San Gerardo Maiella
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La crisi di Veronica

Capitolo 7

Quello che nessuno si aspettava era quanto stava per accadere a Veronica. Anche lei aveva deciso di diventare mamma. Lei e il marito si erano considerati pronti, era giunto il momento. La loro coppia era solida, la carriera di entrambi avviata, la stabilità economica garantita, lo spazio in casa adeguato. Mancava solo la loro scelta di mettere al mondo un figlio, ed era arrivata anche quella, unanime. Ingenuamente Veronica pensava che sarebbe bastato smettere di prendere la pillola per rimanere incinta, quasi fosse automatico. Rimase malissimo i primi mesi quando arrivava il ciclo mestruale. Il vero campanello d'allarme però le scattò dopo un anno che provavano a concepire una nuova vita senza riuscirci. A quel punto iniziò a insinuarsi in lei il pensiero che qualcosa potesse non andare, e se fosse stata sterile? O se lo fosse stato lui? Non riusciva più ad arginare questo pensiero, più cercava di evitarlo, di distrarsi, di pensare ad altro, più si alimentavano i suoi timori. Non furono d'aiuto nemmeno tutte quelle informazioni sulla sterilità prese da vari siti internet. Doveva andare a fare una visita ginecologica, quella era la prima cosa sensata e razionale da fare. Quello avrebbe consigliato a una sua amica se fosse stata nella sua situazione, ne era pienamente consapevole. Eppure non riusciva a decidersi, aveva paura. Lei, così calma, razionale, positiva, energica, aveva paura. Tanto desiderava un figlio che l'idea di sentirsi dire che non poteva averne la terrorizzava. Cercò di mascherare questa sua angoscia, si sforzò di essere sempre sè stessa, ma in quell'anno qualcosa era cambiato dentro di lei. Un piccolo timore aveva scalfito tutta la sua razionalità, le sue certezze, la sua forza. Lo si iniziò a intavedere in piccole crepe quotidiane quasi impercettibili, tanto che Luigi impiegò mesi prima di accorgersi di quanto fosse profonda la sua delusione ogni volta che a metà mese comparivano gli assorbenti in bagno.

Anche Matilde e io non cogliemmo subito i segnali di sofferenza nella nostra amica. All'inizio, quando ci comunicò di aver deciso di diventare mamma, ne fummo entusiaste. Regolarmente le chiedevamo Allora?, Ci siamo?, E' la volta buona?. Poi, piano piano, smettemmo di rivolgerle la domanda diretta, cercavamo di intuire l'eventuale risposta dal suo umore e le parole che le rivolgevamo avevano cambiato tono: Dai, vedrai che succederà il mese prossimo, Non ti preoccupare mese più mese meno. Ma i mesi passavano e non succedeva niente. Come se ci fosse stato un tacito accordo nessuno osò più affrontare l'argomento con lei. E quel pensiero tremendo Sarò sterile?, iniziò a lavorare dentro di lei intaccandone la serenità. All'inizio nessuno si rese conto del cambiamento che era in atto nel suo animo. Poi, giorno dopo giorno, ce ne accorgemmo, percependolo da alcune sfumature del tono della voce, dagli occhi che a volte si velavano senza motivo apparente, da quell'aria stanca, quasi sofferente, che tradiva il suo stato d'animo.

Il punto era che Veronica continuava a comportarsi come aveva sempre fatto, senza mai confidare a nessuno il suo timore. Con Luigi smise di parlare del loro futuro bambino, di visitare negozi per bambini, di guardare soluzioni d'arredo per la cameretta. Lui non se ne rese conto subito. Non perchè non desiderasse diventare padre, anzi era una cosa che aveva messo in conto nella sua vita ed era felice che fosse arrivato il momento di realizzarla. Semplicemente non viveva mensilmente l'attesa con la tensione e l'aspettativa di lei che, ovviamente, era coinvolta in prima persona non solo emotivamente, ma anche fisicamente. I mesi passarono e lui non si rese conto di quanto tempo fosse già trascorso da quando avevano deciso di diventare genitori. Ad aprirgli gli occhi, senza nemmeno saperlo, fu un suo collega. Un giorno arrivò in ufficio con un vassoio di salatini, un pacchetto di patatine e due confezioni di San Bitter, raggiante, annunciò Colleghi, colleghe, a mezzogiorno tutti nel mio ufficio. Dobbiamo festeggiare, diventerò papà! Fu in quel momento, in mezzo alle congratulazioni e all'allegria contagiosa di quell'aperitivo, che provò a calcolare da quanto tempo anche loro aspettavano di dare questa notizia. Nonostante si sforzasse di ricordare non riuscì a risalire ad una data precisa, ad un periodo. Rammentava solo che era autunno. Già, ma l'autunno di due anni prima. Quella sera volle parlarne a Veronica, perchè non aveva più detto niente al riguardo? A seguire si pose la controdomanda, perchè lui non aveva più detto niente al riguardo? Razionalmente non riuscì a darsi una risposta. Superficialità? Immaturità? Poca convinzione? Forse non si sentiva pronto. Non era convinto? No, niente di tutto questo. Era certo di volere un figlio da Veronica, anzi certissimo. Anche lui lo immaginava, fantasticava su come sarebbe stato, aveva persino pensato ai nomi in caso fosse maschio o femmina. Perchè non ne aveva parlato con sua moglie? Ci riflettè. Suo malgrado, era brutto ammetterlo, la verità era che si trattatva di un banalissimo caso di pigrizia. Sì, proprio pigrizia, fisica e mentale, che purtroppo è alla base di molti problemi di incomprensione tra coppie, amici, parenti, colleghi.

E' un meccanismo molto semplice, comodo e diffusissimo, per molti versi anche comprensibile e giustificabile. A volte persino auspicabile perchè permette di prendere un pò le distanze dalle situazioni e quindi rilassarsi, ricaricarsi. Se però gli si lascia campo libero alla lunga prende il sopravvento e crea notevoli danni. Funziona grosso modo così: la sera arrivi stanco dal lavoro, ci sono tante incombenze da sbrigare, la cena da preparare, la lavatrice da stendere. Ti sei dimenticato di ritirare quel libro che lei aveva ordinato, è già arrivato da 3 giorni e oggi le avevi promesso che l'avresti preso, e non l'hai fatto. Lei ha avuto una giornataccia, ha un pò di mal di testa, è stanca. Vorresti parlarle di vostro figlio, in una vetrina hai visto un bellissimo peluche e ti ha messo tenerezza. La guardi, ti scusi per aver dimenticato di ritirare il libro, apparecchi la tavola e rimandi l'argomento al giorno dopo. Il giorno dopo arrivi a casa in orario, hai pure il libro, sei di buon umore, lei è giù di morale, le sono venute le mestruazioni. L'abbracci e rimandi l'argomento. Arriva il fine settimana, si va dai parenti, il successivo c'è il compleanno di un amico, quello dopo è dedicato alle spese grosse. Passate davanti a un negozio di articoli per l'infanzia ed entrate. Un giro veloce, per scaramanzia, sono già passati altri due mesi e gli assorbenti ricompaiono regolarmente in bagno. Il meccansimo della vita quotidiana assorbe quasi tutte le energie e c'è sempre un motivo, un qualcosa, che permette di rinviare l'argomento bambino, maternità. All'inizio rimandi per pigrizia, per comodità, perchè non è il momento giusto. Poi, quasi all'improvviso, sono passati due anni e ti trovi a fare i conti con la paura di tirarlo fuori quell'argomento, perchè ci si è adagiati in un tran tran dove il dialogo è quasi azzerato. Per paura di ferire l'altro, di toccare temi dolorosi, di mettere in evidenza aspettative periodicamente deluse, ci si ritrova a non aver quasi più il coraggio di parlarsi apertamente. Si ha paura di litigare, di dover riconoscere colpe più o meno reali. Poi un giorno qualcosa, o qualcuno, ti mette bruscamente di fronte alla realtà e non puoi più fare lo struzzo nascondendo la testa nella sabbia.

In questo caso la scossa arrivò in ufficio con l'annuncio del collega. Gli riecheggiano ancora nelle orecchie quelle parole: Diventerò papà. Quel giorno non concluse più niente al lavoro. La sera, partendo proprio da quella notizia, affrontò l'argomento con Veronica. Non aveva idea di come avrebbe reagito, ma doveva parlarle, doveva assolutamente parlarle e riavvicinarsi a lei.

Veronica era di buon umore, aveva cucinato un risottino agli spinaci e preparato della macedonia. La tavola era apparecchiata e lo stava aspettando guardando un quiz in tv. Non ricorda minimamente il sapore di quella cena perchè, non appena riferì l'annuncio del collega in ufficio, vide calare un velo di immensa tristezza nei suoi occhi, l'abbracciò forte. Aveva il cuore in gola e non trovava le parole giuste, poi glielo disse Veronica, cosa ci sta succedendo? Non voglio perderti, affrontiamola questa cosa o ci allontanerà fino a farci dividere. Lei scoppiò a piangere, poi ricambiò l'abbraccio. Quella sera decisero di approfondire le cause della loro infertilità. Il giorno dopo fissarono un appuntamento dal loro medico che gli consigliò un centro specializzato nella diagnosi delle disfunzioni degli apparati riproduttivi e nella fecondazione assistita, qualora ce ne fosse stato bisogno. Preso il via una serie estenuante di visite, ecografie, esami. Alla fine il risultato non fu molto incoraggiante. Per una scarsa produzione ormonale le gravidanze facevano fatica a prendere l'avvio. Le cellule che venivano fecondate non riuscivano a installarsi nell'utero e crescere. Dopo la prima fase di disorientamento ne seguì una di euforia. Pareva che una semplice cura ormonale avrebbe potuto risolvere il problema. Cura alla quale Veronica si sottopose con entusiasmo e determinazione. Non dimenticò mai di prendere una pastiglia, nè di presentarsi per un'iniezione. In quel periodo tornò ad essere la solita persona gioviale, sorridente e ottimista. Tant'è che pensai fosse rimasta incinta. Dopo qualche mese, non vedendo crescere la pancia della mia amica, le chiesi cosa le stesse succedendo. Fu allora che Veronica, per la prima volta, mi parlò a cuore aperto del suo grande desiderio di diventare mamma e delle difficoltà che stavano incontrato. In quell'occasione le parlai di San Gerardo, santo protettore delle mamme e dei bambini, consigliandole di affidarsi a lui, ma lei mi guardò scettica. Scuotendo il capo mi rispose che si sentiva più tranquilla in mano a dei bravi medici. Con semplicità le ribattei che una cosa non escludeva l'altra, ma si mise a ridere.

Iniziarono i tentativi di fecondazione assistita. Ogni volta era un misto di paura e speranza, ogni volta una delusione sempre più difficile da superare. Veronica era arrivata al limite, ancora un fallimento ed era sicura che non sarebbe più riuscita ad uscire dalla forma depressiva che aveva iniziato a prendere piede nella sua anima. Inevitabilmente ne stava risentendo il suo rapporto di coppia. Amava suo marito, ma quando si ritrovavano l'uno di fronte all'altra non riusciva ad evitare di pensare al loro bambino mancato. Diventò un pensiero fisso e si stava trasformando in una vera e propria ossessione. L'unica con cui riusciva a confidarsi ero io, quell'amica arrivata da Avellino qualche anno prima. Così diversa da lei, eppure così in sintonia. Ma qualcosa si ruppe anche nei miei confronti quando le dissi di essere nuovamente incinta. Lì per lì reagì bene, mi fece le congratulazioni e tutte le domande di rito. A casa crollò. Non che non fosse contenta per me, anzi. Ma questa notizia la mise per l'ennesima volta di fronte alla realtà: era sterile e non sarebbe mai diventata madre. Sentì che qualcosa in lei vacillava, forse Luigi aveva ragione quando le diceva di farsi aiutare, che era sull'orlo di un esaurimento nervoso. Ma non riesciva a reagire, una sottile apatia si insinuò in lei. Ora era al supermercato, sola. Come accadeva sempre più spesso aveva rifiutato un mio invito a prendere un caffè insieme e fare due chiacchiere.
Finita la spesa si avviò alla cassa, passando davanti all'espositore degli assorbenti si fermò. La settimana prima aveva fatto l'ennesimo tentativo di fecondazione assistita. Aveva giurato che sarebbe stato l'ultimo, se non fosse andato a buon fine se ne sarebbe fatta una ragione. Doveva farsene una ragione e riprendere in mano la propria vita. Se non fosse andato a buon fine avrebbe avuto un ciclo entro la fine del mese. Basta illudersi. Afferrò una confezione di assorbenti e si avviò alla cassa.

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021