San Gerardo Maiella
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Se non crederete, non comprenderete

CAPITOLO V

Fede e verità

23. Se non crederete, non comprenderete (cfr Is 7,9). La versione greca della Bibbia ebraica, la traduzione dei Settanta realizzata in Alessandria d’Egitto, traduceva così le parole del profeta Isaia al re Acaz. In questo modo la questione della conoscenza della verità veniva messa al centro della fede. Nel testo ebraico, tuttavia, leggiamo diversamente. In esso il profeta dice al re: "Se non crederete, non resterete saldi". C’è qui un gioco di parole con due forme del verbo ’amàn: "crederete" (ta’aminu), e "resterete saldi" (te’amenu). Impaurito dalla potenza dei suoi nemici, il re cerca la sicurezza che gli può dare un’alleanza con il grande impero di Assiria. Il profeta, allora, lo invita ad affidarsi soltanto alla vera roccia che non vacilla, il Dio di Israele. Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costruire la propria sicurezza sulla sua Parola. È questo il Dio che Isaia più avanti chiamerà, per due volte, "il Dio-Amen" (cfr Is 65,16), fondamento incrollabile di fedeltà all’alleanza. Si potrebbe pensare che la versione greca della Bibbia, nel tradurre "essere saldo" con "comprendere", abbia operato un cambiamento profondo del testo, passando dalla nozione biblica di affidamento a Dio a quella greca della comprensione. Tuttavia, questa traduzione, che accettava certamente il dialogo con la cultura ellenistica, non è estranea alla dinamica profonda del testo ebraico. La saldezza che Isaia promette al re passa, infatti, per la comprensione dell’agire di Dio e dell’unità che Egli dà alla vita dell’uomo e alla storia del popolo. Il profeta esorta a comprendere le vie del Signore, trovando nella fedeltà di Dio il piano di saggezza che governa i secoli. Sant’Agostino ha espresso la sintesi del "comprendere" e dell’"essere saldo" nelle sue Confessioni, quando parla della verità, cui ci si può affidare per poter restare in piedi: « Sarò saldo e mi consoliderò in te, […] nella tua verità ». Dal contesto sappiamo che sant’Agostino vuole mostrare il modo in cui questa verità affidabile di Dio è, come emerge nella Bibbia, la sua presenza fedele lungo la storia, la sua capacità di tenere insieme i tempi, raccogliendo la dispersione dei giorni dell’uomo.

24. Il testo di Isaia, letto in questa luce, porta a una conclusione: l’uomo ha bisogno di conoscenza, ha bisogno di verità, perché senza di essa non si sostiene, non va avanti. La fede, senza verità, non salva, non rende sicuri i nostri passi. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità, qualcosa che ci accontenta solo nella misura in cui vogliamo illuderci. Oppure si riduce a un bel sentimento, che consola e riscalda, ma resta soggetto al mutarsi del nostro animo, alla variabilità dei tempi, incapace di sorreggere un cammino costante nella vita. Se la fede fosse così, il re Acaz avrebbe ragione a non giocare la sua vita e la sicurezza del suo regno su di un’emozione. Ma proprio per il suo nesso intrinseco con la verità, la fede è capace di offrire una luce nuova, superiore ai calcoli del re, perché essa vede più lontano, perché comprende l’agire di Dio, che è fedele alla sua alleanza e alle sue promesse.

25. Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo. Nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l’uomo riesce a costruire e misurare con la sua scienza, vero perché funziona, e così rende più comoda e agevole la vita. Questa sembra oggi l’unica verità certa, l’unica condivisibile con altri, l’unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme. Dall’altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo, che consistono nell’essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide solo per l’individuo e che non possono essere proposte agli altri con la pretesa di servire il bene comune. La verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto. Non è stata forse questa — ci si domanda — la verità pretesa dai grandi totalitarismi del secolo scorso, una verità che imponeva la propria concezione globale per schiacciare la storia concreta del singolo? Rimane allora solo un relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più. È logico, in questa prospettiva, che si voglia togliere la connessione della religione con la verità, perché questo nesso sarebbe alla radice del fanatismo, che vuole sopraffare chi non condivide la propria credenza. Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro "io" piccolo e limitato. È una domanda sull’origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune.

Conoscenza della verità e amore

26. In questa situazione, può la fede cristiana offrire un servizio al bene comune circa il modo giusto di intendere la verità? Per rispondere è necessario riflettere sul tipo di conoscenza proprio della fede. Può aiutarci un’espressione di san Paolo, quando afferma: « Con il cuore si crede » (Rm 10,10). Il cuore, nella Bibbia, è il centro dell’uomo, dove s’intrecciano tutte le sue dimensioni: il corpo e lo spirito; l’interiorità della persona e la sua apertura al mondo e agli altri; l’intelletto, il volere, l’affettività. Ebbene, se il cuore è capace di tenere insieme queste dimensioni, è perché esso è il luogo dove ci apriamo alla verità e all’amore e lasciamo che ci tocchino e ci trasformino nel profondo. La fede trasforma la persona intera, appunto in quanto essa si apre all’amore. È in questo intreccio della fede con l’amore che si comprende la forma di conoscenza propria della fede, la sua forza di convinzione, la sua capacità di illuminare i nostri passi. La fede conosce in quanto è legata all’amore, in quanto l’amore stesso porta una luce. La comprensione della fede è quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà.

27. È noto il modo in cui il filosofo Ludwig Wittgenstein ha spiegato la connessione tra la fede e la certezza. Credere sarebbe simile, secondo lui, all’esperienza dell’innamoramento, concepita come qualcosa di soggettivo, improponibile come verità valida per tutti. All’uomo moderno sembra, infatti, che la questione dell’amore non abbia a che fare con il vero. L’amore risulta oggi un’esperienza legata al mondo dei sentimenti incostanti e non più alla verità.

Davvero questa è una descrizione adeguata dell’amore? In realtà, l’amore non si può ridurre a un sentimento che va e viene. Esso tocca, sì, la nostra affettività, ma per aprirla alla persona amata e iniziare così un cammino, che è un uscire dalla chiusura nel proprio io e andare verso l’altra persona, per edificare un rapporto duraturo; l’amore mira all’unione con la persona amata. Si rivela allora in che senso l’amore ha bisogno di verità. Solo in quanto è fondato sulla verità l’amore può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune. Se l’amore non ha rapporto con la verità, è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. L’amore vero invece unifica tutti gli elementi della nostra persona e diventa una luce nuova verso una vita grande e piena. Senza verità l’amore non può offrire un vincolo solido, non riesce a portare l’"io" al di là del suo isolamento, né a liberarlo dall’istante fugace per edificare la vita e portare frutto.

Se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore. Amore e verità non si possono separare. Senza amore, la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona. La verità che cerchiamo, quella che offre significato ai nostri passi, ci illumina quando siamo toccati dall’amore. Chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo nuovo, in unione con la persona amata. In questo senso, san Gregorio Magno ha scritto che « amor ipse notitia est », l’amore stesso è una conoscenza, porta con sé una logica nuova. Si tratta di un modo relazionale di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella visione dell’altro e visione comune su tutte le cose. Guglielmo di Saint Thierry, nel Medioevo, segue questa tradizione quando commenta un versetto del Cantico dei Cantici in cui l’amato dice all’amata: I tuoi occhi sono occhi di colomba (cfr Ct 1,15). Questi due occhi, spiega Guglielmo, sono la ragione credente e l’amore, che diventano un solo occhio per giungere a contemplare Dio, quando l’intelletto si fa « intelletto di un amore illuminato ».

28. Questa scoperta dell’amore come fonte di conoscenza, che appartiene all’esperienza originaria di ogni uomo, trova espressione autorevole nella concezione biblica della fede. Gustando l’amore con cui Dio lo ha scelto e lo ha generato come popolo, Israele arriva a comprendere l’unità del disegno divino, dall’origine al compimento. La conoscenza della fede, per il fatto di nascere dall’amore di Dio che stabilisce l’Alleanza, è conoscenza che illumina un cammino nella storia. È per questo, inoltre, che, nella Bibbia, verità e fedeltà vanno insieme: il Dio vero è il Dio fedele, Colui che mantiene le sue promesse e permette, nel tempo, di comprendere il suo disegno. Attraverso l’esperienza dei profeti, nel dolore dell’esilio e nella speranza di un ritorno definitivo alla città santa, Israele ha intuito che questa verità di Dio si estendeva oltre la propria storia, per abbracciare la storia intera del mondo, a cominciare dalla creazione. La conoscenza della fede illumina non solo il percorso particolare di un popolo, ma il corso intero del mondo creato, dalla sua origine alla sua consumazione.

La fede come ascolto e visione

29. Proprio perché la conoscenza della fede è legata all’alleanza di un Dio fedele, che intreccia un rapporto di amore con l’uomo e gli rivolge la Parola, essa è presentata dalla Bibbia come un ascolto, è associata al senso dell’udito. San Paolo userà una formula diventata classica: fides ex auditu, « la fede viene dall’ascolto » (Rm 10,17). La conoscenza associata alla parola è sempre conoscenza personale, che riconosce la voce, si apre ad essa in libertà e la segue in obbedienza. Perciò san Paolo ha parlato dell’"obbedienza della fede" (cfr Rm 1,5; 16,26).[23] La fede è, inoltre, conoscenza legata al trascorrere del tempo, di cui la parola ha bisogno per pronunciarsi: è conoscenza che s’impara solo in un cammino di sequela. L’ascolto aiuta a raffigurare bene il nesso tra conoscenza e amore.

Per quanto concerne la conoscenza della verità, l’ascolto è stato a volte contrapposto alla visione, che sarebbe propria della cultura greca. La luce, se da una parte offre la contemplazione del tutto, cui l’uomo ha sempre aspirato, dall’altra non sembra lasciar spazio alla libertà, perché discende dal cielo e arriva direttamente all’occhio, senza chiedere che l’occhio risponda. Essa, inoltre, sembrerebbe invitare a una contemplazione statica, separata dal tempo concreto in cui l’uomo gode e soffre. Secondo questa concezione, l’approccio biblico alla conoscenza si opporrebbe a quello greco, che, nella ricerca di una comprensione completa del reale, ha collegato la conoscenza alla visione.

È invece chiaro che questa pretesa opposizione non corrisponde al dato biblico. L’Antico Testamento ha combinato ambedue i tipi di conoscenza, perché all’ascolto della Parola di Dio si unisce il desiderio di vedere il suo volto. In questo modo si è potuto sviluppare un dialogo con la cultura ellenistica, dialogo che appartiene al cuore della Scrittura. L’udito attesta la chiamata personale e l’obbedienza, e anche il fatto che la verità si rivela nel tempo; la vista offre la visione piena dell’intero percorso e permette di situarsi nel grande progetto di Dio; senza tale visione disporremmo solo di frammenti isolati di un tutto sconosciuto.

30. La connessione tra il vedere e l’ascoltare, come organi di conoscenza della fede, appare con la massima chiarezza nel Vangelo di Giovanni. Per il quarto Vangelo, credere è ascoltare e, allo stesso tempo, vedere. L’ascolto della fede avviene secondo la forma di conoscenza propria dell’amore: è un ascolto personale, che distingue la voce e riconosce quella del Buon Pastore (cfr Gv 10,3-5); un ascolto che richiede la sequela, come accade con i primi discepoli che, « sentendolo parlare così, seguirono Gesù » (Gv 1,37). D’altra parte, la fede è collegata anche alla visione. A volte, la visione dei segni di Gesù precede la fede, come con i giudei che, dopo la risurrezione di Lazzaro, « alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui » (Gv 11,45). Altre volte, è la fede che porta a una visione più profonda: « Se crederai, vedrai la gloria di Dio » (Gv 11,40). Alla fine, credere e vedere s’intrecciano: « Chi crede in me […] crede in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato » (Gv 12,44-45). Grazie a quest’unione con l’ascolto, il vedere diventa sequela di Cristo, e la fede appare come un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità. E così, il mattino di Pasqua, si passa da Giovanni che, ancora nel buio, davanti al sepolcro vuoto, "vide e credette" (Gv 20,8); a Maria Maddalena che, ormai, vede Gesù (cfr Gv 20,14) e vuole trattenerlo, ma è invitata a contemplarlo nel suo cammino verso il Padre; fino alla piena confessione della stessa Maddalena davanti ai discepoli: « Ho visto il Signore! » (Gv 20,18).

Come si arriva a questa sintesi tra l’udire e il vedere? Diventa possibile a partire dalla persona concreta di Gesù, che si vede e si ascolta. Egli è la Parola fatta carne, di cui abbiamo contemplato la gloria (cfr Gv 1,14). La luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre. Infatti, la verità che la fede coglie è, nel quarto Vangelo, la manifestazione del Padre nel Figlio, nella sua carne e nelle sue opere terrene, verità che si può definire come la "vita luminosa" di Gesù. Ciò significa che la conoscenza della fede non ci invita a guardare una verità puramente interiore. La verità che la fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo, sulla contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza. In questo senso, san Tommaso d’Aquino parla dell’oculata fides degli Apostoli — fede che vede! — davanti alla visione corporea del Risorto.[25] Hanno visto Gesù risorto con i loro occhi e hanno creduto, hanno, cioè, potuto penetrare nella profondità di quello che vedevano per confessare il Figlio di Dio, seduto alla destra del Padre.

31. Soltanto così, attraverso l’Incarnazione, attraverso la condivisione della nostra umanità, poteva giungere a pienezza la conoscenza propria dell’amore. La luce dell’amore, infatti, nasce quando siamo toccati nel cuore, ricevendo così in noi la presenza interiore dell’amato, che ci permette di riconoscere il suo mistero. Capiamo allora perché, insieme all’ascoltare e al vedere, la fede è, per san Giovanni, un toccare, come afferma nella sua prima Lettera: « Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto […] e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… » (1 Gv 1,1). Con la sua Incarnazione, con la sua venuta tra noi, Gesù ci ha toccato e, attraverso i Sacramenti, anche oggi ci tocca; in questo modo, trasformando il nostro cuore, ci ha permesso e ci permette di riconoscerlo e di confessarlo come Figlio di Dio. Con la fede, noi possiamo toccarlo, e ricevere la potenza della sua grazia. Sant’Agostino, commentando il passo dell’emorroissa che tocca Gesù per essere guarita (cfr Lc 8,45-46), afferma: « Toccare con il cuore, questo è credere ». La folla si stringe attorno a Lui, ma non lo raggiunge con il tocco personale della fede, che riconosce il suo mistero, il suo essere Figlio che manifesta il Padre. Solo quando siamo configurati a Gesù, riceviamo occhi adeguati per vederlo.

Il dialogo tra fede e ragione

32. La fede cristiana, in quanto annuncia la verità dell’amore totale di Dio e apre alla potenza di questo amore, arriva al centro più profondo dell’esperienza di ogni uomo, che viene alla luce grazie all’amore ed è chiamato ad amare per rimanere nella luce. Mossi dal desiderio di illuminare tutta la realtà a partire dall’amore di Dio manifestato in Gesù, cercando di amare con quello stesso amore, i primi cristiani trovarono nel mondo greco, nella sua fame di verità, un partner idoneo per il dialogo. L’incontro del messaggio evangelico con il pensiero filosofico del mondo antico costituì un passaggio decisivo affinché il Vangelo arrivasse a tutti i popoli, e favorì una feconda interazione tra fede e ragione, che si è andata sviluppando nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni. Il beato Giovanni Paolo II, nella sua Lettera enciclica Fides et ratio, ha mostrato come fede e ragione si rafforzino a vicenda. Quando troviamo la luce piena dell’amore di Gesù, scopriamo che in ogni nostro amore era presente un barlume di quella luce e capiamo qual era il suo traguardo ultimo. E, nello stesso tempo, il fatto che il nostro amore porti con sé una luce, ci aiuta a vedere il cammino dell’amore verso la pienezza di donazione totale del Figlio di Dio per noi. In questo movimento circolare, la luce della fede illumina tutti i nostri rapporti umani, che possono essere vissuti in unione con l’amore e la tenerezza di Cristo.

33. Nella vita di sant’Agostino, troviamo un esempio significativo di questo cammino in cui la ricerca della ragione, con il suo desiderio di verità e di chiarezza, è stata integrata nell’orizzonte della fede, da cui ha ricevuto nuova comprensione. Da una parte, egli accoglie la filosofia greca della luce con la sua insistenza sulla visione. Il suo incontro con il neoplatonismo gli ha fatto conoscere il paradigma della luce, che discende dall’alto per illuminare le cose, ed è così un simbolo di Dio. In questo modo sant’Agostino ha capito la trascendenza divina e ha scoperto che tutte le cose hanno in sé una trasparenza, che potevano cioè riflettere la bontà di Dio, il Bene. Si è così liberato dal manicheismo in cui prima viveva e che lo inclinava a pensare che il male e il bene lottassero continuamente tra loro, confondendosi e mescolandosi, senza contorni chiari. Capire che Dio è luce gli ha dato un orientamento nuovo nell’esistenza, la capacità di riconoscere il male di cui era colpevole e di volgersi verso il bene.

D’altra parte, però, nell’esperienza concreta di sant’Agostino, che egli stesso racconta nelle sue Confessioni, il momento decisivo nel suo cammino di fede non è stato quello di una visione di Dio, oltre questo mondo, ma piuttosto quello dell’ascolto, quando nel giardino sentì una voce che gli diceva: "Prendi e leggi"; egli prese il volume con le Lettere di san Paolo soffermandosi sul capitolo tredicesimo di quella ai Romani. Appariva così il Dio personale della Bibbia, capace di parlare all’uomo, di scendere a vivere con lui e di accompagnare il suo cammino nella storia, manifestandosi nel tempo dell’ascolto e della risposta.

E tuttavia, questo incontro con il Dio della Parola non ha portato sant’Agostino a rifiutare la luce e la visione. Egli ha integrato ambedue le prospettive, guidato sempre dalla rivelazione dell’amore di Dio in Gesù. E così ha elaborato una filosofia della luce che accoglie in sé la reciprocità propria della parola e apre uno spazio alla libertà dello sguardo verso la luce. Come alla parola corrisponde una risposta libera, così la luce trova come risposta un’immagine che la riflette. Sant’Agostino può riferirsi allora, associando ascolto e visione, alla « parola che risplende all’interno dell’uomo ». In questo modo la luce diventa, per così dire, la luce di una parola, perché è la luce di un Volto personale, una luce che, illuminandoci, ci chiama e vuole riflettersi nel nostro volto per risplendere dal di dentro di noi. D’altronde, il desiderio della visione del tutto, e non solo dei frammenti della storia, rimane presente e si compirà alla fine, quando l’uomo, come dice il Santo di Ippona, vedrà e amerà.[30] E questo, non perché sarà capace di possedere tutta la luce, che sempre sarà inesauribile, ma perché entrerà, tutto intero, nella luce.

34. La luce dell’amore, propria della fede, può illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità. La verità oggi è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune. Essendo la verità di un amore, non è verità che s’imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti.

D’altra parte, la luce della fede, in quanto unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo materiale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio. Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza.

La fede e la ricerca di Dio

35. La luce della fede in Gesù illumina anche il cammino di tutti coloro che cercano Dio, e offre il contributo proprio del cristianesimo nel dialogo con i seguaci delle diverse religioni. La Lettera agli Ebrei ci parla della testimonianza dei giusti che, prima dell’Alleanza con Abramo, già cercavano Dio con fede. Di Enoc si dice che « fu dichiarato persona gradita a Dio » (Eb 11,5), cosa impossibile senza la fede, perché chi « si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano » (Eb 11,6). Possiamo così capire che il cammino dell’uomo religioso passa per la confessione di un Dio che si prende cura di lui e che non è impossibile trovare. Quale altra ricompensa potrebbe offrire Dio a coloro che lo cercano, se non lasciarsi incontrare? Prima ancora, troviamo la figura di Abele, di cui pure si loda la fede a causa della quale Dio ha gradito i suoi doni, l’offerta dei primogeniti dei suoi greggi (cfr Eb 11,4). L’uomo religioso cerca di riconoscere i segni di Dio nelle esperienze quotidiane della sua vita, nel ciclo delle stagioni, nella fecondità della terra e in tutto il movimento del cosmo. Dio è luminoso, e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero.

Immagine di questa ricerca sono i Magi, guidati dalla stella fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Per loro la luce di Dio si è mostrata come cammino, come stella che guida lungo una strada di scoperte. La stella parla così della pazienza di Dio con i nostri occhi, che devono abituarsi al suo splendore. L’uomo religioso è in cammino e deve essere pronto a lasciarsi guidare, a uscire da sé per trovare il Dio che sorprende sempre. Questo rispetto di Dio per gli occhi dell’uomo ci mostra che, quando l’uomo si avvicina a Lui, la luce umana non si dissolve nell’immensità luminosa di Dio, come se fosse una stella inghiottita dall’alba, ma diventa più brillante quanto è più prossima al fuoco originario, come lo specchio che riflette lo splendore. La confessione cristiana di Gesù, unico salvatore, afferma che tutta la luce di Dio si è concentrata in Lui, nella sua "vita luminosa", in cui si svela l’origine e la consumazione della storia. Non c’è nessuna esperienza umana, nessun itinerario dell’uomo verso Dio, che non possa essere accolto, illuminato e purificato da questa luce. Quanto più il cristiano s’immerge nel cerchio aperto dalla luce di Cristo, tanto più è capace di capire e di accompagnare la strada di ogni uomo verso Dio.

Poiché la fede si configura come via, essa riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare. Nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero e si mettono in cammino con quella luce che riescono a cogliere, già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede. Essi cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché riconoscono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune, oppure perché sperimentano il desiderio di luce in mezzo al buio, ma anche perché, nel percepire quanto è grande e bella la vita, intuiscono che la presenza di Dio la renderebbe ancora più grande. Racconta sant’Ireneo di Lione che Abramo, prima di ascoltare la voce di Dio, già lo cercava « nell’ardente desiderio del suo cuore », e « percorreva tutto il mondo, domandandosi dove fosse Dio », finché « Dio ebbe pietà di colui che, solo, lo cercava nel silenzio ». Chi si mette in cammino per praticare il bene si avvicina già a Dio, è già sorretto dal suo aiuto, perché è proprio della dinamica della luce divina illuminare i nostri occhi quando camminiamo verso la pienezza dell’amore.

Fede e teologia

36. Poiché la fede è una luce, ci invita a inoltrarci in essa, a esplorare sempre di più l’orizzonte che illumina, per conoscere meglio ciò che amiamo. Da questo desiderio nasce la teologia cristiana. È chiaro allora che la teologia è impossibile senza la fede e che essa appartiene al movimento stesso della fede, che cerca l’intelligenza più profonda dell’autorivelazione di Dio, culminata nel Mistero di Cristo. La prima conseguenza è che nella teologia non si dà solo uno sforzo della ragione per scrutare e conoscere, come nelle scienze sperimentali. Dio non si può ridurre ad oggetto. Egli è Soggetto che si fa conoscere e si manifesta nel rapporto da persona a persona. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi alla luce che viene da Dio, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio in modo più profondo. I grandi dottori e teologi medievali hanno indicato che la teologia, come scienza della fede, è una partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso. La teologia, allora, non è soltanto parola su Dio, ma prima di tutto accoglienza e ricerca di un’intelligenza più profonda di quella parola che Dio ci rivolge, parola che Dio pronuncia su se stesso, perché è un dialogo eterno di comunione, e ammette l’uomo all’interno di questo dialogo. Fa parte allora della teologia l’umiltà che si lascia "toccare" da Dio, riconosce i suoi limiti di fronte al Mistero e si spinge ad esplorare, con la disciplina propria della ragione, le insondabili ricchezze di questo Mistero.

La teologia poi condivide la forma ecclesiale della fede; la sua luce è la luce del soggetto credente che è la Chiesa. Ciò implica, da una parte, che la teologia sia al servizio della fede dei cristiani, si metta umilmente a custodire e ad approfondire il credere di tutti, soprattutto dei più semplici. Inoltre, la teologia, poiché vive della fede, non consideri il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi, in quanto il Magistero assicura il contatto con la fonte originaria, e offre dunque la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità.

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    In alcuni casi potrebbero avere accesso ai Dati Personali anche soggetti coinvolti nell’organizzazione del Titolare (quali per esempio, amministratori di sistema, ecc.) ovvero soggetti esterni (come società informatiche, fornitori di servizi, hosting provider, ecc.). Detti soggetti all’occorrenza potranno essere nominati Responsabili del Trattamento da parte del Titolare, nonché accedere ai Dati Personali degli Utenti ogni qualvolta si renda necessario e saranno contrattualmente obbligati a mantenere riservati i Dati Personali.

  4. Luogo

    I Dati Personali sono trattati presso le sedi operative del Titolare ed in ogni altro luogo in cui le parti coinvolte nel trattamento siano localizzate. Per ulteriori informazioni, è sempre possibile contattare il Titolare al seguente indirizzo email info@sangerardomaiella.it oppure al seguente indirizzo postale Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ).

  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021