San Gerardo Maiella
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17 Gennaro

SANT'ANTONIO PATRIARCA DE' CENOBITI

Sant'Autonio (11) venne al mondo l'anno 251 di Gesù Cristo. Nacque egli nel villaggio di Coma presso ad Eraclea nell'alto Egitto. I suoi genitori, che erano Cristiani e più. notabili per la loro pietà che per le loro dovizie, posero somma cura alla sua educazione. Essi sel tennero sempre presso di sé, di paura che i tristi esempi e i discorsi della gente viziosa non guastassero la sua innocenza. Antonio per tal modo guradato nella magione paterna non si diede allo studio delle belle lettere, né seppe leggere altra lingua fuor l'egiziana, che era il linguaggio del paese (2). Ma di questa sua mancanza di alcune cognizioni, di cui di leggieri l'uomo abusa, egli fu largamente compensato colle eccellenti disposizioni, che Iddio aveva messo nella sua anima.17 gennaio

Fino da fanciullo fu visto amare la sobrietà, assistere regolarmente agli offizi della chiesa, obbedire ai suoi genitori con una singolar prestezza. Per la morte di essi egli. divenne, in età non ancor di vent'anni, padrone di una riguardevole fortuna, o trovossi a dover provvedere all'educazione di una sorella più giovane di lui. Sei mesi dopo Antonio udì leggere in chiesa quelle parole rivolte ad m1 giovane nel vangelo: Se vuoi esser perfetto, vanne, Vendi quanto hai, e dallo ai poveri, ed avrai un tesoro su nel cielo (1). Questa sentenza l’applicò egli subito a sé stesso; e non sì tosto fu tornato a casa, che rilasciò a suoi vicini presso a cento quaranta jugeri di terreno eccellente (2), a patto che essi pagherebbero per lui e per sua sorella le pubbliche gravezze. Vendette il rimanente dei suoi beni, e ne dispensò il prezzo ai poveri, nient’altro serbando che il puro necessario per sé e per sua sorella. Alcun tempo dopo avendo inteso leggere in chiesa queste altre parole: Non vi prendete pensiero del domani (3), si privò anche de’ suoi mobili in favore dei poveri, e collocò sua sorella in un monastero di vergini (4), ove elle divenne in appresso maestra di un gran numero di persone del suo sesso. Ciò fatto si ritirò in un deserto che era in quel vicinato, per imitarvi un santo vecchio che colà viveva da romito. Quivi distribuiva egli il tempo fra il lavoro delle mani, l’orazione e la lettura. Sì grande era il suo fervore, che quando udia parlare di qualche anacoreta, andava tosto a visitarlo per trar costrutto dalle sue istruzioni e da’ suoi esempi. Ei s’impose una norma di dover praticare tutto quello, che adoperavano i veri servi di Dio; e questo fu, ond’egli divenne in breve un perfetto modello di tutte le virtù. Il demonio geloso degli avanzamenti, che Antonio faceva ogni giorno in sulle vie della perfezione, tutto pose in opera onde perderlo. Innanzi tratto gli pose davanti tutte le buone opere, ch’egli col mezzo di sue ricchezze avrebbe potuto fare nel mondo, e le difficoltà ch’egli avrebbe a vincere nella solitudine.

Questo è il solito artifizio che il demonio mette in opera quand’egli vuole far nascere in un’anima il disgusto per quello stato, a cui Dio lo chiama. Questo primo assalto essendogli fallito, si pose a straziare il santo giorno e notte con pensieri contrari alla purità. Ma il giovane romito portò vittoria anche di questa tentazione con un’esatta vigilanza sopra i suoi sentimenti, con digiuni rigorosi, coll’umiltà e coll’orazione. Il demonio tornò all’assalto, e servissi, per trarlo nel laccio, della vanagloria, prendendo diverse forme per accalappiare, o per intimorire Antonio. Ma queste sue astuzie non riuscirono a quello ch’egli voleva;egli fu sempre vinto, anzi, si vide ridotto a dover confessare le sue sconfitte. Antonio fatto accorto del rischio ch’egli aveva corso, raddoppiò le sue austerità. Suo cibo non era che un pezzo di pane, ne bevea altro che acqua. Un solo pasto egli facea al giorno, e sempre dopo il tramontar del sole. alcune fiate non prendea cibo di sorte per due, ed anche per quattro giorni. Sovente passava tutta la notte senza dormire, e quando alcuna posa era costretto concedere alla natura, si coricava sopra una semplice stuoia di giunchi, o sopra un cilicio, o sulla nuda terra. In fine egli mettea in opera tutti i modi i più atti a castigare il suo corpo, e a sottometterlo interamente alla legge dello spirito. Il desiderio, ch’egli avea di mettersi in una solitudine più perfetta, indusse il nostro santo a ritirarsi in un vecchio sepolcro, ove uno de’ suoi amici gli portava tratto tratto del pane. Iddio permise che anche quivi entro venisse il demonio a tentarlo. Innanzi cercò di spaventarlo con un orrido frastuono; anzi un giorno lo battè sì aspramente, che lasciollo mezzo morto e tutto coperto di lividure. In tale stato fu egli trovato dall’amico caritatevole, che gli portava da mangiare. Non sì tosto si fu riavuto, che anche prima di rialzarsi gridò ai demoni: “Ebbene, eccomi ancora pronto a combattere. No, niente verrà a separarmi dal Signor mio Gesù Cristo”. Gli spiriti delle tenebre accettano tosto la disfida; addoppiano i loro sforzi, mandano spaventevoli ruggiti, vestono le forme più orribili e le più paurose. Ma Antonio rimansi fermo, perché agli pone tutta la sua fidanza n Dio. Scende tosto un raggio di celeste luce sovra di lui, e li demoni svergognati si danno alla fuga; “Dove eravate dunque allora voi, mio Signore e mio Maestro, esclamò egli in quel punto? E perché non accorreste al cominciar della pugna? Deh! Che avreste allora voi asciugate le mie lagrime, e acchetate le mie pene”! Gli rispose allora una voce: “Antonio, io t’era dappresso, fui spettatore de’ tuoi combattimenti; e perché hai saputo resistere con coraggio ai tuoi nemici, io proteggerotti sempre in tutto il resto di tua vita,e renderò celebre il tuo nome”. A queste parole il santo ripieno di consolazione e di forza s’alza per esprimere la gratitudine al suo liberatore. Dopo il suo ritiro, Antonio avea sempre soggiornato in luoghi solitari poco lungi dalla sua patria (1); ma giutno all’età di trentacinque anni risolvette d’internarsi più addentro nel deserto. Valicò il braccio orientale del Nilo; indi ritirossi sulla cima d’una montagna, vi si chiuse dentro un vecchio castello, ov’egli visse separato dello in tutto dal mondo pel corso di sant’Antonio, anzi si può dire esservi stati degli Asceti anche tra gli antichi ebrei. Tali furono i Nazarei perpetui, come Sansone; i figli dei profeti, e i Terapeuti dei quali parla Filone, avvegnacchè paia che questi fossero cristiani almeno in gran parte, come ci assicura Eusebio, e san Girolamo. Un modello di questa vita ascetica si può riscontrare in san Giovanni Battista, in quella dei primi cristiani in Gerusalemme, e dei discepoli di san Marco in Alessandria. Parlasi sovente degli Asceti da Origene, e da altri autori ecclesiastici. I più celebri da essi mentovati sono san Serapione eletto vescovo di Antiochia sotto Commodo, Pierio prete d’Alessandria, san Luciano martire, san Pietro martire in Palestina, san Pamfilo e san Selencio martiri, san Cirillo di Gerusalemme, san Basilio e san Gregorio Nazianzo, prima che avessero abbracciato lo stato propriamente monastico; san Giovanni Grisostomo sant’Antiloco, sant’Atanasio, san Martino, san Giovanni d’Egitto, san Sulpizio Severo, san Paolino, Eliodoro, Nepoziano, Piniano. Alcune volte gli Asceti erano detti Astinenti, Solitari, erano detti anche Devoti, finalmente Confessori, perché la loro vita era una continua confessione della fede, della quale essi praticavano le opere con un zelo veramente eroico. Per questo san Martino fu detto Confessore, i qual titolo per primo ei portò nei calendari, e fu poscia ad altri santi, che non erano martiri. In fra questi asceti ve n’avea di solitari che menavano una vita puramente contemplativa; altri si applicavano alle fatiche del ministero ecclesiastico e all’istruzione del popolo. San Serapione, san Giustino, Aristide, Quadrato, Atenagora, Panteno, Clemente, Origene, Eraclas etc. furono nel numero di quest’ultimi. Rilevasi chiaramente da sant’Ambrogio che gli Asceti portavano vestiti diversi da quelli della gente del mondo. Questi abiti erano gretti e ordinariamente di colo nero o bruno. Gli uni si sacrificavano a Dio coi voti, ed altri senza. San Giacopo di Bisiba distingue formalmente queste due maniere di Asceti. Tutti quelli che avevano abbracciato la vita ascetica viveano in gran povertà e faceano professione di una perfetta continenza. Non mangiavano carni e praticavano digiuni rigorosi. Le loro veglie erano lunghe, le loro mortificazioni erano austerissime. In fine la lettura, l’orazione e il lavoro formavano tutta la loro occupazione. Il numero degli Asceti era grandissimo a Nazianzo, a Cesarea in Cappadocia, in Armenia, e sovra tutto in Egitto. Gli Asceti avevano un posto distinto nelle chiese, ed erano situati fra il clero ed il popolo. San Basilio parla anche dell’ordine delle vergini. La chiesa in una dell’orazioni del Venerdì santo, che risale alla più remota antichità, poiché nei sacramentari di Gelasio e di san Gregorio, prega pro Ostiariis, Confessoribus Viriginibus, Viduis etc. Menard crede, dietro al sentimento del quarto concilio di Cartagine, che i Confessori di cui parliamo, sono i cantori; ma si può intenderli anche per gli Asceti con M. Antonelli. Vedi a proposito degli Asceti san Giacomo Nisiba or. 6 de Devotis, e la dissertazione de Ascetis, che M. Antoneli ha posto nell’edizione da lui fatta delle opere di questo padre dalla p. 107 fino p. 202. Questa edizione di san Giacopo di Nisiba uscì a Roma nel 1756. quasi vent'anni, per modo che non vide mai altr'uomo fuor che quello, che
di tempo in tempo gli portava del pane.
Tutta fiata la fama della sua santità traea presso di lui un gran numero di discepoli. Egli s'arrese a lungo andare al desiderio che essi avevano di vivere sotto la sua condotta. Discese adunque dalla montagna verso l’anno 305, e fondò il monastero di Phaium (1). La distrazione cagionata ad Antonio da questa impresa, portogli nna tentazione di disperazione; ma ei se ne sciolse con fervorose preghiere, e col darsi di proposito al lavoro delle mani. Il suo pasto, in questa nuova maniera di vita, consisteva in sei once di pane stemperato nell'acqua, e un po' di1sale; qualche volta vi aggiungeva alcun dattero. In sua vecchiezza soltanto egli usò un po' di olio. Spesso passava tre o quattro giorni senza prender nissun nutrimento . Un cilicio gli tenea luogo di tonaca, sopra il quale egli portava un mantello di pelli di pecora serrato da un cinto. Austerità di simil fatta non gli toglieano però l'appariscenza di esser robusto e contento. Il suo maggior diletto era di esser sempre nella sua celletta1 inteso agli esercizi della preghiera e della contemplazione.
Trovandosi a tavola co' suoi fratelli gl' intervenia bene spesso di aver gli occhi caldi di largo pianto, e di levarsi e sortire senza aver preso niente; sì grande e sì viva era l'impressione che faceva sopra di lui il pensare alla beatitudine dei santi, che non aveano in cielo altra occupazione, fuor quella di lodare continuamente il Signore (2). Da ciò veniva quello zelo, con cui egli raccomandava a' suoi discepoli di mettere alla cura dei loro corpi meno tempo che fosse possibile, perché più ne rimanesse loro da lodare e d'adorare la grandezza divina. Era ben lontano dal credere, che la perfezione stesse solo nella mortificazione del corpo; ma persuaso, che le migliori opere sono un nulla senza la carità, egli procacciava di accenderne sempre più il fuoco della sua anima. Quali ammaestramenti un tal maestro non dovea egli dare a' suoi scolari ecco alcuni suoi precetti ad essi: « Non v' esca mai dalla mente » diceva loro, il pensiero dell'eternità. Fatevi tutte le mattine a pensare, che forse se non potreste vivere che fino a sera, pensate ogni sera che forse non sarete per. vedere il domane.

Che che voi vi ponghiate a fare, fatelo come » se fosse l'ultimo atto di vostra vita, vale a dire con tutto il fervore e con tutta la pietà, di cui siete capaci. Vegliate incessantemente sulle tentazioni, e fate fronte con coraggio agli sforzi del demonio. Questo nemico è assai debole, quando li si tolgono le armi di mano. Egli paventa il digiuno, l'orazione, l'umiltà e le opere buone: benché in qnesto punto io mi sto a screditarlo, egli non ha forza di turarmi la bocca. Il solo segno della santa croce basta a sgombrare tutti i suoi prestigi e le sue illusioni (1) .... Mai sì, questo segno della croce del Salvatore, che lo ha spogliato di tutta la possanza, basta a farlo tremare (2)». Solca il santo rafforzare queste ultime istruzioni col racconto dei vari assalti, che il demonio aveagli dato. «Colla preghiera, soggiugnea egli, io ho trionfato di tutte le sue insidie. Dissemi egli un giorno, dopo essersi trasformato in un angelo di luce: Antonio, chiedimi ciò che ti piace, io sono la possanza di Dio. Ma non ebbi io appena invocato il nome di Gesù, ch'egli disparve ». Avea il santo un maraviglioso dono di discernere gli spiriti. Ecco la regola che dava ai suoi discepoli a questo proposito (3). “La veduta degli angeli buoni, diceva loro, punto non isgomentisce; la loro presenza è dolce e placida, l'anima ne rimane colma di gioia, e se ne sente tutta ripiena di confidenza. Essi mettono in lei un amor tale delle cose divine, che si bramerebbe lasciar la vita per tener loro dietro alla beata eternità. All'opposto l’apparizione degli angeli cattivi desta l'inquietudine. Essi menan rumore nel presentarsi; gittano l'animo in una confusione di vari pensieri, vi fanno nascere il disgusto della virtù, e lo rendono vacillante nelle sue risoluzioni».
Mentre Antonio era occupato nella solitudine della propria santificazione e di quella de' suoi discepoli, la chiesa si vide perseguitata da Massimino, che raccese in essa il fuoco della persecuzione nel 311 . La speranza di spargere il sangue per Gesù Cristo determinollo a sortire dal suo monastero.
Egli si mise in cammino per Alessandria, onde andar a servir i cristiani chiusi nelle prigioni, e condannati a lavorar nelle miniere. Tutti rincoravali a persistere fermi nella confession della fede , e questo ei faceva avanti ai tribunali, e nei luoghi stessi ove essi erano giustiziati. Egli portava pubblicamente l'abito monastico, senza tema che il giudice lo riconoscesse.
Non volle per altro seguire l'esempio di coloro, che si davano da sé stessi in balìa dei tiranni, perché sapea che questo, senza una particolar ispirazione di Dio, non si ha a fare. Cessata l'anno dopo la persecuzione, ei ritornò al suo monastero, risoluto di vivere, più che non avea fatto in un’intiera separazione dal mondo. Questo lo spinse a far murare la porta della sua celletta. Ne uscì però alcun tempo dopo e abbandonò la contrada ove erano posti i suoi primi monasteri, che sant' Atanasio appella i monasteri di fuori.
Questi erano nei contorni di Menfi, d'Arsinoe, di Babilonia e d'Afrodite (1). Il
numero dei solitari di questo primo deserto di sant'Antonio s'accrebbe maravigliosamentc; e Rufino, parlando di san Serapione d'Arsinoe, poco dopo la morte di sant'Antonio, dice ch'egli era superiore di dieci mila monaci. Aggiugne, che si poteano appena contare quelli che abitavano le solitudini di Menfi e di Babilonia. Alcuni di questi solitari viveano insieme e formavano delle comunità: altri menavano vita anacoretica in caverne separate. Sant'Atanasio, che visitolli sovente, ne parla con trasporto d'ammirazione. «Ci sono, dice egli, dei monasteri, i quali paiono altrettanti templi pieni di persone, che passano loro vita a cantar salmi, a leggere, a pregare, a digiunare, a vegghiare; che pongono loro speranze nei beni avvenire, che sono stretti fra loro coi legami di una ammirabile carità, e che lavorano non tanto pei loro bisogni, che per aiutare i poveri. Ella è questa come una vasta regione separata dello in tutto dal mondo, gli abitanti della quale non hanno altri pensieri, che di esercitarsi nella giustizia e nella pietà ». Tutti questi solitari erano diretti dal grande sant'Antonio, che non restava mai di ravvivare il loro fervore colla sua vigilanza, colle sue esortazioni e co' suoi esempli. Ed avvegnachè avess' egli stabilito dei superiori subalterni, non tralasciò mai di avere una sopraintendenza generale su di essi, nemmeno dopo ch'egli ebbe mutato soggiorno.
Non pertanto, dopo aver raccomandato a Dio i suoi discepoli, il santo risolse di penetrare più addentro nei deserti, per viverci più lontano dal commercio degli uomini, e starvi, per così dire, solo con Dio solo. Con questo suo disegno egli venia a preservarsi dalla tentazione della vanità, che temea sommamente. Determinossi adunque di ritirarsi in un luogo dell'alto Egitto, ove non ci avea che uomini selvaggi. Giunto sulle spiagge del Nilo, arrestossi in un luogo acconcio ad aspettare, che di là passasse alcun battello, sul quale potesse rimontare il Nilo verso mezzogiorno. Ma per una particolare ispirazione di Dio egli mutò pensiero; e invece di avanzarsi. verso il mezzogiorno, si unì con alcuni mercatanti arabi, che andavano verso il mar
rosso dalla parte d' oriente. In fine dopo aver camminato tre giorni e tre notti, probabilmente in ischiena ad un cammello, giunse al luogo, ove Iddio voleva ch'egli fissasse la sua dimora pel rimanente de' suoi giorni. Quest'era
il monte Colzin, che poi ha preso il nome di sant'Antonio, lungi una giornata soltanto di cammino dal mar rosso. Alle falde di esso scorre un ruscello, sulle rive del quale sorgono gran quantità di palme, le quali rendono questo recesso assai comodo e piacevole. Questa montagna era sì alta e così scabra, che il mirarla faceva spavento: si potea vederla dalle sponde del Nilo, quantunque ne fosse distante trenta miglia (1) nella sua maggior vicinanza a quel fiume. Sant' Antonio fermossi a piè di questa montagna, e fissò la sua dimora in una celletta sì angusta, che tenea solamente tanto spazio in quadrato, quanto ne può occupare un uomo coricandovisi. Eranvi due altre cellette affatto somiglianti , scavate nella roccia al sommo della montagna, alle quali non si poggiava che con gran difficoltà per un piccolo sentiero fatto a chiocciola. Il santo si ritirava in una di queste, quand'egli volea in volarsi alla calca che traea a vederlo: perciocchè egli non potè starsene lunga pezza occulto. I suoi discepoli, dopo esserne andati lungamente in traccia, ve lo trovarono, e s'incaricarono di provvedergli del pane; ma egli risparmiar volle ad essi questo incomodo. Pregolli dunque di portargli una zappa, una scure, e un poco di grano, eh' ei seminò, e che gli produsse abbastanza di che nutrirsi. Egli si trovò tutto contento, quando vide che non era più a carico di nessuno.
Comunque fosse grande il desiderio ch'egli avea di vivere nel ritiro, non potè resistere alle istanze che gli furono fatte di andare a visitare i suoi primi monasteri. Ei vi fu accolto colle dimostrazioni della più viva gioia. I suoi discorsi ispirarono ne' suoi discepoli un ardor novello di crescere in virtù e in santità. In questo stesso suo viaggio visitò la sua sorella, direttrice d'un monastero di vergini, a cui ella presiedea coll' esempio di tutte le virtù. Dopo aver compiuto questo dovere di carità, riprese il cammino verso la sua montagna. I solitari e le afflitte persone veniano da tutte parti a consultarlo. Egli dava agli uni salutari avvertimenti, e otteneva colle sue preghiere dei miracoli dal cielo in favore degli• altri. Sappiamo da sant'Atanasio ch'egli risanò uno per nome Frontone della famiglia dell'imperatore d'una malattia sì strana, che si mozzava la lingua coi denti. Rese la sanità ad una ragazza paralitica e a parecchi altri malati. E se mai avveniva, che Iddio non accordasse alle sue orazioni la guarigione degl'infermi, egli si sottometteva alla volontà del cielo, e confortava gli altri a fare lo stesso. Spesso li rimandava ad altri solitri, onde per le loro orazioni ottenessero ciò che era stato negato alle sue. “Io sono di molto inferiore, diceva egli, in merito ad essi, e mi maraviglio che si venga da me, mentre si potrebbe ricorrere da quelli".
Essendo stato, come dicemmo, scoperto il luogo del suo ritiro, parecchi suoi discepoli si recarono presso di lui: ma con tutto il desiderio eh'essi n'aveano, non poterono da lui ottenere la permissione di fermarsi sulla sua montagna. Fabbricarono dunque, col suo consentimento e per suo avviso, il monastero di Pispir, o Pispiri (1). Questo poco lungi dal Nilo, anzi forse sulle sponde di questo fiume, era dalla parte d'oriente, e lontano dodici leghe dalla montagna del santo. Macario e Amatas vi fecer soggiorno per tutto quel tempo, ch'essi rimasero presso il santo, onde servirlo nella sua estrema vecchiaia. Quivi formassi una comunità numerosa al paro di quelle, che erano nei deserti oltre il Nilo. È voce, che dopo la morte del santo patriarca, Macario vi resse fino a cinque mila monaci. In seguito Amatas e Pitirione governarono anch'essi un gran numero di monaci, che abitavano nelle caverne sulla stessa montagna del santo. Ci aveano di molte cave, per essersi quivi tolta la gran quantità di que' macigni, con cui innalzate eransi le piramidi d'Egitto.
Sant'Antonio era troppo lungi da' suoi primi discepoli, onde poterli visitare di spesso; ma egli non avea per questo posto in non cale i loro bisogni spirituali. Oltre le particolari istruzioni che egli dava a quelli, che alcune fiate venivano a visitarlo, mandava loro eziandio delle lettere, come sappiamo da san Girolamo. Rispetto al monastero di Pispir, che era a lui più d'appresso, egli vi ci andava sovente. Là confuse i filosofi e sofisti, che si poneano a disputare con lui. Là ancora egli ammaestrava i forestieri, i grandi in ispezialità , che non poteano col loro equipaggio giugnere in cima alla montagna. Macario, suo discepolo, incaricato di accogliere i forestieri, lo informava di ciò, di cui volevan parlargli quelli che chiedeano d'intertenersi con lui. Erano rimasti d'accordo fra loro di chiamare egiziani le persone del mondo, e gerosolimitani quelli che professavano una rara pietà. Quindi, allora che Macario dicea al suo maestro, che erano venuti dei gerosolimitani per visitarlo, egli si ponea a sedere con essi, e loro parlava delle cose di Dio: se all'opposto diceali che erano egiziani, contentavasi di far loro delle corte esortazioni, dopo le quali Macario li tenea compagnia, e preparava a loro delle lenti. Avendogli Dio fatto un giorno vedere tutta la superficie della terra talmente coperta di lacci, che gli era quasi impossibile muovere un passo senza incappare in essi; Antonio tutto tremante gridò: «E chi dunque, o Signore, potrà cansare tanti pericoli»? Una voce gli rispose «L'uomo che sarà veramente umile (1)», Da questo canto per verità Antonio nulla avea che temere, perciocchè egli si risguardava come l'ultimo degli del mondo. Egli ascoltava e seguiva i consigli, che ogni maniera di gente li dava. Le sue lezioni sulla umiltà erano ammirabili come i suoi esempli. Diceva a' suoi discepoli: «Quando voi. guardate il silenzio, non vi pensate con ciò fare un atto di virtù, ma fatevi piuttosto a credere di non esser degni di parlare». Avea Antonio accanto alla sua celletta un orticello che coltivava colle proprie mani. Ei ne traea, onde procacciare alcun rinfresco alle persone, le quali, per giugnere fino a lui, doveano traversare un vasto deserto. La coltura di quest'orto non era il solo lavorio in cui egli si occupava; faceva anche delle stuoie. Mentre un giorno doleagli di non. poter, non interrotto, darsi al santo esercizio della contemplazione, ebbe la seguente visione. Gli apparve un angelo: questo celeste spirito si pose a tessere una stuoia con foglie di palma; poscia lasciava di tratto in tratto il lavoro per intertenersi con Dio nell'orazione. Dopo aver parecchie volte in questa mani era avvicendato la fatica coll'orazione, disse al santo: “Fate anche voi lo stesso e sarete salvo (2)" Antonio non intralasciò mai questa pratica, ed ebbe sempre il suo cuore stretto con Dio, mentre le sue mani lavoravano. Da questi tratti si può argomentare qual fosse il fervore di sue preghiere, e la sublimità della sua contemplazione. Alzavasi a mezza notte, pregava in ginocchio con le mani levate al cielo fino allo spuntar del sole, e spesso sino anche a tre ore dopo mezzo giorno (3). Alcuna volta lagnavasi che il ritorno dell’aurora lo richiamasse alle sue occupazioni giornaliere. 

«Qual uopo ho io della tua luce? dicea egli al sole quando incominciava ad alzarsi: perché vieni tu a distrarmi? e perché ti levi per involarmi alla chiarezza del vero lume » ? Cassiano, che riferisce questi motti, aggiugne, che parlando dell'orazione, diceva che quella in un religioso non era perfetta, allorché pregando ei s'accorgea di pregare; il che mostra quanto la sua orazione fosse sublime.

Le visioni, di cui abbiamo parlato, non furono i soli favori che Iddio compartì al suo santo. Scoprilli ancora, sotto la figura di una torma di asini che a calci rovesciavano gli altari, le stragi orribili che gli ariani fecero due anni dopo nella città di Alessandria. Ci sono gravi autori (2), i quali ci assicurano, che egli predisse manifestamente gli eccessi, a cui giunse il furore di questi eretici. In generale ei detestava tutti i nemici della chiesa; li cacciava dalla sua montagna, trattandoli da serpi velenose (3): né mai volea parlare con essi, se non quando si trattava di eccitarli a rientrare nell'unità.

Molti vescovi, persuasi che nessuno sarebbe stato più acconcio a confondere gli ariani del nostro santo, lo indussero a fare un viaggio ad Alessandria nel 355. Egli s'arrese alle loro premure. Giuntovi appena, si mise a predicare altamente la fede cattolica. Insegnava, che il Figlio di Dio non era una semplice creatura, ma che era consustanziale al Padre. «Solo gli empi settatori d'Ario, diceva egli, lo spacciano per una creatura, e in ciò non ci ha divario alcuno fra di essi e i pagani, che rendono un culto sacrilego alle creature, in luogo di adorare il Creatore » . Tutti faceano a gara per vederlo ed udirlo. Gl'idolatri non gli faceano intorno minor calca dei cristiani. «Vogliamo veder l'uomo di Dio, dicean essi ". Parecchi fra questi, tocchi da' suoi discorsi e da' suoi miracoli, domandavano il battesimo. Antonio vide in Alessandria il celebre Didimo, il quale, avvegnachè fosse divenuto cieco da quattr'anni. erasi molto addottrinato in ogni maniera di scienza, e che a cagione del suo zelo nel difendere la fede di Nicea era avuto in grandissima stima da sant'Atanasio , e da tutti i vescovi cattolici. Un giorno che si trovavano insieme, gli disse; «V'increscerebbe mai aver perduto la vista? Voi avevate gli occhi, come gli hanno le mosche, le formiche e gli animali più spregevoli. Voi dovete piuttosto rallegrarvi di possedere un lume, che non si trova che negli apostoli, nei santi e negli angeli; lume per cui noi vediamo Dio medesimo, e che accende in noi il raggio d’una scienza tutta celeste.

Il lume della mente sorpassa di gran lunga in chiarezza quello del corpo, Basta uno sguardo impudico, perché gli occhi carnali ci mandino a precipizio. nell'inferno», Dopo aver passato alcun tempo in Alessandria, il santo .si pensò di tornare alla sua celletta.
Invano il governatore d'Egitto si adoperò per ritenervelo più a lungo, ai suoi inviti egli rispose con queste parole : « Un monaco è come un pesce questo muore fuori dell'acqua, e quegli fuor della solitudine (1)», Santo Atanasio, per dargli una prova del suo rispetto, accompagnollo fino alle porte della città, ove lo vide guarire una ragazza indemoniata.
Parecchi filosofi pagani, mossi da curiosità di vedere un solitario che era fama aver operato tante maraviglie, visitarono di spesso Antonio coll'intenzione di poscia disputar seco lui. Egli provava ad essi con ragioni assai convincenti, che la religione cristiana è sola la vera, la sola che si possa professare con sicurezza. “Noi cristiani, diceva loro, pronunziando soltanto il nome di Gesù crocefisso, poniamo in fuga que' demoni, che voi adorate come dei loro prestigi e le loro malìe perdono tutta la loro forza, avanti questo segno di croce» Rafforzava quant'avea detto, invocando il nome di Gesù e facendo il segno della croce sopra gl' indemoniati, i quali trovavansi tosto prosciolti, e si alzavano per attestare a Dio la loro riconoscenza (2). Alcuno di questi filosofi domandollo un giorno in che potesse egli occuparsi nel deserto, ov'era privo del piacere che si gusta nella lettura: ei gli rispose: La natura è per me un libro, che mi tiene luogo d'ogni altro».
Se mai ve n'avea alcuno, che si volesse far beffa della sua ignoranza nelle scienze profane, chiedea loro con un' ammirabil semplicità, se la scienza o la ragione avesse il primo luogo. “Senza dubbio la ragione, rispondean essi:» Ebbene, dunque basta la ragione, soggiugneva il santo” . In questa guisa egli faceva rimaner confusi questi saccenti, e ribatteva tutte le loro obbiezioni.
Essi se n'andavano colpiti dalla saviezza de' suoi discorsi per modo, che non poteano a meno di non restarne ammirati. Altri, a disegno di porlo in imbarazzo, lo interrogavano sulle ragioni ch'egli avea di credere in Gesù
Cristo. Ma egli chiudea loro la bocca, facendoli vedere, che collo appiccare ch'essi facevano i vizi più infami alla divinità, veniano a disonorarla; che il mistero umiliante della croce era una prova la più sensibile della divina bontà, e che le umiliazioni passeggiere di Gesù Cristo erano state largamente cancellate dalla gloria della sua risurrezione e dai miracoli senza numero ch’egli avea operato, restituendo la vita ai morti, la vista ai ciechi, la sanità agli ammalati. Indi stabiliva che la credenza in Dio e le opere, delle quali essa è principio, aveano qualche cosà d' assai più chiaro e più soddisfacente che tutti i sogni dei Greci (1). Non v'ha luogo a dubitare dello attaccamento di sant'Antonio alla dottrina del concilio di Nicea, dopo ciò che dicemmo del suo viaggio ad Alessandria. Questo però non fu il solo incontro, in cui egli fece conoscere questi suoi sentimenti; perciocchè tosto ch'ei fu informato, che il falso patriarca Gregorio, sostenuto dall' autorità del duca Balac, perseguitava furiosamente gli ortodossi, gli scrisse in modo il più pressante, esortandolo a non volere straziare il seno alla chiesa. Questa sua lettera per isventura non produsse alcun effetto. Il duca invece di averci alcun riguardo la fece in pezzi, sputacchiolla e la pestò coi piedi. Minacciò in oltre il santo di tutto scaricare sopra di lui il suo sdegno. Ma non andò guarì che la giustizia di Dio né lo punì. In fatti cinque giorni dopo (2) montato con Nestore governatore di Egitto sopra cavalli della propria scuderia, questi cominciarono a balzellare per allegria, per modo che quello su cui era Nestore, avvegnachè mansuetissimo, si lanciò contro Balac, rovesciollo a terra, e con alti nitriti si pose a morsicarli parecchie volte una coscia, e sì malmenollo, che il duca fu portato in città, e a capo a due giorni ne dovette morire. Sì grande e sì universale era la venerazione che si avea al nostro santo, che il gran Costantino e i suoi due figli Costanzo e Costante gli scrissero verso l'anno 337. Questi principi colla comune loro lettera il pregarono con istanza di giovarli colle sue orazioni, e dimostravanli la più grande premura d'averne risposta. Essendo i discepoli d'Antonio maravigliati per l'onore che il padrone del mondo facea al loro maestro, questi lor disse: “Non vi dee recar maraviglia, ch'io riceva una lettera dall'imperatore. Gli è un uomo che scrive ad un altr' uomo. Stupite piuttosto che Iddio ci abbia con uno scritto fatto conoscere la sua volontà, e ci abbia parlato per bocca del suo stesso Figliuolo». Da prima egli non volea fare alcuna risposta, scusandosi che non sapea come regolarsi. Pure alla fine cedette alle replicate istanze de' suoi. discepoli., e scrisse ali' imperatore e a' suoi figli, esortandoli a sprezzare il mondo, e ad aver sempre avanti al pensiero l'estremo giudizio.
Questa lettera ci è stata conservata da sant' Atanasio.
Il santo scrisse molte altre lettere (3) a diversi monasteri d'Egitto, nelle quali si riscontra lo stile degli apostoli e la sodezza delle loro massime. In quella scritta ai monaci di Arsinoe insiste fortemente sulla necessità di opporre alle tentazioni la vigilanza, l’orazione, la mortificazione e l’umiltà. Per meglio far sentire i pericoli della superbia egli osserva, che questo peccato fu che perdette il demonio, e per conseguenza gli è quello a si maggiormente si sforza trascinare la gente. Sovente ripete, che il conoscer noi stessi è l’unico modo d’innalzarsi alla cognizione e all’amore di Dio (1). Non sembra che sant’Antonio abbia scritto regola alcuna per li suoi discepoli (2); almeno nulla ne hanno detto gli antichi autori. I suoi esempi e le sue istruzioni erano una regola vivente, alla quale i santi monaci di tutti i secoli hanno procurato di conformare la loro vita.
Iddio rivelò al santo il futuro decadimento dell’ordine monastico. Egli ne rese avvertiti i suoi discepoli un giorno ch’essi faceano grandi meraviglie del numero delle persone, che veniano a praticare nella solitudine quanto la penitenza ha di rigoroso. “Verrà un giorno, disse loro con le lagrime agli occhi, che i monaci sì ergeranno delle fabbriche magnifiche nelle città, ameranno di vivere delicatamente, e non si distingueranno più dalla gente del mondo, che per il loro abito. Tutta fiata, a fronte di questo guasto generale, ve n’avrà sempre qualcuno che serberà lo spirito del suo stato. Per questo la loro corona sarà tanto più gloriosa, perché la loro virtù non si sarà lasciata vincere dalla moltitudine degli scandali (3)”. Ad oggetto di prevenire questo male, il santo non si ristava mai dall’inculcare a’ suoi discepoli lo spregio del mondo, la necessità d’aver ognora presente al pensiero la morte, di far continui avanzamenti nella perfezione, di star sempre in sulle guardie contro gli artifizi del demonio e di ben discernere gli spiriti. Antonio, sentendosi avvicinare la morte, imprese la visita de’ suoi monasteri. I suoi discepoli, ai quali predicea già vicino il suo fine, lo scongiurarono tutti colle lagrime
Di queste venti lettere attribuite a santo Antonio, non ci ha che le sette, di cui abbiamo parlato testé, che siano veramente sue: debbonsi anche credere suoi i discorsi surriferiti nella vita scritta da Sant’Atanasio.
(1).I bollandisti hanno pubblicato maii t. 3 p. 355, una breve lettera di sant’Antonio a san Teodoro abbate di Tabenna, nella quale dice, che Iddio avealo assicurato in una rivelazione, che tutt’i peccatori sinceramente pentiti dei loro falli ne otterranno il perdono.
(2) Quella che si trova sotto il suo nome in Abramo Ekellense è d’assai posteriore al tempo in cui egli viveva. In oriente parecchi monaci di san Basilio portano, dal settimo in poi, il nome di monaci di Sant’Antonio. Ma essi osservano sempre la regola che si trova nelle opere ascetiche di san Basilio. Tale è pure dei Maroniti, e Tillemont sbaglia a dire il contrario. agli occhi di rimanere seco loro fino all’ultimo momento. Ma non fu possibile indurvelo. Egli temea che il suo corpo fosse imbalsamato, secondo l’usanza degli Egiziani; il quale abuso egli avea sempre condannato, come quello che veniva da vanità, e alcuna volta anco da superstizione: onde per togliere che ciò non s’avesse a fare con lui, egli raccomandò espressamente a Macario e ad Amatas, che stettero con lui gli ultimi quindici anni di sua vita, di seppellirlo nella maniera che furono i patriarchi, e di non dire ma a nessuno dove fosse la sua tomba. Tornato alla sua celletta, poco dopo cadde malato. Rinnovò ai suoi discepoli l’ordine che avea loro dato rispetto alla sua sepoltura, poi aggiunse: “Quando sarà giunto il dì della resurrezione, io ripiglierò dalle mani di Gesù Cristo questo corpo incorruttibile. Spartite li miei abiti: date al vescovo Atanasio una delle mie pelli di pecora col mantello (1), sul quale io mi corico (2): al vescovo Serapione date l’altra pelle di pecora, e tenete per voi il mio cilicio. Addio miei figli: Antonio sen parte, e non è più con voi”. Appena sì detto, Macario e Amatas lo abbracciarono: egli stese i suoi piedi, e placidamente s’addormentò nel Signore. Questo avvenne nell’anno 356. Pare che fosse il 17 di gennaro, in cui lo nominano i più antichi martirologi, e nel quale i Greci celebrarono la sua festa poco dopo la sua morte. Egli avea cento cinque anni, e malgrado alle sue grandi austerità, non avea mai provato alcuna di quelle infermità, cui va soggetto la vecchiezza. Egli fu seppellito come avea ordinato. Essendo stato scoperto ove giaceva il suo corpo, nel 561 fu con molta solennità trasportato in Alessandria (3). Ma essendosi i Saraceni impadroniti dell’Egitto verso l’anno 635, fu trasportato a Costantinopoli (49. Di là fu portato nella diocesi di Vienna nel Delfinato sulla fine del decimo secolo, o al cominciar dell’undicesimo, verso l’anno 980. Un signore di questa provincia detto Giosselino, al quale l’imperator di Costantinopoli lo avea regalato, lo depose nella chiesa priorale della Motte-Saint-Didier (5). Molti miracoli furono operati per la intercessione del santo, le reliquie del quale, eccetto un braccio, furono trasferite sulla fine del quattordicesimo secolo nella badia Montmajour-les-Arles, ove sono rimaste fino al 9 di gennaro 1491, che furono trasportate di nuovo e deposte nella chiesa parrocchiale di san Giuliatno d'Arles, ove sono ancora rinchiuse in un bel reliquiario d'argento dorato (1). Ecco uno dei più celebri miracoli del santo (2). Una risipola contagiosa conosciuta sotto il nome di fuoco sacro facea nel 1089 orribili scempi in molte province della Francia. Per allontanare questo flagello furono ordinate preghiere pubbliche e processioni. Gran numero di persone essendone guarite dopo aver orato innanzi alle reliquie del santo, un concorso maraviglioso di gente traeva alla chiesa, ove esse riposavano. Tutta la Francia implorò la protezione del santo in una malattia che distruggea tanto popolo; e 1’evento provò, che invano non s'avea posto confidenza nell'intercessione del servo di Dio (3). L'amore straordinario di sant'Antonio al ritiro meritò a lui il dono della preghiera e della contemplazione al pii1 alto grado. EgIi trovava un tale dilettamenlo in questi santi esercizi, che consumava in essi le notti intiere, e queste sembravanli anzi troppo corte. Una unione con Dio così stretta, e sì continua supponeva di necessità nel nostro santo una incomparabile purezza, uno illimitato distaccamento, una profonda umiltà , un'assoluta mortificazione dei sessi e di tutte le potenze della sua anima.
Da ciò venia in lui quella inalterabile tranquillità, che indicava essersi egli avvezzato a imperare su tutte le sue passioni, Non conviene però darsi a credere che Antonio fosse uno di que' divoti burberi e cipigliosi, i quali nulla hanno che non sia noievole.Sappiamo da sant' Atanasio ( 4 ), che egli era tutto al rovescio. La misantropia non può aver luogo in un cuore, in cui regna la pace, la semplicità, la dolcezza e la carità. La vera virtù, sempre inflessibile nell’adempimento de’ suoi doveri, è sempre tenera ed amichevole in chi la possiede. Ella sa che la mancanza di affabilità e di pieghevolezza verso il prossimo viene ‘ordinario orgoglio, vizio che adombra il lustro di tutte le virtù, quante mai se ne possano avere, e il quale allontanandoci da quella rassomiglianza che noi dobbiamo avere colla natura divina, ci fa in qualche modo ritrarre da quella dei demoni. Sant’Atanasio ci assicura inoltre, che sant’Antonio possedeva al più eroico grado di virtù della pazienza. La pace della sua anima traluceva dal suo volto con una dolce serenità e una grazia meravigliosa, la quale faceva che quelli, che non l‘avevano veduto mai, a primo scontro il riconoscevano, e sapeano distinguere dalgli altri fratelli, quando era tramezzo ad essi.

(DALL’AB. ALBANO BUTLER)

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021