di Marzo, perché consacrati alla Passione del divino Maestro, erano giorni di carneficina per Gerardo. Cardi, catenelle, discipline a sangue, veglie notturne, tutto metteva in opera per martoriare se stesso, né passavali che in pane ed acqua, se non vogliamo dire digiuno, e non ci bavasi che o ginocchioni o disteso a terra. Dolorosa poi sopra tutto nella quaresima era per lui la settimana santa. Non vedevasi che agonizzante e tirare a stento la vita. Stando Cristo al sepolcro, anche sepolto con esso egli vedevasi. Gesù Cristo morto per me, diceva, ed io non e muoio per chi ha dato la vita per me!” Dalla sua parte Gesù Cristo lo retribuiva di singolari favori. Imperocchè fu osservato, che ogni giovedi sul far della notte venisse straziato da dolori e si riducesse languente a segno, da raffigurare un infermo in agonia sino alla notte del sabato, in cui appariva tutto rimesso. Donde si dedusse ch’ei provasse in sè, come S. Francesco d’Assisi e R. Caterina da Siena, una riproduzione dei dolori di Gesù sulla croce. Dopo si seppe che egli stesso avesse domandata tanta grazia.

62. Con quest’intima partecipazione alla vita sofferente del Salvatore, è facile comprendere come gli bastasse sentir parlare di Passione, o fissare gli occhi ad un’immagine di Gesù paziente per sollevarsi in estasi: di che abbiamo una prova nel fatto seguente. Apparecchiava un giorno la mensa per alcuni ordinandi che facevano gli esercizi in casa, quando incontratosi con gli occhi nell’immagine dell’Ecce Homo, subito fu rapito in aria con lo sguardo immobile e con le braccia protese, con una mano stringendo un tovagliolo, e con l’altra la forchetta. Un laico che passava di là, sorpreso a vederlo, lo chiamò, però Gerardo non rispondeva; vi si provarono altri, ma invano. Ne fu allora avvisato il P . Caforo e solo lui potè richiamarlo ai sensi, scuotendolo per un braccio ed intimandoglielo per ubbidienza.

63. Ora, tornando all’ufficio di sagrestano, troviamo narrato che era un un bello spettacolo vedere la lotta che talvolta sorgeva nel suo cuore, mentre l’ubbidienza l’obbligava al lavoro e l’amore a Gesù l’attirava all’altare del Sacramento. “Un giorno, dice il P. Tannoia, lo vidi che passando e genuflettendo avanti al tabernacolo, dibattevasi per alzarsi, e non vedendosi libero, alzò la voce, dicendo: Lasciatemi andare, che ho da fare, e, quasi strappandosi a viva forza, partì.” Era poi tutto in festa quando venivano i giorni di solennità del Signore e della Vergine santissima. Raddoppiava le sue premure a nettare la chiesa, ad ornare gli altari, ed ispirava anche agli altri la divozione che sentiva vivissima nell’animo suo. Tutti dicevano che non s’era mai veduto, nè si sarebbe veduto in appresso un fratello sagrestano, al par di lui.

64. All’ufficio di sagrestano gli fu poi aggiunta la cura della guardaroba . Allora apparve quanta fosse la carità e la tenerezza che sentiva per gli altri. Non era mai che pensasse prima per sé. Sceglieva quanto v’era di meglio per darlo agli altri, riservando per sé quanto vi era di peggio. “Cederò agli altri tutto quello che v’ha di meglio e di più comodo, contentandomi di quello che Dio mi farà restare” ; ecco la massima che si era imposta. Narra il P. Tannoia che d’inverno, in Deliceto molto rigido, si privò della camiciuola per provvederne un confratello. L’altra norma propostasi era: “Visiterò più volte al giorno gl’ infermi, cioè quante volte mi verrà permesso”. Ed in queste visite usava con loro parole dolcissime per sollevarli, modi squisiti per servirli. Cercava indovinarne i desideri per appagarli senza por tempo in mezzo. Né ciò faceva solamente coi nostri, ma anche con gli estranei, quando cadevano malati nella nostra casa. Un certo canonico di Melfi, di nome D. Antonio Sabbatelli, finché visse, non cessò mai di magnificarne la carità, per aver avuta la sorte di essere stato assistito da lui una volta che fu di passaggio per quel collegio. Fu chiamato al letto di un povero tisico di Deliceto, e mentre l’esortava ad aver fiducia in Dio che lo avrebbe guarito, No, scattò fuori il medico là presente, non guarirà, perché il polmone è troppo guasto. E Gerardo: Ma che vi pare, signor Dottore, non può forse Dio guarire un polmone guasto, o farne uno nuovo ? Piaccia alla Divina Bontà operare questo miracolo, e mostri così come solo in Dio si debba porre ogni speranza. Da quell’ora l’infermo migliorò, e in pochi giorni fu guarito. Era solito dire: Darei mille volte la vita pel mio prossimo, se mille volte potessi riacquistarla per sacrificarla a suo vantaggio. Quindi al solo vedere che alcuno fosse nel bisogno o nel pericolo, subito accorreva al soccorso. Vide un vecchio che si trascinava a stento sotto il peso di un fascio di legna per la via che dal collegio mena a Deliceto: tolse su le sue spalle quel fascio e glielo portò fino alla porta della casa. Vide per la via di Sant’ Agata di Puglia una vecchia che sali va ansante l’erta del colle con un carico di panni: n’ebbe compassione, e postosi sul dorso quel peso, a costo della ripugnanza che vi sentiva, passò per le vie della città fino alla casupola di quella misera. Recandosi da Melfi in Atella, vide alcuni operai che non potevano andare alle loro fatiche per un torrente in piena: li fece montar l’uno dopo l’altro su la groppa del suo cavallo, e poi: Cavallo mio, orsù diamo gusto al nostro Dio. Così dicendo, passava e ripassava sicuro.

65. Se poi trattavasi del pericolo dell’anima, non si dava più posa, finché non l’avesse allontanato. Esortava, pregava fino a quando non avesse veduto ricondotto il traviato nella retta via. Se tal volta trovavasi in faccia di un peccatore ostinato, lo zelo mettevagli su le labbra parole di una energia apostolica. Se l’ostinazione perdurava, egli insisteva, ragionava, supplicava ginocchioni con le lagrime agli occhi, e non desisteva, finché non l’avesse convertito. Né guardava, se il peccatore fosse amico o nemico, se ne fosse stato più o meno offeso; la sua carità si estendeva a tutti: bastava che fosse un’anima da guadagnare. Una volta tornava a cavallo da Foggia a Deliceto, ed ignorando che il Duca di Bovino avesse dato il divieto di passare sopra il suo fondo, se ne veniva di là, pregando tranquillamente com’era suo costume. Uno dei guardiani, quant’altri mai rude e violento, gli si avventò contro e, datogli un colpo su le costole col calcio del fucile, lo rovesciò di sella. Gerardo in ginocchio chiede pietà, scusandosi d’aver ignorato il divieto; ma vedendo che quel crudele non si calmava, congiunge le mani, ed atteggiatosi a. vittima, con accento di umiltà e dolcezza: Battimi, dice, fratello mio, battimi che hai ragione. La dolce risposta spezza la collera, e quel disumano, cangiato ali’ istante, dopo aver gettato l’arma lungi da sé, si batte la fronte, piangendo d’aver percosso un santo, e, prostrato in ginocchio, implora perdono. Visto il suo percussore pentito, Gerardo l’abbracciò e, perché non poteva rimontare a cavallo per il dolore che sentiva in una costola ferita, lo pregò a dargliene aiuto, e ad accompagnarlo fino al Collegio. Avendolo quegli fatto, lungo il tragitto il nostro Santo si trattenne con lui in discorsi che gli toccassero il cuore. Giunto al Collegio, si guardò bono dal fare la minima allusione all’accaduto, e dopo aver dato un regalo a quell’uomo che, come diceva, gli aveva usata tanta carità, lo chiamò in disparte, e gli disse: Fratello, quello che hai fatto a me, non lo fare ad altri, perché te ne pentiresti. Il guardiano partì, ed impressionato da tanta virtù della sua vittima, apri il cuore alla grazia, ritornò alla casa di Deliceto per farvi la confessione generale, e continuò per qualche tempo a frequentarla con molto suo profitto. Ma dopo qualche tempo dimenticò l’avviso. Passò per tristi vicende e finalmente, venuto a rissa con un suo compagno più fiero di lui, rimase ucciso. All’infausto annunzio Gerardo, ancora addolorato nella costola offesa, versò lagrime di cordoglio amarissimo. Nel medesimo tempo che la santa carità gl’ispirava sentimenti così magnanimi e teneri, lo spirito d’umiltà e di mortificazione gl’infondeva noncuranza e disprezzo per sé stesso . Può asserirsi ch’egli amasse tutti gli uomini, tranne Gerardo Majella. Dopo il funesto incontro col guardacampi andò soggetto a spessi sbocchi di sangue, e giammai fece motto di questo male. Attesta il P. Landi che un fratello lo sorprese in una di queste emorragie, e voleva tosto avvisarne il superiore. “Fratello, gli disse Gerardo, voi mi farete una somma carità, se non ne fate parola; vi prego a non parlarne, perché molte volte mi è accaduto lo stesso, e mai ho creduto doverne far motto a chicchessia” . Quando andava fuor di casa, se il Superiore non avesse provveduto minutamente ai bisogni di lui, non era il caso che da se stesso chiedesse qualche cosa; e ciò lo faceva non solo per un eroico spirito di vera mortificazione, ma anche per un generoso abbandono nella divina Provvidenza. Un giorno gli fu ordinato di recarsi alla terra d’ Accadia, sita parecchie miglia lungi da Deliceto, ed egli mosse a quella volta per tempissimo. Avendo il P. Ministro dimenticato di fornirlo di un pò di colazione, si trovò nel viaggio tanto estenuato di forze, che al primo metter piede in una chiesa del luogo cadde svenuto. Altra volta gli fu ordinato di partire da Ascoli Satriano, paese presso Deliceto, secondo l’usato, prendendo alla lettera il comando del Superiore, partì all’istante con le scarpe vecchie, che portava per la casa. Arrivato sulla piazza di Ascoli fu visto da non pochi giovinastri, i quali incominciarono a porlo in ridicolo06 attacco por la misera calzatura, mentre egli godeva d’aver incontrato quanto cercava, cioè l’umiliazione ed il disprezzo. Quando dopo una corsa faticosa, rientrava in casa. tutto molle di sudore, non era mai che domandasse a ristoro qualche cosa, tenendosi fermo alla massima impostasi: “Nulla chiedere per me stesso”. Narra il P. Caione che reduce una volta da Foggia accompagnava un carro carico di legname, quando, ad un miglio dal collegio, rovesciatosi il carro in un gran pantano di fango, il carrettiere irruppe in imprecazioni e bestemmie. Mosso dalla carità e dallo zelo dell’onore di Dio cosi vilipeso, tanto s’affaticò per cavare il carro ed i cavalli da quel pantano, che lasciò nel fango una scarpa e rimase tutto inzaccherato e molle di sudore. Giunto in collegio, lungi dal muovere lamento o dal chiedere soccorso, restò in porteria su di uno scanno senza neppure aprir bocca, finché, riposto il legname, s’avvide un fratello del misero stato in cui era ridotto, e lo provvide del bisognevole. Soffrire per piacere a Dio, soffrire sempre o per tutto, era l’unica sua mira.
Abbiamo già fatto cenno del suo tenore di vita mortificatissima, delle sue veglie innanzi al SS.mo Sacramento, (veglie che sarebbero state assai più frequenti se il P. Cafaro non gliele avesse limitate, per ragione della malferma salute), dé suoi rigorosi digiuni o macerazioni. Eppure tutto questo non bastava a soddisfare l’immenso bisogno che egli sentiva di tormentare l’emaciato suo corpo: lo volle perpetuamente in croce, privo di ogni sollievo, scarsamente nutrito, mal vestito e peggio trattato. Non indossò mai un vestito nuovo: componeva i suoi abiti con vecchi ritagli di panno. Avutone il permesso, elesse per celletta la diruta stufa che fu già dei PP. Agostiniani. Era questa un oscurissimo luogo che non aveva né finestra,né abbaino. Quivi dentro adattò il suo povero giaciglio, o meglio, la sua tortura, imperocchè il letto si componeva di un pagliericcio, di cui i soli estremi erano colmi di paglia ed il mezzo era un cumulo di pietre . Su questo lotto prendeva un riposo sempre breve, che egli convertiva in un vero martirio, giacché dormendo si poneva all’estremità di quel covacciolo in modo, che il capo fosse poggiato solo a metà. Avendo un giorno il fratel Cesare voluto osservare questo letto, fu stupefatto e commoso a vedere il pagliericcio pieno di pietre e di cardi spezzati. Tutt’intorno al misero giaciglio erano disposti vari teschi di morto: una sedia malferma terminava tutto l’addobbo della povera celletta. E il Tannoia scrive: “Monsignor Basta, Vescovo di Melfi, Monsignor Amato, Vescovo di Lacedonia e l’Uditore Mercante, ritrovandosi nei santi esercizi, curiosi vollero vedere questa tana dove stava Gerardo, ed in vederla attoniti rimasero e spaventati” . Quando dappoi gli si volle assegnare una stanza ordinaria, assai di frequente lasciava di abitarla, trovando mezzo di cederla ai forestieri che traevano al nostro Collegio, sia per fare i santi esercizi, sia per chiedere ospitalità. In tal caso era suo letto la nuda terra, oppure il pavimento della chiesa. In proposito di ciò troviamo nel P. Landi narrato questo fatto. L’altare maggiore era vuoto nell’interno e vi si penetrava per una porticina. Colà dentro si accoccolava per dormire, stimandosi troppo fortunato di restar vicino al suo Amato Gesù. In questo appartamento di nuova foggia gli avvenne un caso imbarazzante, non essendo allora più sagrestano. Infatti una volta sopraffatto dal sonno, dormiva ancora nell’ora della prima messa, quando il tintinnio del campanello venne a destarlo. Terminata quella messa, un altro Padre uscì immantinente a celebrare, quindi, e per celare la sua mortificazione, e per non lasciarsi vedere, dovette, suo malgrado, rimanersene chiuso nel nascondiglio per un buon tratto di tempo. Insistendo i Superiori che usasse, come gli altri religiosi, il pagliericcio, egli, dico il P. Tannoia, seppe far tante vive istanze, presso il suo direttore, che questi alla fine gli permise di dormire per tre volte alla settimana sopra una tavola coi soliti mattoni per guanciale, con una pietra pendente ai piedi e fasciata la fronte con una catenella di ferro. Spesso pure gli accadde che, avendo ceduto la sua stanzetta al primo arrivato, si procurasse il ricovero la notte entro la stalla, giacendo su la paglia accanto alle bestie da soma. Per tal modo, in tutti gli incontri, era egli intento a negoziare le sue ricchezze di privazioni, di sofferenze, di mortificazioni, e tutto questo, giusta la sua parola, lo faceva per amore del suo creatore e Dio.
S. Teresa nella sua autobiografia così dice di S. Pietro d’Alcantara: “Oh! qual perfetto servo di Gesù Cristo era questo benedetto religioso! Dicesi, il mondo non essere più capace di tanta perfezione, e che per essere le complessioni più e deboli, non siamo più come nei tempi passati. Questo santo visse nel secolo nostro, eppure l’energico suo fervore agguagliò quello dei tempi andati; ei tenne così il mondo sotto i piedi. Dopo e sua morte io l’ho veduto molte volte con grandissima gloria. La prima volta che mi apparve e mi disse: - O felice penitenza che tanto premio mi ha meritato. - Ecco dunque il termine di vita cosi austera: un’eternità di gloria” . Simili parole convengono adequatamente al nostro S. Gerardo. Questi, come S. Pietro d’Alcantara, non visse che per martoriarsi, serbando pel prossimo le tenerezze e le attenzioni. Le pene sono ormai per lui terminate; la carità resta. O santa carità! O felice penitenza! Essa gli ba meritato un eterno pondo di gloria e di felicità, e questa gloria durerà sempre, e questa felicità non passerà mai.

66. A misura che il nostro Santo cercava di combattere so stesso, Dio lo rendeva vittorioso contro l’inferno. I Padri di Deliceto, giusta il fine del loro santo Istituto, davano ogni anno in quel collegio più corsi di spirituali esercizi, ora ai sacerdoti, ora agli ordinandi, ora ai laici, che vi si raccoglievano numerosi in santo ritiro. Fra questi una volta venne un signore carico di molti peccati, ma disposto a cambiar vita. Ascoltate lo prime meditazioni, predicate dal servo di Dio P. Giovanni Rizzi, cadde in tetri pensieri, sembrandogli di non poter essere perdonato da Dio. Gerardo che per lume superno aveva già penetrato nel cuore di lui entrò nella sua stanza, e gli disse: Signore, che avete? Lavatevi dalla tesla questa diffidenza d’inferno. Dio e Maria SS.ma vi aiuteranno. La diffidenza scomparve. - Un altro signore menato agli esercizi dal rispetto umano, aveva celato al confessore i suoi peccati e si accingeva a fare una sacrilega comunione. Gerardo, internamente illuminato, gli andò incontro e gli fece conoscere l’enormità del peccato che andava a compire. Il sacrilego restò compunto, si confessò senza indugio e, fatta una buona comunione, voleva per sua confusione rivelare a tutti il fatto, ma dai Padri ne fu impedito. - Intervenne agli esercizi un sacerdote, obbligatovi dal proprio vescovo; si confessò per apparenza, ma senza dolore. Il Servo di Dio, fingendo di fargli una visita, entrò a parlargli di alcuni peccati che erano quelli da lui taciuti in confessione. Il sacerdote si convertì sinceramente, e menò in appresso una vita degna del santo suo stato. E’ spontaneo il pensare, come Satana sentisse rabbia contro l’uomo di Dio, che lo spogliava di tante conquiste. Lo prese dunque di mira e scagliò contro di lui i suoi demoni. “Tante e tante volte, scrive il Tannoia, se gli fecero presenti di notte non uno ma più demoni, minacciandolo e straziandolo, perché desistesse da l rubare loro le anime. Affermano i suoi confessori essere stato anche trascinato pei corridoi della casa. Tu non la vuoi finire, gli disse un demonio, ed io te ne do, per levarti dal mondo. Talvolta si vide afferrato e sì strettamente tenuto, che credeva sul punto di spirare. Trovandosi una volta in cucina, più demoni se gli fecero sopra per buttarlo nel fuoco”.
A tutti questi assalti non mai il nostro Santo si sgomentò . Bastava che ricorresse con fiducia a Dio, che chiamasse Gesù e Maria, che si facesse la croce, che si segnasse con l’acqua santa e tosto li metteva in iscompiglio. Un segreto istinto gli rivelava la loro presenza nascosta, come mostra il fatto seguente. Si videro in una domenica innanzi alla nostra chiesa due giovani, che niuno sapeva dire chi fossero. Gerardo al primo vederli disse loro : Che fate voi qui? questo non è luogo vostro: in nome di Dio, ritornate all’inferno. I due giovani scomparvero. “Di questo fatto, dice il Tannoia, furono testimoni parecchi dei Padri” . - Oltre di ciò egli aveva presa sui nemici infernali tale una padronanza, che quasi li aveva ridotti a sua disposizione. Racconta il P. Landi che uno degli esercizianti ai era deciso a comunicarsi sacrilegamente, quando venne a lui Gerardo che, fattolo entrare in una stanza, gli espose la gravezza del delitto che voleva commettere e, poiché quei si mostrava ancora titubante, gli fece comparire davanti due orsi spaventevoli in atto minaccioso di sbranarlo. Allora il sacrilego si converti e, confessatosi, mutò vita. - Racconta ancora di un certo signore ostinato nelle sue occasioni peccaminose. Il santo fratello chiamò anche lui in una stanza, e, visto che riuscivano inutili le sue preghiere, si volse a Dio che mostrasse a quell’infelice il fuoco dell’inferno. All’istante divampò tutta la stanza, e l’ostinato pieno di spavento, gittatosi ginocchioni a terra, si strinse ai piedi del Santo e piangendo e lagrimando, promise di mutar vita, come fece. Più strepitosa fu la conversione di un grande peccatore, mandato a fare gli esercizi dal vescovo di Lacedonia, la quale ci viene narrata, non solo dai PP. Tannoia e Landi, ma anche dai testimoni che deposero nel processo apostolico. Costui era già stato mandato una volta a fare gli esercizi, ma non li aveva fatti che per finzione. Il Servo di Dio, avendolo allora veduto andare a comunicarsi, gli aveva detto: Dove vai? - A communicarmi. - A communicarti! e come, se hai tralasciato ad arte tali peccati’! (e disse quali). Va subito a confessarti e bene, se non vuoi che la terra ti inghiotta. Atterrito da queste parole, il peccatore si era messo in regola con Dio. Ma, restituitosi a casa, dopo qualche tempo, era tornato di nuovo al vomito, e per questo fu di nuovo mandato agli esercizi. Al primo vederlo, Gerardo gli domandò: Come andiamo? Che v’è di nuovo? - Niente. A questa risposta il Santo tacque, ma decise d’intraprenderne questa volta la conversione che fosse più stabile. Ottenutane la licenza dal superiore, dié di piglio ad un Crocefisso, entrò nella camera del peccatore, e, chiusa la porta e la finestra, incominciò ad apostrofarlo cosi: Come! avete avuto l’animo d’offendere nuovamente Dio! Ingrato! Bugiardo! osate dire di non aver fatto niente (e qui gli sciorina l’un dopo l’altro i peccati in cui era caduto). Mirate! Chi ha fatto queste piaghe a Gesù Cristo? (e le piaghe grondano sangue). Che male dunque vi ha fatto questo Dio? E’ nato povero dentro una stalla, sopra la paglia per vostro amore (e mentre cosi dice, ecco appare Gesù bambino tra le sue mani ). Così ardite burlarvi di Dio ?No, no, sappiatelo. Dio non si burla impunemente. E’ longanime, ma alfine castiga. Se non mettete fine ai vostri disordini, ecco che vi aspetta (e comparisce un mostro di demonio che si avventa contro l’infelice, addivenuto corno di ghiaccio per la paura). Vattene via, brutta bestia, disse allora, e la bestia disparve. L’inferno aveva contribuito alla radicale conversione del gran peccatore, che corse a gettarsi ai piedi del P . Petrella, si confessò e perseverò nel bene fino alla morte .

67. Per meglio mostrare come il Santo era giunto ad esercitare un impero sopra i demoni, vogliamo narrare un altro fatto che gli avvenne intorno a questo tempo, la cui memoria ci fù conservata dal P . Tannoia. Ritornava egli una volta da Melfi a Deliceto ed era di notte. Smarrì la via e si trovò in una folta boscaglia in riva all’Ofanto. La pioggia dirotta del giorno aveva fatto uscire fuori dal letto il fiume, tanto da non potersi più distinguere dove fosse il piano, dove i burroni. Trovandosi in tal frangente, vide innanzi a sé un brutto ceffo, che gli diceva : Ora ci sei: posso finalmente far di te ciò che voglio. A queste parole riconobbe il demonio, e senza agitarsi d’animo concepì il disegno di valersene per uscir fuori del mal passo. In nome della SS.ma Trinità, gli disse, t’ intimo di tenere per la briglia il cavallo e di condurmi fino a Lacedonia. Il diavolo ubbidì e, giunto a Lacedonia, disparve .

68. Al vedere i demoni così sottomessi ai comandi di Gerardo, sorge la domanda : Donde veniva al Santo tanta virtù? Non lo sappiamo. E’ questo un segreto di Dio, che non lice all’uomo investigare. Purtuttavia ci è noto, che l’impero di Satana fu rovesciato dall’ubbidienza ed umiltà di nostro Signore Gesù Cristo . Non s’andrebbe dunque lungi dal vero, se si dicesse che tale virtù del Santo proveniva principalmente dalla sua umiltà e dalla sua ubbidienza. Egli era così umile che i suoi confratelli unanimi lo proclamarono il simbolo dell’umiltà. Nella persuasione d’essere un gran peccatore, ricorreva sempre alle preghiere altrui. La bassa stima che aveva di sè lo faceva andare in cerca di disprezzi e d’ umiliazioni. “Diceva, come nota il Tannoia, e di mangiare il pane a tradimento; quando gli veniva concesso di cibarsi degli avanzi di tavola, e allora banchettava, riputandosi come uno dei poveri a cui si dà per elemosina ciò che dagli altri si e rifiuta.” Talvolta aveva tale orrore di se stesso che, non sapendo come confondersi di vantaggio, giungeva fino ad abbrancare la terra, pregandola a nasconderlo agli occhi degli uomini. Questi sentimenti della propria indegnità gli facevano provare un certo sollievo nelle fatiche le più abbiette: le cercava con avidità, e quando l’ubbidienza glielo imponeva, si vedeva tutto ilare e festante. Difatti era per lui un vero godimento il nettare la stalla e cavarne fuori il letame. Un simile bisogno gli faceva cercare l’umiliazione nelle vesti, nel vitto e nell’alloggio. Insomma voleva per sé quello che v’era di più povero o ributtante. Egli però ebbe sempre somma cura, come prescrive la regola, di unire alla più grande povertà quella nettezza, che è il riverbero delle anime pure, come il vero ornamento delle case religiose. Noll’ubbidienza ora andato tanto innanzi che, al dire del P. Camillo Itipoli, il quale depose nel processo apostolico, poteva chiamarsi il santo dell’ ubbidienza. L’ubbidienza è quella che deve condurci in paradiso. La volontà di Dio sopra di me s’identifica col volere dei miei superiori. Ecco la sua massima. Da ciò veniva, ch’egli adorasse i pensieri di chi presiedeva. Non avrebbe fatto un movimento07 ingresso redentore senza riceverne l’ordine. Perchè, diceva, perchè perdere nelle azioni ancorchè piccole, il merito dell’ubbidienza? Bisognava dunque ponderar bene le parole prima di dargli un comando, perchè, quando il superiore parlava, era come incapace di ragionamento, nè venivagli neppure il sospetto che un ordine dato si potesse prendere in senso diverso da quello che suonavano le parole. Laonde apparivano in lui alcuni tratti che si potrebbero chiamare le sante follie dell’anima ubbidiente; quegli stessi che narra delle sue suore S. Teresa nel monastero di Toledo: “In questo monastero, scrive la Santa, si esercitavano grandemente le suore nella mortificazione e nell’ubbidienza, di maniera che alle volte bisognava che la priora guardasse come parlava, perchè, quantunque fosse stato inavvertitamente o per burla, esse subito l’eseguivano.”
Avendo il nostro Santo ricevuto in custodia la porta del collegio, un giorno il P. Cafaro gli disse: Subito che sentirete suonare il campanello della porteria, lasciate ogni altra occupazione, e senza alcun ritardo recatevi ad aprire. Poco dopo Gerardo, che si trova in cantina a prendere il vino per la mensa, sentì suonare il campanello. Eccolo pronto. Lascia tutto come si trova e col boccale in una mano e col turacciolo nell’altra corre ad aprire la porta. Il P. Cafaro, in cui si imbatte, meravigliato in vederlo con quegli arnesi in mano, l’interroga perchè corra e, avendolo saputo, come infastidito gli dice: Eh! vattene ad infornare. Eccone un’altra. Ei corre al forno e vi si pone dentro. Da lì a poco viene il panettiere per cuocere il pane e, vedutolo accovacciato: Che fai tu là? gli dice con sorpresa, esci. - No, risponde, portami prima il permesso del superiore. Quei va dal P. Cafaro, il quale in udirlo si batte con la mano la fronte, esclamando! Ah! mio Dio, dunque con costui bisogna pesare tutte le parole, perchè eseguisce tutto alla lettera: e subito , ricordandosi di averlo visto col boccale e col turacciolo nelle mani, disse al panettiere: Recatevi senza indugio alla cantina, chè, avendogli io detto di lasciare ogni altra occupazione per andare subito in porteria, temo che non abbia lasciato la botte aperta. Era così; ma dalla botte non si trovò versata neppure una stilla. Allora quel Padre alzò gli occhi al cielo e disse: In verità, Dio scherza con costui! Bisogna lasciarlo andare secondo lo spirito che lo guida. Quest’ubbidienza alla lettera, è mestieri notarlo, non è imitabile, perchè è secondo l’ intenzione del superiore che si deve ubbidire, e non secondo il suono delle sue parole. Però possiamo ammirarla, perchè ammirabile è Dio nei santi suoi. Anzi anticipiamo qui il racconto di un altro fatto per meglio mostrare corno l’ubbidienza del nostro Santo giungesse fino al miracolo; ma prima vogliamo dare un cenno della vita del nuovo superiore, sotto il cui governo questo fatto avvenne. Nel febbraio del 1752 in Deliceto fu sostituito al P. Cafaro, mandato a reggere il Collegio di Materdomini, il P. Carmine Fiocchi. Questo Padre era nato a Caiano, diocesi di Salerno, da civili e virtuosi genitori, il 13 giugno 1721. Sin dai suoi primi anni fu modello di fervore. La preghiera fu la sua delizia, e tanto avido si mostrò di penitenze, che la sua buona madre fu costretta a sottrargli gli strumenti di mortificazione coi quali martoriava l’innocente suo corpo. Venuto alquanto su negli anni, i genitori lo inviarono a Napoli, affinchè vi ricevesse un’educazione pari ai suoi natali. Colà, nel corso degli studi, nei quali si distinse, tenne fermo nella pietà, cosicchè la sua bell’ anima piena dell’amore di Gesù Cristo seppe sprezzare tutte le vane lusinghe del secolo. Entrato nel Seminario di Salerno, fu presto insignito del suddiaconato. Però, desideroso di essere di Dio senza riserva, aspirò alla vita religiosa, e, dopo aver molto pregato, portò la scelta su la Congregazione del SS.mo Redentore. Ne scrisse al santo Fondatore Alfonso Maria de Liguori, ed il Santo, esaminatane la vocazione, gli rispose che essa veniva da. Dio, che nostro Signore lo voleva per sè, che perciò il partito preso dovesse subito mandarsi ad effetto. Stimolato da queste parole, il fervoroso seminarista volò a Ciorani. I genitori malgrado la loro gran pietà, ne furono costernati, e non lasciarono opera intentata per costringerlo ad abbandonare il preso divisamento. Tanto innanzi spinsero la te nerezza della carne a del sangue, da rivolgersi all’autorità civile per riuscire all’intento, e questa, arrogandosi il diritto di sostenere contro Dio sì ingiuste pretese, ordinò che il novizio fosse rinserrato in u:i Convento di Salerno, per ivi esaminare e provar meglio la sua vocazione. Forte del soccorso del cielo, il giovane trionfò di tutti gli ostacoli, ed ebbe alfine il contento di ritornare al noviziato, finito il quale, fece la professione religiosa in mano di S .Alfonso, il dì 8 maggio 1744. Ordinato sacerdote, fu destinato alle missioni. I successi di quest’uomo apostolico furono meravigliosi. Senza tema di errare può asserirsi essere stato egli uno dei più grandi missionari della Congregazione del SS.mo Redentore . Nei trent’anni che passò in questo laborioso ministero, ricondusse a Dio molti peccatori, santificò il clero di molte diocesi, e riaccese il fervore in un gran numero di monasteri. Contava solo 28 anni di età, quando fu chiamato a reggere la casa di Pagani, e nel 1750, dopo la morte del P. Sportelli, S. Alfonso lo elesse Consultore Generale della Congregazione. Tutte le virtù religiose brillarono di viva luce in lui. Ma sopra ogni altro fu chiaro pel suo ardore nella preghiera, per lo spirito di mortificazione, pel suo amore a Maria Immacolata, e per la divozione a Nostra Signora dei Sette Dolori. L’amore poi che sentì pel Sacramentato Gesù fu senza pari: quando sacrificava all’altare, avresti creduto vedere un serafino. Questo santo Redentorista volò dalla terra al cielo, invocando dolcemente il bel nome di Maria, nell’anno 1776. Quattro anni erano trascorsi dalla sua morte, ed il suo cadavere fu trovato ancora incorrotto. Non appena questo Padre aveva preso il regime del Collegio di Deliceto, che subito riconobbe qual santo fosse Gerardo, specialmente in materia d’ubbidienza. Un giorno che lo aveva inviato con una lettera, in cui per distrazione aveva omessa la cosa più importante, andava seco dicendo: Oh, se potessi farlo ritornare! In quell’istante Gerardo, che già s’era molto allontanato, si fece a lui presente. Perchè ritorni? gli domandò il Padre; ed egli, guardandolo senza nulla rispondere, gli fece intendere con un sorriso che era ritornato per appagare il suo desiderio. Questo fatto ed altri simili, che vennero appresso, avevano indotto nella mente del P. Fiocchi la persuasione, che per farsi ubbidire dal santo fratello bastasse dargliene il precetto mentale . Laonde, trovandosi una volta in Melfi col vescovo di quella città, Mons. Teodoro Basta, e, saputo che questi aveva desiderio di conoscerlo e che avrebbe mandato un apposito corriere a prenderlo, Non è necessario, rispose, Monsignore, che si mandi un messo: mi basta, perchè venga subito, di dargliene il precetto. E così detto, raccolto in se stesso, comandò con la mente a Gerardo di recarsi a Melfi. Nello stesso istante nel Collegio di Deliceto il Servo di Dio si presentava al P . Ministro, dicendogli di dover partire per Melfi, perchè il P. Rettore ve l’aveva chiamato. Ottenutone il permesso, intraprese il viaggio, e come giunse ali’ episcopio, il P. Fiocchi, dissimulando di non saper nulla, l’interrogò innanzi al Vescovo: Qual motivo vi ha spinto a venir qua?- L’ubbidienza di Vostra Riverenza. - Ma io non vi ho mandato a chiamare per nessuno, né per lettera. - E’ vero, rispose Gerardo, ma mi avete dato il precetto d’ubbidienza avanti a Monsignore che brama vedermi; poi rivolto al vescovo incominciò ad esclamare: Ma chi sono io, se non un verme di terra, un peccatore, un miserabile, che ha bisogno di tutta la misericordia di Dio? Il Vescovo, che stentava a credere ai suoi occhi, pregò il P. Fiocchi, che doveva partire, a lasciarglielo qualche tempo per edificarsi allo spettacolo della. santa vita di lui. Il Padre acconsentì a condizione che dopo pochi giorni facesse ritorno al ,suo Collegio. Ora tornando al discorso dal quale siamo partiti, se Gerardo s’era reso tanto vittorioso sopra i demoni, possiamo attribuirlo alla sua grande umiltà, perchè sappiamo che chi si umilia sarà esaltato; possiamo attribuirlo alla sua meravigliosa ubbidienza, perchè, Dio l’ha detto, l’ubbidiente canterà vittoria.

69. La seconda parte del noviziato s’appressava al termine, e S. Alfonso, per le buone relazioni ricevute dal visitatore, il P. Mazzini, aveva scritto che Gerardo fosse ammesso alla professione. Egli, a meglio apparecchiarsi al grande olocausto che doveva fare di se stesso a Dio, con la licenza del suo confessore, riprese le sue carneficine nella. vicina grotticella, avvalendosi questa volta anche del braccio di un certo Francesco Teta, da lui stesso poco tempo prima convertito, e d’un certo Longarelli che serviva in quella nostra casa. Come ciò facesse lo riferiamo con le parole del P. Camillo Ripoli che lo depose nel processo apostolico: “Nelle vicinanze del nostro collegio di Deliceto eravi la grotta del Beato Felice, così chiamata, perchè e quel servo di Dio negli anni antecedenti colà erasi rintanato. Quivi dunque recavasi il ven. Gerardo con due inservienti di quel collegio. E perchè diceva di volere imitare Gesti Cristo, pregandoli, si faceva legare ad una pietra come ad e una colonna, ed indi flagellare con funi sino a farne sgorgare copioso sangue. Al vederlo scorrere si arrestavano i percussori di Gerardo, perchè se si erano prestati a quell’ufficio di pietà, come lo dicevano, non amavano però essere inumani. Ma egli, quanto maggiormente si sentiva percuotere, e tanto più si vedeva lieto e contento, dicendo: « Gesù Cristo cosi volle fare per noi ingrati e sconoscenti. E quando i compagni dissentivano dal prestare l’opera loro, Gerardo piangeva, e piangendo loro si gettava ai piedi e li pregava a legarlo e flagellarlo, perchè a quel modo gli avrebbero procurato il piacere d’imitare Gesù e Cristo, ed essi a quel pianto erano indotti a flagellarlo, sebbene usassero una certa moderazione, affliggendolo solo per quanto un uomo potesse patire. Ed egli, mentre ne godeva, rimaneva anche assorto in Dio con una faccia di vero angelo. Nè siffatte penitenze, dicevami il Longarelli, venivano eseguite senza il consenso del suo confessore, perchè egli era tal servo di Dio che non muoveva una mano senza licenza e del suo confessore e del suo superiore; stante che si poteva dire, anzi si diceva comunemente da tutti, che Gerardo era un prodigio d’ ubbidienza. Nè queste penitenze singolari lo resero inoperoso od infiacchito, perchè egli, finchè visse in Congregazione, non solo disimpegnò esattamente ogni qualunque ufficio affidatogli, come diceva il Longarelli, Caione ed altri, ma volava inoltre a soccorrere ed aiutare i suoi confratelli in altri ufficii.” E con questa santa brama di vedersi sempre più somigliante a Gesù Cristo crocifisso e nell’anima e nel corpo il beato Fratello si predispose al grande atto della religiosa professione. Il 2 luglio del 1752, festa della Visitazione della Beata Vergine, cominciò un ritiro di quindici giorni, che ogni novizio della Congregazione deve premettere alla emissione dei voti. Con quanto fervore egli passasse questo tempo, ognuno può di leggieri pensarlo. Finalmente spuntò il giorno 16, in cui quell’anno per una felice coincidenza si celebravano insieme la soleunità del SS. Redentore e la festa della Madonna del Carmine, e Gerardo raggiunse la tanto bramata felicità di stringersi con insolubile legame al servizio di Colui che egli soleva con tanta verità chiamare: “Il mio unico padrone Gesù Cristo.” Quale fosse allora la gioia del suo cuore, è più facile immaginarlo che descriverlo . Manifestò la sua gratitudine verso Dio col voto che fece poco tempo dopo, d’attenersi nell’agire sempre al più perfetto: “voto che, disse il P. Alfani nel processo apostolico, lo portò a sì alto grado di perfezione, che in lui non ravvisavasi più l’uomo di fango e di polvere, ma il vero spirito di Dio, mondo e puro.” Mostrò la sua riconoscenza al P. Mazzini e a S. Alfonso per mezzo di lettere che qui riportiamo. La lettera al P . Mazzini dice: Jesus et Malria. - “ La grazia dello Spirito Santo sempre stia nell’anima di V. Riverenza, e Mamma Immacolata ve la conservi. Amen . Padre mio caro, quanto io vi ami presso Gesù Cristo e Maria SS.ma (e spero che sia un puro affetto in Dio) non lo posso spiegare. Vi ringrazio sommamente della pietà e carità che mi avete usato nel disporre il nostro Padre a farmi fare la santa professione . Io già la feci nel sacrosanto giorno del SS. Redentore, e spero da S. Divina Maestà che non mi voglia mai lasciare, ma sempre assistere, acciò mi faccia fare la sua santissima volontà. Padre mio, per e l’amore di Gesù Cristo e di Maria SS.ma, vi sia raccomandata quest’anima mia. Non vi scordate di sempre presentarla. a Dio, chè io, malgrado la mia indegnità, di V. Riverenza mai non mi scorderò. Vi bacio le sacre mani, e perpetuo permanemus in Corde Jesu et beatae Virginis Mariae. - S. Maria della Consolazione, 26 di luglio 1 752. - Di V. Riverenza indegnissimo servo e fratello Gerardo Maiella del SS. Redentore.”

70. La lettera a S. Alfonso è del tenore seguente: Jesus et Maria. - “ La grazia del divino amore sia sempre nell’anima di V. P., e la Madre Immacolata ve la conservi. Amen. - Padre mio, eccomi prostrato ai piedi di Vostra Paternità, e sommamente vi ringrazio della bontà e carità e usatami, contro i miei meriti, di avermi già acecettato e ricevuto per uno dei vostri figli. Benedetta sia per tutta l’eternità la bontà divina che mi ha usato tante misericordie da me non meritate, e fra le altre quella che nel giorno del SS . Redentore feci la santa professione, e così e mi consacrai a Dio . Oh Dio! e chi sono stato, o chi son io che ardisco consacrarmi a Dio? e Vorrei proprio parlare della grandezza e della e bontà di Dio; ma no, poichè ciò sarebbe inutile nella presente occasione, e mi chiamereste pazzo. Padre mio, mandatemi per amore di Gesù Cristo e Maria SS .ma la vostra santa benedizione e mettetemi ai piedi di sua Divina Maestà. Vi bacio le mani. Di Vostra Paternità indegno servo e figlio: Gerardo Maiella del SS. Red .”
08 deliceto

Cancellazione dati iscrizione

Inserisci il numero di cellulare e\o la mail con cui ti sei registrato e clicca sul tasto in basso

CHIUDI
CONTINUA

INFORMATIVA PRIVACY

Lo scopo della presente Informativa Privacy è di informare gli Utenti sui Dati Personali, intesi come qualsiasi informazione che permette l’identificazione di una persona (di seguito Dati Personali), raccolti dal sito web www.sangerardomaiella.it (di seguito Sito).
La presente Informativa Privacy è resa in conformità alla vigente normativa in materia dei Dati Personali per gli Utenti che interagiscono con i servizi del presente Sito nel quadro del Regolamento Ue 2016/679.

Il Titolare del Trattamento, come successivamente identificato, potrà modificare o semplicemente aggiornare, in tutto o in parte, la presente Informativa; le modifiche e gli aggiornamenti saranno vincolanti non appena pubblicati sul Sito. L’Utente è pertanto invitato a leggere l’Informativa Privacy ad ogni accesso al Sito.

Nel caso di mancata accettazione delle modifiche apportate all’Informativa Privacy, l’Utente è tenuto a cessare l’utilizzo di questo Sito e può richiedere al Titolare del Trattamento di rimuovere i propri Dati Personali.

  1. Dati Personali raccolti dal Sito
    • Dati Personali forniti volontariamente dall’Utente

      L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati sul sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva. Specifiche informative di sintesi verranno progressivamente riportate o visualizzate nelle pagine del Sito predisposte per particolari servizi a richiesta.
      L’Utente è libero di fornire i Dati Personali per richiedere i servizi eventualmente offerti dal Titolare. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere quanto richiesto.

    • Dati Personali raccolti tramite cookie:

      Nel Sito viene fatto uso di cookie strettamente essenziali, ossia cookie tecnici, di navigazione, di performance e di funzionalità.
      I cookie sono informazioni inserite nel browser, fondamentali per il funzionamento del Sito; snelliscono l’analisi del traffico su web, segnalano quando un sito specifico viene visitato e consentono alle applicazioni web di inviare informazioni a singoli Utenti.
      Nessun dato personale degli Utenti viene in proposito acquisito dal Sito.
      Non viene fatto uso di cookie per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento degli utenti.
      L’uso dei cookie di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’Utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione, necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito.
      I cookie di sessione utilizzati in questo Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli Utenti e non consentono l’acquisizione di Dati Personali identificativi dell’Utente.

  2. Finalità e Base giuridica del Trattamento

    I Dati Personali raccolti possono essere utilizzati per finalità di registrazione dell’Utente, ossia per consentire all’Utente di registrarsi al Sito così da essere identificato. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    I Dati Personali forniti dagli Utenti che inoltrano richieste o intendono utilizzare servizi eventualmente offerti tramite il Sito, nonché ricevere ulteriori specifici contenuti, sono utilizzati al solo fine di dare riscontro alle richieste o eseguire il servizio o la prestazione richiesta e sono comunicati a terzi nel solo caso in cui ciò sia a tal fine necessario. Base giuridica di questi trattamenti è la necessità di dare riscontro alle richieste degli Utenti interessati o eseguire attività previste dagli eventuali accordi definiti con gli Utenti interessati.
    Con il consenso espresso dell’Utente i dati potranno essere usati per attività di comunicazione commerciale relativi ad offerte di eventuali servizi offerti dal Titolare. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    Al di fuori di queste ipotesi, i dati di navigazione degli utenti vengono conservati per il tempo strettamente necessario alla gestione delle attività di trattamento nei limiti previsti dalla legge.
    È sempre possibile richiedere al Titolare di chiarire la base giuridica di ciascun trattamento all’indirizzo info@sangerardomaiella.it.

  3. Modalità di trattamento

    Il Trattamento dei Dati Personali viene effettuato mediante strumenti informatici e/o telematici, con modalità organizzative e con logiche strettamente correlate alle finalità indicate. Il Trattamento viene effettuato secondo modalità e con strumenti idonei a garantire la sicurezza e la riservatezza dei Dati Personali.

    In alcuni casi potrebbero avere accesso ai Dati Personali anche soggetti coinvolti nell’organizzazione del Titolare (quali per esempio, amministratori di sistema, ecc.) ovvero soggetti esterni (come società informatiche, fornitori di servizi, hosting provider, ecc.). Detti soggetti all’occorrenza potranno essere nominati Responsabili del Trattamento da parte del Titolare, nonché accedere ai Dati Personali degli Utenti ogni qualvolta si renda necessario e saranno contrattualmente obbligati a mantenere riservati i Dati Personali.

  4. Luogo

    I Dati Personali sono trattati presso le sedi operative del Titolare ed in ogni altro luogo in cui le parti coinvolte nel trattamento siano localizzate. Per ulteriori informazioni, è sempre possibile contattare il Titolare al seguente indirizzo email info@sangerardomaiella.it oppure al seguente indirizzo postale Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ).

  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021