San Gerardo Maiella
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La piccola carovana delle Provvidenza

Capitolo XXII

Una mattina di maggio del 1753, mentre gli undici chierici del collegio di Deliceto studiavano sotto le querce annose del bosco, tra il pigolio degli uccelli e il chiacchierio delle fonti, furono distratti da un coro di pellegrini che passavano cantando di montagna in montagna, diretti verso il monte Gargano a venerare l'arcangelo San Michele nella ricorrenza della sua apparizione. In quell'attimo di attesa che sospende in un punto le potenze dell'anima, cadde lì, per caso, l'idea d'un pellegrinaggio al santuario famoso. La si credette, da principio, una battuta spiritosa, invece l'idea fu raccolta e cominciò a far le spese di ogni conversazione.

Qualcuno s'incaricò di presentarla al padre Fiocchi, ma questi slargò la grossa faccia in una risata: « Un pellegrinaggio così lungo ... a questi chiari di luna ... ma voi siete matti! Lo sapete quanto mi trovo in cassa ? Non più di trenta carlini. (Cioè, un migliaio delle nostre lire). Non basterebbero per un giorno. Perciò, non parliamone più ». Invece i giovani continuarono a parlarne, guardando mestamente il celebre monte che si profilava laggiù, tra la nebbia d'oro dei tramonti. Così di giorno in giorno, finché all'inizio della seconda decade del mese, quando ormai tutto sembrava sfumato, tornò da uno dei soliti viaggi nella città di Foggia il nostro Gerardo che, dopo i fatti di Corato, resi noti dalla relazione del canonico Scoppo, godeva in casa di un grande prestigio. Il suo ritorno riaccese una ventata di speranze. Si sentiva che accanto a lui cadeva ogni difficoltà, perché egli sapeva aprire, a tempo e luogo, i tesori della Provvidenza. Anche il padre Fiocchi disarmò, rimettendosi alla decisione del santo Fratello. Questi, interpellato, aprì le braccia in un gesto di accettazione entusiasta che mandò in visibilio i nostri giovani.

« Ma come farai con trenta carlini ? » gli chiese il superiore.

« Dio provvederà ! ». E gli occhi si accesero di tutta la luce dell'anima.

I preparativi furono brevi. Gerardo caricò le poche provviste su due somarelli, presi a nolo, affidandoli al pungolo di frate Angelo di Gironimo e col bastone da viaggio si pose alla testa della piccola carovana, composta dei chierici e del loro professore, padre Alessandro De Meo.

Molta fede nel cuore e molta gioia nell'aria, perché il mese di maggio passa come una visione sulla terra assolata di Puglia. Ogni zolla ha il colore della speranza e la pianura è una distesa di mare che svaria i suoi toni col variare dei giorni. Quando il mese si scorcia, diventa un mare di oro, come se tutti i raggi del sole si fossero fitti in piedi tra gli ulivi.

Arrivarono a Foggia a sera inoltrata, dopo una marcia di trenta e più chilometri, lungo strade polverose e scorciatoie campestri, allegri, ma con un fiatone grosso così. Quest'allegria non poteva ingannare l'occhio vigile di Gerardo che nella notte preparò la sua sorpresa. All'indomani, quando furono di partenza, i giovani si trovarono davanti a un carro scoperto, coi sedili di legno allineati sulle spallette. Si guardarono in faccia, tra la meraviglia e la gioia, come per dire: « Tutto va bene, ma chi paga ? ». Qualcuno tacciò d'imprudenza il nostro santo che, per tutta risposta, sollevò ancora una volta gli occhi al cielo, ripetendo quelle fatidiche parole : « Dio provvederà ! ».

Si accomodarono sul carro traballante e partirono verso Manfredonia, lasciando appiedato il povero eremita coi due somarelli mezzo morti di fame. A metà strada si fermarono in una taverna, tra gli acquitrini paludosi del Gandelaro. Fecero colazione e si misero ad attendere il loro compagno di viaggio. Quando arrivò, i giovani avevano avuto tempo di schiacciare un sonnellino all'ombra dei pioppi.

Gerardo gli mosse incontro, gioviale come sempre, ma l'eremita era fuori dei gangheri. Fece ancora qualche passo e si lasciò andare su una pancaccia, grondando sudore e rabbia. Scansò sgarbatamente il cibo che gli venne offerto e ci volle del bello e del buono per fargli accettare qualche boccone che mandar giù, a forza, con lunghe sorsate di vino. Quando potè parlare, gettò come un mugghio strozzato : « Alla malora quelle bestiacce che non si reggono in piedi ! Vi giuro che non mi muovo di qui, se non si lasciano nella stalla fino al ritorno. Altrimenti creperanno per via ».

E Gerardo calmo calmo: « Nossignore ! Verranno con noi; ci penserò io a farle camminare ».

Si portarono sulla strada, vicino ai due somarelli spolpati che stavano lì come due condannati a morte, le orecchie e la coda penzoloni, incuranti perfino delle mosche che succhiavano i loro occhi.

« Tu», disse Gerardo all'eremita, « monterai su questo somaro; e tu», disse al figlio del carrettiere, «monterai su quest'altro ». « No, no », gridò il monello, « io non voglio restare indietro ; voglio andare con papà, io!».

« Non andrai indietro, ma avanti!», replicò energicamente il santo.

Tutti presero posto. I somari, coi rispettivi cavalieri, furono fatti passare davanti al carro. Verso di loro, Gerardo, salito a cassetta, alzò la mano in un gesto pacifico di benedizione. Prodigio ! A quel segno, essi drizzarono le orecchie, dimenarono irrequieti la coda e, quando la mano del santo tornò a posarsi sul petto, si diedero alla fuga. Continuarono così per lungo tratto di strada, poi, quando cominciavano a diminuir l'andatura, bastò una nuova benedizione per rimetterli in tono. Anzi, quando i cavalli si davano al galoppo essi «divenuti carne uccelli », annota candidamente il cronista, filavano pettoruti, a testa alta, con meraviglia di tutti, specialmente dell'eremita.

Giunsero a Manfredonia nel tardo pomeriggio e, licenziato il carrettiere, si fermarono a consumare le ultime provviste sul prato adiacente al castello di Manfredi, di fronte al mare che diveniva a mano a mano più violaceo; ai piedi del Gargano rosso di sole. Lo spettacolo era meraviglioso, specialmente per chi, come Gerardo, contemplava per la prima volta la grande distesa delle acque sempre vive, sempre animate da una forza interna che le sollevava e le spianava in un respiro possente di preghiera e di offerta al Creatore. Mai come allora egli aveva sentito incombente sul creato l'immensità sconfinata di Dio.

Se fosse stato solo, avrebbe prolungato chissà quanto quella muta contemplazione, ma. era già tardi e la sua famigliola aspettava da lui cibo e riposo per la notte. Contò il denaro rimasto : diciassette grane, un centinaio delle nostre lire. A che potevano bastare? Prima di tutto a fare un piccola presente al Signore che lo aveva accompagnato fino a quel punto. Con cinque tornesi - una ventina di lire - comprò un mazzetto di garofani, entrò nella chiesa del castello, lo depose davanti al tabernacolo e si fermò li, tranquillo, in preghiera, nell'atteggiamento di chi dice : « Signore, io ho pensato a Te, ora Tu pensa alla mia famigliola».

Che cosa è la preghiera di un santo ? Qualche cosa che s'impone agli angioli del cielo, i quali la portano fino al trono di Dio, calda ancora del cuore che l'ha dettata. Ma è anche qualche cosa che strappa l'ammirazione dei viandanti distratti della terra, i quali avvertono la presenza del divino.

La chiesa era semideserta : qua e là gruppetti di fedeli sonnecchiavano sulle panche; in sagrestia, due reverendi parlottavano. Ma bastò quella preghiera perché un, soffio di soprannaturale invadesse l'ambiente : i fedeli si riscossero dal loro torpore ; i sacerdoti tacquero ammirati e in quel silenzio si sentirono sfiorare dall'ala invisibile di un angelo.

I due sacerdoti restarono così qualche tempo, interrogandosi con gli occhi; poi si accostarono a Gerardo, lo trassero in disparte e gli chiesero i motivi del viaggio. La risposta fu schietta e sincera; era in pellegrinaggio al monte Sant'Angelo coi giovani del collegio di Deliceto : per loro aveva domandato al Signore la sua provvidenza.

Tanta semplicità, tanta cieca fiducia conquise il loro cuore il cappellano gli offrì una buona somma di danaro e l'ospitalità per la notte nelle sale del castello ; l'altro, che conosceva la povertà della chiesa di Deliceto, promise un incensiere d'argento. Lo comprò infatti, poco dopo, il 24 maggio, alla fiera di Foggia e doveva essere davvero prezioso se lo pagò sessanta ducati, circa cinquantamila lire.

Al mattino seguente, ristorati e rinfrancati, i giovani ripresero il viaggio fino ai piedi del monte. Qui Gerardo fece noleggiare dei muli, ma lui volle procedere a piedi, nonostante i gravi sintomi di stanchezza che gli opprimevano il petto. Si arrampicò per un sentiero ciottoloso, all'ombra delle faggete che segnano l'ascensione verso la vetta scogliosa, tutto chiuso nella visione del suo arcangelo che dall'infanzia aveva guidato i suoi passi verso le vette supreme del Calvario.

Si riscosse quando fu sotto il bruno campanile ottagonale che addita ai pellegrini il luogo della famosa apparizione; entrò nell'attigua navata del tempio, penetrando sotto il masso ondeggiante della grotta. Allora non vide, non sentì più nulla, e si sprofondò nella preghiera: una preghiera al di fuori del tempo e dello spazio, in Dio. Quanto durò ? Lo seppero solo gli studenti che, a un certo punto, stanchi di attendere - e dire che erano pieni di fervore! - lo destarono a forza e lo condussero all'albergo.

Ripresero le loro preghiere all'indomani, di buon'ora, e le protrassero a lungo ; poi tornarono all'albergo per prepararsi a partire. Avrebbero dovuto affrontare lunghi chilometri di marcia e c'era bisogno d'immagazzinare energie. Ma, prima d'ordinare il pranzo, Gerardo volle saldare i conti aperti. Prevedeva un margine sufficiente per affrontare le nuove spese. Invece, raggirato dall'albergatore, si trovò in mano solo pochi centesimi di resto. Ed ora come fare ? Non si perse di coraggio : corse a comprare alcune fette di pane, le divise in una dozzina di ostie, le rimescolò nel suo cappellaccio che fece passare in giro dall'eremita, tra le risate dei giovani. Poi scomparve, lasciandoli li a commentar l'accaduto, con l'appetito stuzzicato e lo stomaco inquieto. Ricomparve verso mezzogiorno; i poveri affamati erano ancora nella stessa sala ; alcuni dormicchiavano sulle panche, alcuni facevano circolo intorno al padre De Meo, discutendo sul da farsi. Li guardò con aria biricchina, poi alzò allegramente la voce: « A tavola, a tavola!».

Nessuno si mosse : credevano che volesse ripetere lo scherzo del mattino. Allora rinnovò l'ordine con tono quasi alterato : « Così si fa l'ubbidienza ? A tavola, vi dico! ». Poi, con un cenno della mano, chiamato l'eremita, gli consegnò ventiquattro grane per la provvista del pane e del vino.

Quando frate Angelo tornò dallo spaccio a pianterreno coi fiaschi e le pagnotte sotto il braccio, trovò la mensa imbandita con pesci squisiti di varie qualità : poiché era di venerdì. Gerardo, col vassoio in una mano, la forchetta nell'altra, serviva porzioni abbondanti di anguille fritte. Dato il digiuno forzato e l'aria fine di montagna, tutti avevano una fame da lupi: eppure ce ne fu d'avanzo. Appena mangiato, tutti si guardarono in faccia stupiti: « Ma dove costui ha pescata tanta grazia di Dio ? ».

Il padre De Meo, più curioso degli altri, chiamato l'eremita, gli chiese a quattr'occhi: « Hai portato qualche cosa qui dentro, tu?».

« Io ? Neanche per sogno ! ».

« Eppure vi posso giurare », soggiunse il chierico Ricciardi, « che ieri sera fratel Gerardo non aveva più di quattro grane ».

« Ve lo spiego io il mistero», riprese l'eremita; « prima di andare a tavola, Gerardo, ridotto al verde, si è recato a pregare davanti all'altare di San Michele. Mentre pregava, una persona gli ha posto in mano una somma, raccomandandosi alle sue preghiere». Ora sì che potevano partire rifocillati nel corpo e nell'anima, con la gioia che cantava nelle loro vene. Tutti erano allegri, solo Gerardo andava avanti col volto atteggiato a uno sdegno represso. Era l'atteggiamento che assumeva quando qualcuno veniva meno alla legge della giustizia e della carità. Allora lui così semplice, umile e gioviale, prendeva un'aria di fierezza profetica che incuteva terrore. Tanto grave gli sembrava l'offesa fatta al prossimo.

Camminò alquanto senza dir nulla; finalmente, prima di uscir dal paese, si rivolse a certi muratori che lavoravano sulle impalcature di una casa: « Buona gente, vi prego di dire al padrone dell'albergo tale, dove abbiamo passata la notte, che in capo a tanti giorni, gli morrà la mula migliore ».

I muratori, scandalizzati, risposero : « E voi sareste i servi di Dio ? ».

Intervennero il padre De Meo e il chierico Cimino, cercando di correggere l'espressione un po' cruda di Gerardo, ma egli replicò con energia: « Sì, sì, gli deve morir la mula migliore. Lo vuole Dio, perché si è fatto pagare due volte lo stallaggio ». E si allontanò con l'eco della minaccia nell'aria. Nessuno seppe se fosse stata raccolta dal cielo.

è questa la versione dell'eremita, il compagno inseparabile del santo in questo viaggio. Secondo altri, invece, il fatto, alquanto diverso, sarebbe avvenuto in un'osteria, la prima sera del ritorno. L'oste pretendeva una somma esorbitante e non voleva sentir ragioni. Anzi con cipiglio beffardo si permise di dire a tutti i presenti: « Se non avete denaro, vi piglio talare e cappello».

Allora Gerardo, fattosi serio e minaccioso, gli gridò: « Tu succhi il sangue dei poveri e Dio ti castiga. Se non ti contenti del giusto, ti farà morir le due mule ».

Appena pronunziate queste parole, entrò trafelato il figlio dell'oste: « Correte, ché le mule si voltano e si rivoltano con la pancia all'aria ».

La fulmineità tra la minaccia e l'esecuzione atterri l'oste che dall'altezzosità passò al tono umile e dimesso. Chiese perdono e si contentò del giusto.

Ridiscesi dal monte, prima d'inoltrarsi nella pianura, i nostri decisero di fermarsi nelle vicinanze di un'osteria a bere un po' d'acqua. Si scorgeva infatti ai margini della strada il parapetto di un pozzo e la carrucola in alto. Ma, giunti sull'orlo, dovettero contentarsi di guardar l'acqua a distanza, perché i secchi erano stati asportati dall'oste, forse per costringere i viandanti ad entrar nella sua taverna. Il che, in una zona così arsiccia, nei mesi torridi di estate, rappresentava una vera crudeltà. E la crudeltà verso il fratello che soffre faceva molta presa sul santo. Entrò a passi concitati nella taverna e all'oste che gli veniva incontro complimentoso e servizievole, tenne un discorso breve, ma duro e tutto balenante minacce, e conchiuse così: « Se tu neghi l'acqua al prossimo, il pozzo la negherà a te; per sempre! ».

Quel gesto, quella voce atterrirono l'oste : e il secchio tornò a stridere ai due capi della catena.

Le ultime tappe, secondo il racconto del Tannoia, furono per Gerardo un'estasi continua da un santuario all'altro.

La prima estasi avvenne nel santuario mariano dell'Incoronata, nascosto in un fitto boschetto di querce, nella solitudine della pianura, a sei, sette chilometri da Foggia. In quella cornice di silenzio, ai piedi di quell'immagine miracolosa, Gerardo fu sorpreso da un dolce deliquio amoroso: il suo volto divenne diafano, il corpo si accasciò al suolo, come spossato; l'anima sembrava, da un momento all'altro, dileguarsi nell'infinito.

« Ti senti male ? » gli chiesero gli studenti appena si riebbe. Ed egli: « Nulla, nulla, è un'infermità che patisco ».

Questa infermità si manifestava molto spesso quando pregava ai piedi della Vergine e in forme sempre nuove. Non era solo il deliquio, era il ratto, la compiacenza, la gioia. Infatti lo stesso fenomeno si trasformò poco dopo in un'estasi gaudiosa davanti alla Madonna dei Sette Veli che si venera nella cattedrale di Foggia. Egli rinnovava così l'estasi del suo padre Sant'Alfonso, avvenuta qualche anno prima, nella stessa chiesa, mentre predicava : nel fervore della perorazione, il suo corpo, percosso da una colonna di luce staccatasi dalla Madonna, levitò nell'aria, stendendo le braccia verso la cara Immagine, alla presenza di una massa delirante di popolo che gridava al miracolo. Così i due santi, dalla spiritualità tanto diversa, si ricongiungevano nello stesso impeto d'amore per la Madre del cielo.

Da Foggia i nostri giovani proseguirono per Troia, la cittadina giustamente celebrata per l'antica cattedrale dal magnifico portale romanico e dal festoso rosone, tutto un ricamo concentrico, tramato nella luce. Ma non erano le meraviglie dell'arte che essi cercavano, bensì un nutrimento sostanzioso per la loro pietà. Corsero quindi a prostrarsi davanti al Crocifisso di legno, fatto scolpire, secondo i gusti del tempo, da monsignor Emilio Cavalieri, zio materno di Sant'Alfonso. Anche questa visita si trasformò per Gerardo in un'estasi. « Patenti » scrive il Tannoia, « furono gli slanciamenti del suo cuore e i trasporti del proprio spirito» (o.c., pag. 43).

Forse si riferisce a questa visita, la leggenda raccolta dal Landi. Il Crocifisso era coperto da un velo che ne impediva la vista. Gerardo vi lanciò sopra un soffio infuocato e il velo andò in fiamme. Da sotto al fuoco apparve intatta la sacra effige e tutti si gettarono in terra a venerarla.

Da Troia, la piccola carovana risalì la valle del Cervaro, poi la collina boscosa di Bovino. Di qui, attraverso i cocuzzoli montani, raggiunse Deliceto, dopo otto o nove giorni di pellegrinaggio. Il pellegrinaggio aveva avuto un solo protagonista: Gerardo. Egli aveva pensato a tutto, provveduto a tutto. Si era prodigato perché i giovani avessero tutti quegli onesti divertimenti che valessero a ritemprarli nel corpo e nello spirito, ed aveva piegato in loro favore gli uomini e le cose. Soprattutto, la Divina Provvidenza.

Solo a una persona non aveva badato : a se stesso. Si era fatto tutto a tutti, senza riserve, camminando sotto il sole, inerpicandosi sui monti, sempre vigile sui bisogni dei fratelli, sempre alacre nel porger loro aiuto, di giorno e di notte, nonostante le forze stremate. Aveva chiesto troppo al suo corpo macilento e ne subì le conseguenze. Di ritorno a Foggia, ritirandosi nell'alloggiamento, a un tratto, si sentì più stanco, più abbattuto del solito. Si appoggiò alla branda, si curvò, mise una mano sul petto e cominciò a tossire. La faccia si gonfiò, divenne paonazza, mentre qualche cosa di caldo gli saliva alla gola. Portò il fazzoletto alla bocca e lo ritrasse inzuppato di sangue, sangue vivo sgorgato dal petto. Alcuni studenti gli corsero vicino e lo aiutarono perché era divenuto pallido e cadaverico. Pure sorrise e pregò di non dirlo a nessuno.

Era l'inizio della fine.

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021