San Gerardo Maiella
A+ A A-

Il cavaliere della palude

Capitolo XIII

Dopo la partenza del padre Cafaro e il breve interinato del padre Giovenale, fu mandato come rettore il padre Salvatore Gallo, il quale riprese l'antico disegno della coltura diretta dei campi che sembrava il toccasana della miseria. Il nuovo indirizzo, forse troppo repentino, produsse un certo disagio nella comunità, dove si avvertiva il vuoto immenso lasciato dal precedente rettore, uomo di somma autorità e d'indiscusso prestigio. Il padre Gallo era intelligente, attivo e virtuoso, ma coi suoi ventisette anni, forse mancava dell'esperienza necessaria per reggere le sorti di una comunità che si dibatteva in condizioni economiche quasi disperate. I suoi tentativi andarono ad urtarsi contro gli osservanti ad oltranza che temevano il rilassamento dello spirito per le soverchie preoccupazioni materiali e contro . i progressisti che avevano sempre qualche nuovo progetto da presentare. Gli uni e gli altri si permisero osservazioni e critiche che furono riportate al fondatore dal padre Petrella, recatosi appositamente a Pagani. Uomo scrupoloso, osservante minuzioso di ogni tradizione, il Petrella avrà fatto un quadro piuttosto colorito della situazione, se Sant'Alfonso pensò subito di correre ai ripari, prima col richiamo brusco al rispetto dell'autorità e poi con la nomina di un nuovo rettore.

La lettera è del 5 gennaio del '52 ed è breve e sferzante. Entra subito in argomento, richiamando tutti al rispetto dell'autorità K bE è pervenuto all'orecchio che costi non si fa molta stima del nuovo Superiore, il Padre Gallo, perché forse è giovane. Fate sapere a tutti di codesta Comunità, Padri e Fratelli che vi sono e verranno appresso, che io voglio che si stimi ogni Superiore che mando, ancorché mandassi una mazza, come la persona mia, e voglio che si stimi e gli si ubbidisca come a me ». Poi, forse alludendo alle critiche degli zelanti, soggiunse: << Se il Superiore fa qualche cosa che non paresse buona, il soggetto lo scriva a me; frattanto ubbidisca e non mormori con altri» (Lettere, 1, 191-192).

Queste polemichette interne non interessarono né molto né poco il nostro Gerardo, avvezzo a considerare l'autorità come l'espressione vivente del volere di Dio. Chiuso nel silenzio, attese all'apostolato degli esercizianti che continuarono ad affluire fino ai primi di novembre. Poi, quando il monte Crispiniano si coperse di neve e l'arco delle colline intorno a Deliceto, di nebbia e di brume, riprese il lavoro ordinario. Tornava dal bosco e dai paesi vicini coi piedi zuppi d'acqua, con la veste sudicia di fango e se ne rimaneva tranquillamente al suo posto, tremante di freddo, finché il ministro o l'economo non si accorgessero del fatto. Non c'era pericolo che toccasse un pezzo di biancheria, nonostante che avesse, come sarto, la chiave del guardaroba. Eppure ci teneva, qualche volta, a passare da insubordinato per guadagnarei umiliazioni e rimproveri. Un giorno, si appese intorno al collo, a guisa di collana, un serto di pere, mele, fichi e formaggio, e, così conciato, andò ad inginocchiarsi in pubblico refettorio, davanti al padre Giovenale che fungeva da superiore, accusandosi a voce alta: « Padre, tutto questo, senza permesso ».

Voleva dire che aveva mangiato di quella roba senza licenza dei superiori. Naturalmente il padre Giovenale finse di crederci ed egli, dopo un forte rimprovero, tornò soddisfatto al proprio posto.

Tra questi lavori e queste umiliazioni, passò il mese di novembre e si prostrò giubilando, ai primi di dicembre, davanti alla statua dell'Immacolata, patrona principale dell'Istituto. Poi attese all'ultimo corso di esercizi, riservato agli ordinandi della diocesi di Melfi. Terminato il corso, fu incaricato di accompagnare i chierici ad Atella dove li attendeva il loro vescovo, mons. Teodoro Basta.

Il tempo era pessimo. Dopo giorni e giorni di pioggia i monti all'intorno apparvero incappucciati di bianco, tra il nero delle nuvole che si abbassavano all'orizzonte, cariche di nuova pioggia. Pure, i nostri raggiunsero felicemente Rocchetta e Melfi ; poi, costeggiando le zolle cretose del Vulture, tra macchie di quercioli, ginestre e rovi spinosi, toccarono Rapolla e Barile, piegando verso Atella. Il cielo continuava a mantenersi minaccioso; dagli altipiani del Rendina le acque rotolavano a valle, torbide e rovinose, invadendo la carrareccia e le poche piste deserte; qua e là, qualche bracciante, cacciato dalla fame fuori della sua catapecchia, andava avanti lentamente con la vanga sulla spalla, chiuso in un largo mantello, la testa infilata nel cappuccio. Doveva camminare ore e ore per sentieri impraticabili prima di raggiungere il feudo o la masseria. Aveva l'aspetto cupo e rassegnato, come il cielo, come le serre spellacchiate, come i pendii annebbiati.

A mano a mano, il paesaggio diveniva lagunare. Le acque calate dagli altipiani giacevano immobili a valle, come immense pozzanghere da cui emergevano pagliai e tronchi d'alberi, neri come forche. Era la storia di ogni anno : nella stagione delle piogge, i fiumi dalle grosse magre estive, senza dighe e senza letto, dilagavano paurosamente sotto l'impeto delle acque, spinte a valle dal terreno argilloso e impermeabile. Sorgevano cosa le fiumare, laghi bislunghi e paludosi, ma generalmente poco profondi.

A un tratto i nostri viaggiatori si trovarono bloccati dalla fiumara del Rendina, formata dal fiume omonimo che scende dalle forre di Ripacandida. Con loro si aggrumarono vari gruppi di braccianti soprapensiero. Un giorno senza lavoro, era un giorno senza pane per loro e la famiglia : vivevano infatti alla giornata. Gerardo si sentì vicino al loro dolore e alla loro miseria. Si fece avanti, alto sul suo cavallo, più pallido tra la nebbia della valle: « Buona gente, volete recarvi al lavoro ? Vi trasporto io col mio cavallo».

Curiosità, schiamazzi, ma nessuno si mosse. Allora fece salire un paio di seminaristi, si segnò e disse: « Andremo noi; poi tornerò a prendervi».

E spronò il cavallo. Qualcuno gridò: « Fermatevi, dove andate ? ».

Ma il santo, incrollabile, rispose: « Carità del prossimo ! ». Poi rivolto al cavallo: «Cavallo mio, diamo gusto al nostro Dio!*. E allentò le redini.

La macchia scura scivolò sulle acque, si allontanò nella nebbia, e scomparve. Riapparve, poco dopo, la criniera del cavallo, dritta, tesa, e, indietro, sorridente sotto il cappellaccio, la figura bizzarra di Gerardo. La bestia tagliava la liquida superficie senza sforzo, come camminando sull'asciutto, poi emerse tutta intera dal fondo melmoso. Traghettati i chierici, fu la volta degli operai i quali ormai avevano perso ogni diffidenza. Quando l'ultimo fu traghettato, Gerardo offerse la cavalcatura al più malato e proseguì a piedi, sguazzando nelle pozzanghere, sempre più frequenti della strada.

Nelle vicinanze di Atella, il terreno era tutto una palude fluttuante che si ricongiungeva alla fiumara locale estremamente ingrossata, chiudendo ad anello il paese. Anche qui, gruppi di operai cercavano di aprirsi un varco tra la furia degli elementi sconvolti. Ormai i chierici avevano capito il giuoco e montarono, l'uno dopo l'altro, sul cavallo; poi furono ingroppati gli operai. « Il cavallo - aggiunge un testimone oculare - passava sulle acque con tal franchezza come se in terra asciutta avesse camminato... ogni pericolo vedevasi svanito in vista di questo santo Fratello» (TANNOIA, ox., pag. 64).

Ad Atella, Gerardo si congedò dai chierici, e si ritirò in casa del gentiluomo Benedetto Graziola, agente generale del principe di Torella, Domenico Caracciolo. Il gentiluomo, insigne benefattore dell'Istituto, abitava con la sposa Nunzia Di Palma e numerosi figliuoli in una palazzina attigua al monastero delle Benedettine. Uomo d'armi e d'affari, amministrava egregiamente le ricchezze proprie e del principe, largheggiando coi poveri e coi religiosi che trovavano sempre generosa ospitalità nella sua casa. Sant'Alfonso e il padre Margotta lo avevano avviato verso la perfezione e l'influsso benefico delle sue virtù si faceva sentire su tutta la famiglia. Il primogenito, di ventiquattro anni, Angelo Antonio, già suddiacono, sarebbe stato sacerdote due anni più tardi, poi missionario redentorista. Una figliuola era postulante nel monastero di S. Giuseppe in Ripacandida, mentre la seconda, entrata come educanda nello stesso monastero, manifestava già l'intenzione di seguirla. E gli altri cinque figli, sotto la guida della piissima signora Nunzia, si mostravano degni dello esempio paterno. Spiccava in don Benedetto quel misto di umiltà e di grandezza, di pietà e di schiettezza che rende amabile la virtù e l'impone all'ammirazione di tutti. E Gerardo ne fu entusiasta fin dal primo momento. Ma quella stima ebbe la reciprocità più schietta e duratura da parte del gentiluomo che fu tra i più grandi apologisti del santo e ne diffuse, dopo la morte, la devozione tra i fedeli.

Che cosa si dissero questi due nuovi amici nel loro primo incontro ? La storia non lo riferisce. Possiamo però lecitamente supporre che don Benedetto abbia narrato al nostro santo gli avvenimenti meravigliosi che accompagnarono il sorgere e il maturare della vocazione religiosa nel cuore della figlia. Egli stesso l'aveva condotta come educanda nel monastero di Ripacandida. Un monastero veramente esemplare : tante suore, altrettante sante. Ma la figliuola non aveva nessuna voglia di restare tra quelle mura e gli diceva ogni volta che andava a trovarla: « Quando vieni a riprendermi ? Non vedo l'ora di tornare a casa ».

Così fino al maggio dell'anno precedente, quando vi eraandato a predicare gli esercizi spirituali don Alfonso dei Liguori. Le suore erano raccolte in cappella : due ceri ardevano davanti al Crocifisso di legno, sul tavolo del predicatore. Ed egli parlava dell'inferno dove conduce il peccato e del paradiso dove conduce la virtù. La bambina ascoltava, ascoltava, trattenendo il respiro. Le pareva ora di scottare coi dannati, ora di gioire coi santi. Finalmente, non potendone più, si rivolse alle suore vicine, esclamando: « Questo Padre ci fa vedere ora nel paradiso, ora nell'inferno ! ».

Poi fissando il Crocifisso, lo vide farsi carne e grondar sangue dalle ferite. Da quel giorno divenne un'altra. Chiese di essere ricevuta tra le postulanti e l'ottenne. Sarà novizia, poi professa col nome di suor Maria Celeste dello Spirito Santo.

Erano ricordi che tutta la famiglia ascoltava con la commozione nel cuore: dalla signora donna Nunzia di Palma ai due figliuoli più grandi, studenti a Napoli, Gerardo di diciotto e Giuseppe di dodici anni, giù giù fino a Giacola, a Scolastica, fino al piccolo Antonio di appena tre anni che veniva portato in braccio da una delle quattro domestiche. Anche il nostro Fratello ascoltava ed ardeva dal desiderio di conoscere quelle suore tutte raccolte in Dio: quel monastero dove Gesù si manifestava nella veste di sofferenza e di sangue ; quella figliuola, ancora adolescente, che pensava di consacrare a. Dio la propria verginità.

Da Atella si portò, dunque, a Ripacandida. Il monastero delle Carmelitane Scalze di Santa Teresa, consacrato a San Giuseppe, era stato fondato dall'arciprete Giovanni Battista Rossi, nato a Ripacandida il 1 marzo 1690 ed ivi morto in concetto di santità il 25 ott. 1746. L'opera già abbozzata fin dal 1735, era andata definendosi solo dopo il 1738, non senza il concorso dei Teresiani di Napoli. La clausura papale era stata applicata da mons. Teodoro Basta, vescovo di Melfi, il 16 gennaio 1747. Da allora il monastero aveva preso un vigoroso sviluppo. All'epoca della nostra storia era composto da venti suore, quasi tutte adolescenti, alcune ancora bambine la priora, Maria di Gesù, aveva ventisei anni ; Maria Michela ventotto ; Maria Cherubina diciotto ; Maria Battista della SS. Trinità sedici; Maria Celeste quattordici; solo Maria Giuseppa aveva trentasette anni e Maria Oliviera ventisette; per limitarci alle suore che furono in corrispondenza col santo. La giovinezza degli anni nulla toglieva alla maturità della loro perfezione, anzi vi aggiungeva una fiamma di sacro entusiasmo per cui non solo non pensavano di mitigare la regola primitiva di Santa Teresa, ma vi aggiungevano mortificazioni spontanee e penitenze prolungate.

Sant'Alfonso, così esigente in fatto di santità religiosa e così misurato nelle parole, trovò per loro accenti di vera poesia: « Non avrei mai creduto » disse dopo la predicazione degli esercizi spirituali dell'anno avanti, « non avrei mai creduto trovare un garofano come questo, su questa rupe ».

E fino all'ultimo continuerà a dirigere il monastero da lontano con lettere da cui trapela la sua ammirazione. Anzi apparve, dopo la morte, a suor Maria Celeste in un globo abbagliante di luce e di splendore e le disse: «Figlia, conservatevi sempre più nella purità del cuore, e sia il vostro cuore posseduto solo da Dio. Abbandonatevi tutta e sempre in Lui e patite per Lui quanto a Lui piace e state sulla terra come se non ci foste».

Ma chi più attirava l'attenzione e rapiva l'ammirazione era la nipote del fondatore, suor Maria di Gesù, anima privilegiata da tanti carismi che lo stesso Sant'Alfonso paragonava a Santa Teresa d'Avila. Delle sue contemplazioni ed estasi se ne occupavano già da tempo confessori e direttori di spirito; anzi lo stesso vescovo, mons. Teodoro Basta. Eppure ella passava allora nello stadio chiamato dai mistici di purgazione passiva e sentiva il bisogno di essere rassicurata e consolata.

In questo giardino meraviglioso di virtù, in questo castello incantato dell'amore verso Dio, giungeva verso la metà di dicembre il nostro Gerardo, e subito lo riempì della sua carità. La stessa carità che lo faceva tramortire al semplice pensiero di offesa di Dio, lo schiudeva impetuosamente alla gioia, quando scorgeva creature innamorate di Lui. Sembrava allora che la sua carità si moltiplicasse, come immagine ripercossa da migliaia di specchi. Erano i momenti in cui il suo piccolo cuore di carne premeva talmente sulle fragili pareti del petto da farle quasi spezzare.

L'incontro con la madre Maria di Gesù avvenne attraverso le grate del parlatorio. Erano quasi coetanei: Gerardo aveva venticinque anni, uno di meno della suora ed erano fatti per comprendersi, avendo in comune gli stessi ideali di perfezione.

« Tanto fu il conoscersi scrive il Tannoia, (o.c., pag. 92-93) « quanto comunicarsi i propri sentimenti. Incontrandosi, vedevansi due fuochi di riverbero che agivan l'un l'altro; e non sembravan che due Serafini ».

Da allora la Madre lo riguardò come santo e lo invitò, la sera stessa, a parlare alla comunità. Gerardo, preso alla sprovvista, si abbandonò al suo estro, trattando del gran merito che ha Dio di essere amato dalle creature. Ripercorreva la predica del padre Cafaro. ma l'impeto era suo. Era sua quella passione che gli colorava la faccia e gli toglieva il respiro. La voce diveniva sempre più forte. sempre più vibrata e lo spasimo cresceva e tutto il corpo era preso da un moto convulso che lo lanciava verso l'aria, lì, davanti alle suore letteralmente travolte da quel fiume irruente di carità. A un certo punto, sentì che la terra gli sfuggiva di sotto... Volerà ? Si afferrò con tutte e due le mani alla grata di ferro, munita di grossi spuntoni. L'arroventò, la contorse come fosse stata di cera. Poi, smorzato quell'impeto, le diede un'aggiustata con la mano. Solo tre spuntoni rimasero contorti e tali apparivano ai padri Caione e Tannoia, molti anni dopo il fatto.

Il discorso fu ripreso nella sera seguente. Allora il santo s'introdusse di botto nell'argomento dell'amore e, acceso in volto, con aria di danza nella voce e nel corpo, prese a dire : « Introdurre vi voglio nella cella vinaria ». Era il tema della Cantica che intona l'epitalamio tra l'anima e Dio: Gerardo lo svolgeva a scatti, come sotto la pressione di un sentimento che esplode. Si accendeva nel volto, negli occhi, nelle vesti e il fuoco invadeva le grate e copriva la luce delle candele che finora avevano rischiarato la scena. Il chiarore diveniva forte, tanto forte che le suore erano costrette a sbattere le palpebre al di sotto dei veli.

Il ripetersi di questi fenomeni aveva circondato Gerardo di un alone di grandezza misteriosa. Le suore ne parlavano come di un miracolo vivente e col pensiero forse correvano a don Alfonso che aveva predicato l'anno avanti. E nel confronto ci avrà scapitato proprio quest'ultimo.

Qualche cosa di questi discorsi dovette giungere all'orecchio del santo che, geniale come sempre, pensò di prendersi una bella rivincita.

La mattina seguente, dopo aver lungamente pregato nella chiesa del monastero, corse alla ruota e la fece girare vorticosamente più volte. Gli rispose di dentro la voce argentina di suor Maria Battista della Trinità, una bambina ancora sedicenne, ma tanto avanti nella perfezione : « Fratello, che è questo ? Andate con Gesù Cristo ! ». E il santo: « Eh, eh, sorella, dimmi la verità: quanto vino hai bevuto questa mattina ? ».

E la bambina, quasi stizzita: « Com'è possibile se appena è fatto giorno ? ».

« Sì, sì, non me lo vuoi dire, ma io lo so». E Gerardo rideva beatamente, ripensando al vino della cella vinaria della sera precedente. Poi tornava a pregare, per riprendere poco dopo il solito ritornello alla ruota « Senti, senti, sorella, questa sera ti verrò a trovare! ».

E l'altra a pestare i piedi: «No, no, non venire: mi metto paura ».

Ma la sera, quando le suore si furono ritirate, ecco apparirle il viso pallido di Gerardo. Era una visione spirituale che impressionava le potenze superiori dell'anima in modo più vivo ed efficace di ogni presenza corporea. Suor Maria Battista lo guardò : era lui, proprio lui; il volto s'illuminava, come quando predicava, la bocca si apriva a un sorriso, ma tutto si svolgeva come in una zona rarefatta, come in un cerchio incantato di silenzio. Stette così un pezzo, immobile, sospeso tra cielo e terra, poi disparve.

All'indomani Gerardo mise ancora in moto la ruota e, quando sentì da dentro la solita voce di bambina, disse: « Hai visto se ho mantenuto la parola ? ».

« Eri tu veramente ? ».

« Sicura ! E pensa che per venire fino a te, ho dovuto passare sotto la trave della tua stanza ! ».

« Per carità, non tornare più ! Mi metto paura!».

Questo fatto e queste parole produssero una certa impressione sulla giovane suora e sulle consorelle che ne vennero a conoscenza. Quando Gerardo se ne accorse, fece quello che sanno fate solo i santi : riparare l'involontario errore, e prenderne occasione per un atto di edificazione fraterna. Infatti, con l'impeto di carità', che distingueva ogni sua azione, si gettò in ginocchio ai piedi della'tixnadre Priora e delle suore, supplicandole, con le lacrime agli occh% ad aver pietà della sua anima ed a pregare per lui. Le suore, commosse anche loro fino alle lacrime, insorsero in una gara sincera di umiltà

e chiesero e promisero preghiere. In questo clima surriscaldato di carità, stipularono di comune accordo un contratto solenne di preghiere reciproche. Essi avrebbero dovuto incontrarsi e salutarsi ogni giorno, dopo la santa comunione « nell'aperto e spalancato costato di Gesù Cristo e nel cuore afflitto di Maria SS. dove ogni dolcezza e riposo si trova », con la recita di un Gloria Patri e di un'Ave Maria. E, a ricordo del patto, Gerardo chiese ed ottenne un frammento della statua di Santa Teresa.

Ma la mattina della partenza, egli si accorse di essere stato oggetto di altri commenti - non sappiamo di che natura ; forse di lode - e ne provò profondo cordoglio : era tanto confuso da non avvedersi che il cavallo, a un certo punto della strada per Melfi, aveva dirottato per Foggia, allungando il cammino di quattro miglia. Lo dirà nella lettera che scrisse da Melfi alla madre Priora, il 17 dicembre. La lettera, più che un atto di ringraziamento al Signore per avergli fatto conoscere tante anime sante: « 0 tu, Divino amore, sii sempre nel cuore di questa tua diletta e cara sposa », è un atto di amaro dolore per i suoi « ammirabili mancamenti», anzi per la sua pazzia: « Io vi scrivo in fretta, mia cara e benedetta Madre, con mettermi di bel nuovo ai vostri piedi e di tutte codeste mie care sorelle ... Son costretto d'accusarmi reo, con esclamare dappertutto misericordia, con chiedervi umilmente perdono per amore di Gesù Cristo ... ».

Ma mentre riconosce le sue mancanze e le esagera fino al punto di accusarsi di poca modestia e riverenza, ci tiene ad affermare categoricamente d'aver parlato ed agito con retta intenzione. Quale ? Far conoscere la propria miseria morale a tante anime sante, perché abbiano compassione di lui e lo' aiutino con le loro preghiere: « Da altro non è provenuto se non cha un giusto fine di dichiararmi quale sono, affinché V. R. si movesse a pietà di me con tutte codeste vostre figlie. Date le mie continue imperfezioni, domando l'aiuto delle Reverende Madri, sperando, mediante le anzidette preghiere, di far rettamente la volontà del mio e comune Padre ».

La lettera è tutta qui : in una domanda continua di preghiere per lui povero peccatore, recidivo nella colpa, anzi una delle pecorelle smarrite, e in uno slancio di ringraziamento al Signore che ha ispirato le sue care spose a venirgli in aiuto. Dal ringraziamento fiorisce l'umiltà « pensando alla infinita bontà di Dio in avere impegnate le sue care spose per la salvezza di chi tante volte l'ha offeso ». E dall'umiltà spicca più vivo l'accento lirico dell'esaltazione e dell'amore: « O eccesso di carità, o stupendo prodigio, o amore di vero pastore in ricercare con tante industrie le smarrite pecorelle ! Io per me altro non posso dire che della carità usata verso di me, ve ne sia Renditore il sangue di Gesù Cristo, unito con i dolori di Maria».

In ultimo ogni movimento del cuore si placa nel ricordo del patto concluso con «tutte le sue care figlie. Tutte le abbraccia « dentro il sacro costato di Gesù Cristo ». (Lettere e Scritti, pagg. 13-15).

Consegnò la lettera al corriere e, come sgravato da un peso, riprese serenamente la via per Deliceto.

Cancellazione dati iscrizione

Inserisci il numero di cellulare e\o la mail con cui ti sei registrato e clicca sul tasto in basso

CHIUDI
CONTINUA

INFORMATIVA PRIVACY

Lo scopo della presente Informativa Privacy è di informare gli Utenti sui Dati Personali, intesi come qualsiasi informazione che permette l’identificazione di una persona (di seguito Dati Personali), raccolti dal sito web www.sangerardomaiella.it (di seguito Sito).
La presente Informativa Privacy è resa in conformità alla vigente normativa in materia dei Dati Personali per gli Utenti che interagiscono con i servizi del presente Sito nel quadro del Regolamento Ue 2016/679.

Il Titolare del Trattamento, come successivamente identificato, potrà modificare o semplicemente aggiornare, in tutto o in parte, la presente Informativa; le modifiche e gli aggiornamenti saranno vincolanti non appena pubblicati sul Sito. L’Utente è pertanto invitato a leggere l’Informativa Privacy ad ogni accesso al Sito.

Nel caso di mancata accettazione delle modifiche apportate all’Informativa Privacy, l’Utente è tenuto a cessare l’utilizzo di questo Sito e può richiedere al Titolare del Trattamento di rimuovere i propri Dati Personali.

  1. Dati Personali raccolti dal Sito
    • Dati Personali forniti volontariamente dall’Utente

      L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati sul sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva. Specifiche informative di sintesi verranno progressivamente riportate o visualizzate nelle pagine del Sito predisposte per particolari servizi a richiesta.
      L’Utente è libero di fornire i Dati Personali per richiedere i servizi eventualmente offerti dal Titolare. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere quanto richiesto.

    • Dati Personali raccolti tramite cookie:

      Nel Sito viene fatto uso di cookie strettamente essenziali, ossia cookie tecnici, di navigazione, di performance e di funzionalità.
      I cookie sono informazioni inserite nel browser, fondamentali per il funzionamento del Sito; snelliscono l’analisi del traffico su web, segnalano quando un sito specifico viene visitato e consentono alle applicazioni web di inviare informazioni a singoli Utenti.
      Nessun dato personale degli Utenti viene in proposito acquisito dal Sito.
      Non viene fatto uso di cookie per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento degli utenti.
      L’uso dei cookie di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’Utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione, necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito.
      I cookie di sessione utilizzati in questo Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli Utenti e non consentono l’acquisizione di Dati Personali identificativi dell’Utente.

  2. Finalità e Base giuridica del Trattamento

    I Dati Personali raccolti possono essere utilizzati per finalità di registrazione dell’Utente, ossia per consentire all’Utente di registrarsi al Sito così da essere identificato. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    I Dati Personali forniti dagli Utenti che inoltrano richieste o intendono utilizzare servizi eventualmente offerti tramite il Sito, nonché ricevere ulteriori specifici contenuti, sono utilizzati al solo fine di dare riscontro alle richieste o eseguire il servizio o la prestazione richiesta e sono comunicati a terzi nel solo caso in cui ciò sia a tal fine necessario. Base giuridica di questi trattamenti è la necessità di dare riscontro alle richieste degli Utenti interessati o eseguire attività previste dagli eventuali accordi definiti con gli Utenti interessati.
    Con il consenso espresso dell’Utente i dati potranno essere usati per attività di comunicazione commerciale relativi ad offerte di eventuali servizi offerti dal Titolare. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    Al di fuori di queste ipotesi, i dati di navigazione degli utenti vengono conservati per il tempo strettamente necessario alla gestione delle attività di trattamento nei limiti previsti dalla legge.
    È sempre possibile richiedere al Titolare di chiarire la base giuridica di ciascun trattamento all’indirizzo info@sangerardomaiella.it.

  3. Modalità di trattamento

    Il Trattamento dei Dati Personali viene effettuato mediante strumenti informatici e/o telematici, con modalità organizzative e con logiche strettamente correlate alle finalità indicate. Il Trattamento viene effettuato secondo modalità e con strumenti idonei a garantire la sicurezza e la riservatezza dei Dati Personali.

    In alcuni casi potrebbero avere accesso ai Dati Personali anche soggetti coinvolti nell’organizzazione del Titolare (quali per esempio, amministratori di sistema, ecc.) ovvero soggetti esterni (come società informatiche, fornitori di servizi, hosting provider, ecc.). Detti soggetti all’occorrenza potranno essere nominati Responsabili del Trattamento da parte del Titolare, nonché accedere ai Dati Personali degli Utenti ogni qualvolta si renda necessario e saranno contrattualmente obbligati a mantenere riservati i Dati Personali.

  4. Luogo

    I Dati Personali sono trattati presso le sedi operative del Titolare ed in ogni altro luogo in cui le parti coinvolte nel trattamento siano localizzate. Per ulteriori informazioni, è sempre possibile contattare il Titolare al seguente indirizzo email info@sangerardomaiella.it oppure al seguente indirizzo postale Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ).

  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021