San Gerardo Maiella
A+ A A-

8 Gennaro

SAN SEVERINO VESCOVO

In Settempeda municipio dell’antica Roma nacque l’eremita poi vescovo Severino. Una smodata ambizione trascinava in allora i romani per la via della gloria alla servitù, e l’Italia nostra cadeva in potere dei barbari, avvezzi ad una sola arte, la guerra. Alla sua culla sorrise fortuna con la copia dei beni: il fulgore degli avi la irradiò. Natura buona, animo intero benevolo ei mostrò a’ cittadini tra mezzo que’ tanti guai, a quelle tante pretese che improntate al suggello di una prepotente barbarie, spingevano innanzi come onde del mare i giorni della signoria di Odoacre in Italia. Intento ad esercitarsi su ciò che la fede propone all’umana intelligenza, assai per tempo pose le sue speranze oltre i piccoli interessi di quaggiù, e fatto dono a’ poveri di tutto il suo, si chiuse con il fratello Vittorino in un bosco presso Settempeda, quando il gran Benedetto o al mondo ancora non era, o non avea peranco studiato sé e le sue forze. Attingo a fonti non infette, come dicono, da superstizioso fanatismo; vo’ che si sappia, che io seguo il Bollando ed altri su i canoni della critica. 8 gennaio san severino

Era stato allo spuntare del secolo IV, tra mezzo alle turbolenze ariane, che Itali aveva accolto dall’oriente le istituzioni monastiche. Ma le ruine portate dagli Unni, la spada di Attila, la rabbia di Genserico ne aveano ritardato i progressi, e popolato in scambio i nostri monti d romiti e di contemplativi come laici considerati in allora. Severino fu del bel numero uno; e tra questi trasfuse nell’eremo, donde era venuto capo, non già la melanconia dell’empio, ma quella patetica e confidente di un cristiano, che getta uno sguardo su’ tempi burrascosi in che si avvenne, per consolarli con atti generosi, compiangerli e sperare. Così operando, avvisò sotto i colpi di quei falsi romiti, che imposturavano a quei dì per l’Italia, la mano della Provvidenza che il flagellava, benedisse a questa, perdonò ai tristi. Confortandosi nel Signore ed ogni cosa facendo in carità, esercitò un ministerio opportunamente proficuo pei tempi, e dal fondo d’ingrato bosco vegghiando, digiunando, leggendo, convertendo i peccatori che capitassero, diè norma di una verace missione monastica.

Niuna storia mi lasciò mai in cuore tanta melanconia come quella di Italia a’ tempi di che parliamo. La unisco alla vita di Severino sì per mostrare genuini gli atti antichissimi, sì per vedere a quali prove volesse esercitarle. Un avvicendarsi di tormentose fortune, di pestilenze, di carestie avea rese quasi deserte le più ridenti contrade d’Italia. Sterminate selve, triste paludi ne coprivano infinita superficie: fiere avide di pascersi si avventavano dai boschi nell’interno delle città. Né il Piceno al paragone poteva menar fasto di più lieto vivere affranto dagli stessi mali, e per giunta da una politica tortuosa feconda di atrocissimi accidenti. Ne pianse da prima Severino nel fondo del suo silenzio: quindi infaticabile nello zelo traversò in ogni senso le nostre selve per comunicare e diffondere ad alleviamento comune le pratiche di pietà. Idee, esempi, precetti, consigli, minacce uscirono dalla bocca di lui. Seguito dalla pubblica stima, fuggì ogni onore: si abbattè in fiere, e le mansuefece. Nascostosi con Vittorino in più ermo e dirotto speco, contemplò Dio, e pianse non da troppo lontano le fortune della sua patria. Già in mezzo al trambusto di guerra, e allo strepito delle armi si accingeva Teodorico, uno degli Amali, giù a calarsi dalle alpi Giulie per fondare in Italia il regno de’ Goti. All’annunzio que’ pochi monaci che Italia ancora contava, si apparecchiavano a riparare fra’ boschi. A’ nostri ne fu testimonio il secondo inselvarsi di Severino. Sostenitori dal desiderio del cielo, rinfrancatovi da questa speranza, le calamità della terra scomparivano agli occhi suoi. non aspirando che a Dio, frequenti ebbe i colloqui coll’angelo sulla gloria celeste, sulla carità possedutavi con pienezza, e sulla giustizia amatavi fino nella sua sorgente. Né l’angelo si taceva a Vittorino, cui sorridevano simili pensieri di felicità, e sentendosi più che mai sazio del mondo diceva al fratello: nostra eredità deve essere l’eterno godimento di Dio. anche qualche sforzo, soggiungeva all’angelo, e sarete premiati; alcun poco di sofferenza, e il cielo si aprirà a’ vostri voti. Qui intanto sia per noi l’asilo di pace, ripeteva Severino al fratello; qui il rimedio alle ferite dell’animo; qui quella sicurezza, che le mura ed un cerchio di lance non può dare a’ miseri cittadini; qui prodigiose le acque sorgono a dissetarci; qui è pur dolce lodare la bontà di Dio, che a noi rese obbedienti le fiere.


Fra questo Teodorico si era insignorito dell’italico regno; e rispettando culto, proprietà, clero, monaci e chiese, il nome di lui era venuto in amore appo i nazionali e gli stranieri. Ma quanto bene egli avea procacciato in breve perì; solo rimase il danno di avere favorito l’arianismo, e di avere soffocate nel sangue latino le nostre grandezze. Fu in questo torno, che Vittorino al prospetto di una gotica invasione fece pressa al fratello o di abbandonare le boscaglie di Settempeda, o di accomiatarlo per dove le nuove orde barbariche non avessero potuto spingere i pesanti lor carri. Al desiderio che ispirava la solitudine, porsero favore i monti asprissimi di Prolaqueo, e Vittorino vi si ascose. Tocco da vivo cordoglio ne fu Severino, ma sottomesso, com’era, ai voleri di Dio, si tacque, ed ebbe in scambio la compagnia dell’angelo: poi un romito di cuore conforme, di pari virtù, a lui si offerse, col quale i combattimenti divise e i travagli. Ridurre la carne sotto il giogo di una lunga ed umile servitù, progredire assiduo col bene, e dai progressi della virtù non venire che ad acquistare lume e fermezza maggiore, ecco le opere di Severino dopo la dipartita del fratello. Fiduciava Severino nei continui miglioramenti di lui, visitandolo il confortava nella lotta, ma non vi fu artifizio, cui non usasse il nemico di nostra salute per sedurlo. Lo spirito impuro girò continuo attorno di Vittorino, in adulterate forme lo sorprese, e tardi egli pianse la sua fragilità. Avvisatone da lume celeste corse Severino alla volta del fratello, e tosto gemiti e lacrime, cilicio e cenere susseguirono alla colpa. Anzi a tale estese Vittorino la severità della triennale penitenza, che con essa riparò il peccato e lo espiò, calmando nel cuore di Dio quel resto di collera che dopo sé lascia il peccato, riparano nel cuore del prossimo ogni impressione di torto o di scandalo, annullando nel proprio cuore ogni inclinazione pel male. pieno il petto di giustizia e di fede egli morì; Santo lasciò in retaggio a noi suoi tardi nipoti di baciargli l’ara gloriosa appo i Camerti. Severino in soccorso de’ miseri continuò a travagliarsi per le gole de’ nostri monti. Alle sfortune politiche, che per la morte di Teodorico disastravano da qualche tempo l’Italia, si erano aggiunti i flagelli del cielo, i deliri dei pelagiani. Lo zelo di Severino si scosse, e a lui rimase il merito del cristianesimo, amorevoli e solenni i dogmi, la dottrina, il culto di esso. Poi che il trionfo della religione ebbe egli cantato più volte, asciugò le sue lacrime,e toltosi dalle infide lusinghe che poteano sviarlo, tornò a chiudersi nell’eremo, quando i Goti all’avvicinarsi di Belisario, si davano a re il generoso Vitige. Intento Severino a contemplare le grandezze di Dio, a sottomettere il corpo perfettamente allo spirito, chiedea di bearsi nella faccia del Signore. Ma nella ebrietà della gioia udì l’angelo, che lo chiamava ad assidersi sulla sede ente pedana.

Questo annunzio alla futura sua missione lo ferì al vivo; pianse e credé. Tutto cedeva fra questo alle armi di Belisario: le città dell’Italia meridionale si curvavano al vincitore. Ma gli anni erano dei più miseri che fossero mai corsi per il Piceno. Fato centro della guerra gemeva sotto le replicate correrie de’ Goti, languiva per carestia e per peste. Alla patria nostra mancava puranco la forza del saggio, che nell’operare il bene trionfa delle vicende, mancava il vescovo, morto esso pure dalle conseguenze di tanti guai. Congregatosi il clero per eleggere il successore, caddero i voti sull’umile Severino, e tosto a lui se ne diè avviso per nunzio: poiché il nuovo pastore si toglieva sempre a quei dì dal clero della città stessa, fuori il caso che in quella non fosse soggetto idoneo, o che alcuno straniero superasse i natii per merito singolare. Prevenutone Severino dall’angelo, tenne a calcolo i pensieri ed i mali che tempestar lo dovevano. Divisava egli migrare in incognito bosco; ma cesse alla lotta, e avvalorato da quelle miti virtù, da quel dolce costume, da quei sentimenti di natura che rivelano l’uomo usato a conversare più cogli angeli che coi mortali, fu visto uscire dall’eremo per caricarsi di tutta la tristezza di que’ poveri tempi, che gravissimi pesavano sulla patria e sulla chiesa. Le ardite mosse di Belisario aveano già costretto Vitige a darsi prigioniero, e l’Italia cispadana tornava al dominio dei Cesari orientali, la traspadana rimaneva in potere dei Goti. Profittando Severino di questa calma, che non pace, ma stanchezza mortale rivelava, si pose in su la via di Roma, e da papa Vigilio, metropolita d’Italia, vi fu consacrato vescovo di Settempeda. Che ciò avvenisse nel 540, è chiaro per chi ha sott’occhio lo scisma lungamente sofferto dalla chiesa romana a causa di Teodora augusta, l’esilio e la morte di papa Silverio, e la legittima conferma di Vigilio a vicario di Cristo nell’anno di che si ragiona. Come la patria esultasse al ritorno di Severino, come dolorosa ne stesse per gl’infausti principi del greco imperiale governo, agevole è il concepirlo. Brulicavano le vie d’una turba stivata, intenerita a lacrime, plaudente a gran voce. protestava egli ricevere tutto dalle mani di Dio, né bastare a lodarlo, ringraziarlo per li preziosi manipoli che sperava ricogliere da quelle messe. Certo, la nequizia dei Greci che reggevano questa misera parte dell’Italia, superava la spada de’ barbari; tutto guastava la militare licenza; tutto era infetto dall’alito velenoso delle pelagiane dottrine. Da questo genere di attacco così comune in allora, giusta lo scrivere dei pontefici a’ vescovi del Piceno, non andava esente lo stesso clero; e Severino inteso a richiamarlo alle credenze religiose stampò nel cuore di tutti quell’idea elevata della chiesa cattolica, che come fu spirito della vita di lui, così lo rese compiuto e perfetto nel ministerio, ove congiungendo la dolcezza colla forza efficace, si alzò più in su che gli altri vescovi del suo tempo. Né pago di questo ridestò Severino ne’ cherici quell’uso di vivere in comunanza, che era stato da Eusebio, vescovo di Vercelli, nel secolo V introdotto in Italia, poi era cresciuto all’ombra dei grandi, scaduto nel succedersi delle irruzioni barbariche, e quasi disciolto nel Piceno ai non remoti giorni di papa Simplicio. Della santità della vita ebbero in Severino una legge parlante, colsero da lui ogni più saggia norma per divenire perfetti quei che agognavano ad una vita monastica, quelle che per amore della verginità vivendo nella orazione e nelle buone opere erano, giusta il concilio III cartaginese, dirette sempre dai vescovi, e da essi fregiate del flammeo. Ma al sorgere di Totila parea risorgere la gotica grandezza; si riaccese la guerra, valore e fortuna tra mezzo ad un mare di sangue riacquistarono a lui molta parte d’Italia. Si è scritto, che Severino per mandato di papa Vigilio segnasse in allora sua meta il bene spirituale di tutto il Piceno, che tornandovi augusta ogni opera de’ ministri della religione, togliesse a’ nemici di questa l’occasione di ingiuriarla. Vili guerre, assassine masnade, offensori e difensori parevano aver gareggiato a chi più danneggiasse la chiesa, né da loro era mancato il mettere le città a deserto. Di conseguenza erano frequenti le sedi che spoglie in Italia di vescovi venivano dai papi raccomandate alla vigilanza di un solo: canonizzata dai tempi era nel Piceno la missione di Severino a più chiese.


In questo con la Emilia veniva a Totila anche la Pentapoli: quindi toglieva a ‘ duci dell’impero il Piceno, poi l’Umbria. Le selve, i monti porsero asilo a’ timidi cittadini: ma non leggo che Severino fuggisse la spada conquistatrice, che non osasse mostrare la fronte a quegli cui tutti volgevano il tergo. Poco stante venia fatto a’ Greci di rialzare la fortuna dell’impero, e nel ritirarsi del Goto, immagini chi mi legge, le venture che corse il Piceno, lo zelo che animò Severino tra mezzo al torrente che rovesciava la messe da lui raccolta, disperdeva la greggia da lui santificata. Coll’opera, colla parola e coi miracoli era egli intento a confermare nella fede i suoi figli, a combattere l’arianismo, che per giunta erano tornati a disseminare i Goti, quando dall’angelo sentì annunziarsi: Pastorem, sono parole degli atti, in tua colloca ecclesia …. Nam die tertio scilicet dominico carnem es relicturus. Chi a lui succedesse i fasti nol dicono: sappiamo che sen morì come l’angelo predisse; che dalla costante tradizione della chiesa, dal martirologio di Beda, dagli scritti del Sollerio,  del de Aste, e dalla geometrica dimostrazione di Boscovick, contraria ai calcoli del Franchi, del Cancellotti e del Turchi, ciò avvenne l’8 gennaro 545, giorno appunto di domenica; e che la storia ecclesiastica di quei tempi esempi moltissimi ne porge di vescovi che nominaronsi il successore: ciò che intendere si deve solo come una proposizione non preoccupante i diritti riserbati al clero coll’approvazione del popolo. Più agevole è immaginare, che con le parole descrivere quale affanno occupasse il cuore di tutti. Severino era a’ vivi mancato: e Attila riavutosi dei sofferti danni si moveva con grossa oste a ruina del Piceno. Fatto impeto contro Osimo, Ascoli e Fermo, prostrò il valore de’ Greci: poi da furibondo cacciatosi in su la Flaminia per calarsi nell’Umbria, assaltò Settempeda, la prese, la mise ad un orribile incendio, donde non si riebbe che a’ tempi della signoria longobarda, scambiato luogo, e preso nome di Sanseverino dal suo Vescovo e proteggitore. Spenta da Narsete la gotica potenza, e tutta Italia ritornata all’impero di oriente, gli sbandati cittadini tolsero a fabbricare sull’erta del monte nero, così detto dagli alti boschi, ove ricordano gli atti aver Severino tenuto cella, o semna, o monisterio, così chiamato all’uso orientale. Sedeva sul trono longobardo la pietosa Teodolinda, volgevano i lieti giorni del suo sposo Agilulfo, e i nostri in quei lunghi intervalli di pace colsero il destro di rinvenire il corpo di Severino, e di traslarlo nella patria novella, che già destavasi a speranza dell’antico splendore. Narrano i bollandisti, come Dio ne magnificasse il trasporto. La chiesa nostra ne mena ancor festa il 26 aprile, e il 3 novembre. Se a me vale qualche pratica dei monumenti e delle lettere de’ vari tempi, io non trovo nei fasti di Severino che marche di celebrità e di culto. Bella prova nel 944 ne offre il diploma di Eudo vescovo camerte, la memoria più antica che abbia la patria di gastaldato a’ tempi longobardi, e di territoriali possessi donati a questa chiesa, cresciuti poi dai re, dagli imperatori, dai papi. Che la fama della santità, e dei prodigi di Severino già nota si fosse per tutta Italia assai prima del XI secolo, ne fanno certi, per non dirne troppo, l’antichissimo martirologio romano, le Litanie del codice rituale della Laurenziana pubblicata dal Lami negli atti del martire san Ginesio romano, i calendari ariminiesi e avellinese, fabrianese e settempedano scritti nei secoli XIII, XIV, XV, e messi alle stampe dal Cristianopulo. La efficacia della protezione di Severino in pro de’ nostri indusse nel1061 Ugo, un altro vescovo camerte, ad innalzargli il tempio, Grata e devota a Severino si mostrò la patria, che immane dalle vendette prima dell’arrighiane schiere, poi delle normanni che, più tardi campata dalla fortunosa possanza di Federico I, diè mano nel 1198 ad ampliare la chiesa eretta da Ugo, e a festeggiare la inaugurazione agli 8 giugno. In questo mentre lo stimolo delle dottrine arnaldiane spingeva anche i nostri a reggersi non più a consoli ma a potestà, e facea sorgere in essi la brama di crear leggi municipali. Leggo che feste e doni vi furono decretati a Severino: trovo che l’insegna del comune principiò in alloa ad essere la faccia del tempio a lui sacro. A’ tempi oscuri che discorriamo, vidi che l’entusiasmo degli scioli a tale giunse di sviare i fasti consacrati dalla chiesa. Fu nel secolo XII che essi attribuendo a Severino i pregi di altro vescovo napoletano di nome consimile, a Vittorino il martirio e la sede amiternina, più tardi quelle dei Camerti, e confondendo la virtù, moltiplicando soggetti, aprirono alla ricerca severissima del Marangoni e del Mazzocchio campo di discernere il vero dalla spurio, a noi porsero lumi da giovarcene nella storia che pubblicammo di questa chiesa.

Sceso in Italia Enrico VI, odii, guerre, parteggiamenti ruppero per tutto. In grazie di una lega con altri popoli, dovettero i nostri pigliarvi parte. Un versar di sangue, uno spogliar di chiese, un rapire di santi seguiva il passaggio di Enrico per la Marca; e nel mentre i cittadini ne sostenevano lo sdegno, occultarono il corpo di Severino, che poi col moltiplicarsi delle nimicizie, e col succedersi delle guerre, così ascoso si giacque sino al 1576. Ma quelli erano tempi da non potersi togliere ai tristi casi delle armi, e Severino non potea se non proteggere i suoi. Ottone, poi Federico II ridestavano nella Marca l’incendio delle fazioni, e fu in quel lungo parteggiare ora di guelfi, ora di ghibellini, esecrati nomi, che videro i nostri messo a ruba il contado, posto in fiamma il monisterio di san Mariano, uno de’ tanti che esistevano nei nostri monti e valle, e fu proprio la mano di Severino se guasta non ne rimase la patria. All’ira di lui deposero il cingolo militare quei conti della Truschia, che stanziatisi fra di noi e cresciuti in potenza, erano a que’ di causa di lutto, come narra il Lili. In mezzo alle molte discordie, ai cambiamenti politici che tempestarono Italia sotto Carlo di Angiò, ebbe anche la patria i suoi magistrati regionali, il suo gonfalone, più tardi il pretore, i consoli delle arti, e grata offrì a’ piedi di Severino il mero e misto imperio. Alle grandi traversie degli Smeducci, vicari per santa chiesa tra di noi, succeduti si erano i quieti giorni di Onofrio. Sagace accorreva ai bisogni della patria, pietoso offeriva a Severino una statua di argento, la quale poi nel pieno delle arti crebbe di  pregio e di peso. Quando Antonio Smeducci, per cieca vanità di dominio involtosi tra le fazioni suscitate dal re Ladislao, era causa che prima dal Fortebraccio e dal Meliorata, poi dal Colonna e dal Caudola venisse stretta la patria in duri assedi, leggo che se fatali ad essa non riuscirono quanto allo Smeducci che tratto ne fu cattivo, a Severino ne fosse ascritto il prodigio; e che amore in verso di lui tornò ad empiere le nuove leggi statuarie di feste, di tornei, di luminarie, e falò a segno, che maggiori essendo i gaudi nell’8 gennaro, fu visto scambiarsi da sommi autori il giorno emortuale di Severino in quello della inaugurazione della chiesa di che parlammo. Ma presto nuova guerra si cacciò dallo Sforza nel cuore della Marea, e i cittadini al tempestare di Alfonso di Aragona e del Piccinino, al ridestarsi e allo spegnersi delle ambizioni Smeducciane, ritrovarono la calma nel tempio di Severino. Surse il genio delle arti belle, e la pittura ispirò a’ nostri di occupare nei fasti di Severino e di Vittorino il magistero di Gentile da Fabriano, di Niccolò da Fuligno, poi l’opera dei concittadini di Giulio Maria Varano teneva fra di noi armate le braccia per reprimere gli sforzi del Borgia: e civili discordie del secolo XVI dividevano fratelli da’ fratelli, e prevalenti gli uni, soccombenti gli altri, non lasciavano respirare una parte che per divenire funesta all’altra, allorché trovarono i cittadini anzi l’ara di Severino quel che v’ha di più dolce nella vita, il piacere della pace. Ricompose le dissensioni, tornato in fiore il commercio, cresciute le manifatture, fu ridonato alla patria dal pontefice Sisto V di città, poi lo splendore della sedia vescovile a continuazione della settempedana, fatta illustre da Severino. Poco stante la peste flagellava la Marca: un timido amor della vita spingeva anche i nostri ad abbandonare i più cari: ma Severino si pose tra la miseria del povero, tra la licenza del ricco, e alle ubbie della ignoranza, o della malignità de’ cattivi susseguirono atti di religione e prodigi. Si alzarono gli occhi in verso lui a traballare della terra, allo incalzarsi di nuovi mali, e giammai si ebbe a desiderare il soccorso efficace. Continui egli da quella patria, alla quale ci avviamo traverso questo esiglio, a giovar noi e quelli che più tardi verranno.

(DI MONSIGNOR GIOVANNI CARLO GENTILI DI SAN SEVERINO)

Cancellazione dati iscrizione

Inserisci il numero di cellulare e\o la mail con cui ti sei registrato e clicca sul tasto in basso

CHIUDI
CONTINUA

INFORMATIVA PRIVACY

Lo scopo della presente Informativa Privacy è di informare gli Utenti sui Dati Personali, intesi come qualsiasi informazione che permette l’identificazione di una persona (di seguito Dati Personali), raccolti dal sito web www.sangerardomaiella.it (di seguito Sito).
La presente Informativa Privacy è resa in conformità alla vigente normativa in materia dei Dati Personali per gli Utenti che interagiscono con i servizi del presente Sito nel quadro del Regolamento Ue 2016/679.

Il Titolare del Trattamento, come successivamente identificato, potrà modificare o semplicemente aggiornare, in tutto o in parte, la presente Informativa; le modifiche e gli aggiornamenti saranno vincolanti non appena pubblicati sul Sito. L’Utente è pertanto invitato a leggere l’Informativa Privacy ad ogni accesso al Sito.

Nel caso di mancata accettazione delle modifiche apportate all’Informativa Privacy, l’Utente è tenuto a cessare l’utilizzo di questo Sito e può richiedere al Titolare del Trattamento di rimuovere i propri Dati Personali.

  1. Dati Personali raccolti dal Sito
    • Dati Personali forniti volontariamente dall’Utente

      L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati sul sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva. Specifiche informative di sintesi verranno progressivamente riportate o visualizzate nelle pagine del Sito predisposte per particolari servizi a richiesta.
      L’Utente è libero di fornire i Dati Personali per richiedere i servizi eventualmente offerti dal Titolare. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere quanto richiesto.

    • Dati Personali raccolti tramite cookie:

      Nel Sito viene fatto uso di cookie strettamente essenziali, ossia cookie tecnici, di navigazione, di performance e di funzionalità.
      I cookie sono informazioni inserite nel browser, fondamentali per il funzionamento del Sito; snelliscono l’analisi del traffico su web, segnalano quando un sito specifico viene visitato e consentono alle applicazioni web di inviare informazioni a singoli Utenti.
      Nessun dato personale degli Utenti viene in proposito acquisito dal Sito.
      Non viene fatto uso di cookie per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento degli utenti.
      L’uso dei cookie di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’Utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione, necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito.
      I cookie di sessione utilizzati in questo Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli Utenti e non consentono l’acquisizione di Dati Personali identificativi dell’Utente.

  2. Finalità e Base giuridica del Trattamento

    I Dati Personali raccolti possono essere utilizzati per finalità di registrazione dell’Utente, ossia per consentire all’Utente di registrarsi al Sito così da essere identificato. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    I Dati Personali forniti dagli Utenti che inoltrano richieste o intendono utilizzare servizi eventualmente offerti tramite il Sito, nonché ricevere ulteriori specifici contenuti, sono utilizzati al solo fine di dare riscontro alle richieste o eseguire il servizio o la prestazione richiesta e sono comunicati a terzi nel solo caso in cui ciò sia a tal fine necessario. Base giuridica di questi trattamenti è la necessità di dare riscontro alle richieste degli Utenti interessati o eseguire attività previste dagli eventuali accordi definiti con gli Utenti interessati.
    Con il consenso espresso dell’Utente i dati potranno essere usati per attività di comunicazione commerciale relativi ad offerte di eventuali servizi offerti dal Titolare. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    Al di fuori di queste ipotesi, i dati di navigazione degli utenti vengono conservati per il tempo strettamente necessario alla gestione delle attività di trattamento nei limiti previsti dalla legge.
    È sempre possibile richiedere al Titolare di chiarire la base giuridica di ciascun trattamento all’indirizzo info@sangerardomaiella.it.

  3. Modalità di trattamento

    Il Trattamento dei Dati Personali viene effettuato mediante strumenti informatici e/o telematici, con modalità organizzative e con logiche strettamente correlate alle finalità indicate. Il Trattamento viene effettuato secondo modalità e con strumenti idonei a garantire la sicurezza e la riservatezza dei Dati Personali.

    In alcuni casi potrebbero avere accesso ai Dati Personali anche soggetti coinvolti nell’organizzazione del Titolare (quali per esempio, amministratori di sistema, ecc.) ovvero soggetti esterni (come società informatiche, fornitori di servizi, hosting provider, ecc.). Detti soggetti all’occorrenza potranno essere nominati Responsabili del Trattamento da parte del Titolare, nonché accedere ai Dati Personali degli Utenti ogni qualvolta si renda necessario e saranno contrattualmente obbligati a mantenere riservati i Dati Personali.

  4. Luogo

    I Dati Personali sono trattati presso le sedi operative del Titolare ed in ogni altro luogo in cui le parti coinvolte nel trattamento siano localizzate. Per ulteriori informazioni, è sempre possibile contattare il Titolare al seguente indirizzo email info@sangerardomaiella.it oppure al seguente indirizzo postale Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ).

  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021